venerdì 29 agosto 2025

Ucraina: pace lontana, sotto le bombe di Putin; Le bigie di Giorgia Meloni a Rimini ( da L'Unità, di David Romoli)

 Il vertice di maggioranza

In Ucraina pace lontana, Meloni e soci costretti a riposizionarsi: in soffitta la spalletta di Trump, resta solo l’UE

A Rimini la premier parlava di spiragli per l’Ucraina facendo da megafono del tycoon. Ma i nuovi raid di Putin hanno squarciato il velo della pietosa bugia. Meloni ora dovrà riallinearsi a Bruxelles, dove è considerata una vassalla americana

 

AP Photo/Alex Brandon
AP Photo/Alex Brandon

Il vertice tra la premier e i suoi vice, vertice di maggioranza a tutti gli effetti, era in programma già da un paio di giorni. Però, quando ieri Meloni, Salvini e Tajani si sono incontrati a palazzo Chigi, in anticipo di qualche ora sul primo Consiglio dei ministri post vacanze, la situazione non era già più quella di 24 ore prima, quando Giorgia aveva preso la parola di fronte alla platea riminese di Comunione e Liberazione.

Nel suo discorso la premier aveva ancora potuto fingere che, grazie all’ “eroismo del popolo ucraino”, a Donald Trump e anche alla fermezza dell’Europa il presidente russo fosse stato costretto ad “aprire uno spiraglio”. Era stato un passaggio sostanzialmente trumpiano: quello spiraglio lo vedevano già solo il presidente degli Usa e la presidente del Consiglio italiana. Tuttavia la forzatura, pur vistosa, era ancora possibile. Ieri, dopo il violentissimo attacco su Kiev, non lo era già più. Tajani, nella conferenza stampa finale, lo dice chiaramente: “I tempi non sono così brevi come qualcuno ha pensato”. Entro la fine dell’anno, ipotizza il ministro ma è un auspicio e nulla di più.

Non che le cose cambino molto. La premier alza la voce: “Questi attacchi dimostrano chi sta dalla parte della pace e chi non ha intenzione di credere nel negoziato”. Ma sul fronte della sempre meno probabile missione “di pace” non cambia una virgola. L’equilibrio della maggioranza si basa sulla scelta di non partecipare ad alcuna spedizione se non su mandato Onu e su questo sono tutti d’accordo senza bisogno di grandi mediazioni. Il problema potrebbe porsi se quel mandato ci fosse. Salvini potrebbe impuntarsi anche in quel caso ma è una vertiginosa concatenazione di periodi ipotetici e nessuno nella maggioranza intende azzuffarsi su una ipotesi che è remota e comunque molto lontana nel tempo.

Dunque Tajani non si sposta di una virgola: “Lo abbiamo sempre detto: non invieremo soldati sul terreno ucraino e nessuno ha mai parlato di truppe italiane in Ucraina”. Non che l’idea non continui a esserci, ammette il ministro degli Esteri. Per le garanzie di sicurezza, base di ogni possibile mediazione, “le due ipotesi in campo sono un meccanismo simile all’art. 5 del Trattato Nato e il dispiegamento ma noi non siamo disponibili all’invio di truppe combattenti”. Ci mancherebbe. La proposta alternativa, il simil articolo 5, viene proprio dall’Italia e Trump la ha fatta propria.

Diverso, ma più nell’apparenza che nella sostanza, è il discorso per quanto riguarda l’eventuale funzione di sminamento affidata all’Italia. Quella sarebbe “una missione umanitaria”, l’Italia avrebbe tutte le possibilità di procedere sia nel Mar Nero che sul terreno, certo con l’accordo di tutti Russia inclusa. Però “sono discorsi teorici, non è stata presa alcuna decisione. Prima deve finire la guerra”. Alla Farnesina in realtà ci credono poco. L’ipotesi che la Russia accetti truppe di un Paese Nato, sia pure in funzione umanitaria, è molto più che solo teorica.
Una cosa tuttavia è cambiata o sta cambiando. A ridosso dei vertici in Alaska Washington a Roma non davano un soldo di credito alle sparate dell’Alta commissaria Kallas sulla necessità di varare nuove e durissime sanzioni in settembre. Con “lo spiraglio” che sembrava davvero aperto, muovere un passo che lo avrebbe probabilmente richiuso sembrava quasi farneticante.

Qui il quadro si è capovolto e l’attacco di ieri è stato da questo punto di vista decisivo. “Quel che sta facendo la Russia è inaccettabile e stiamo valutando nuove sanzioni”, conferma Tajani. L’Italia sarà favorevole ma insiste su sanzioni “di tipo finanziario perché il tema è proprio quello: il finanziamento dell’esercito russo”. È probabile che i duri, Kaja Kallas ma anche Macron, chiederanno di andare oltre il terreno finanziario e allargare quanto più possibile l’area sanzionabile. Ma se Putin continua ad alzare la potenza di fuoco per le colombe come di fatto è ormai l’Italia ci sarà poco spazio. Quasi di sfuggita Tajani ha parlato anche dell’altra guerra, quella in Medio Oriente. L’Italia chiede di irrigidire le sanzioni contro le colonie, ma di misure contro i ministri israeliani o di sanzioni commerciali per ora a Roma non se ne parla.

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