venerdì 4 aprile 2025

Martha Argerich la più grande e longeva pianista vivente, in una rarissima intervista al New York Times (da Il Post)

 

La più grande pianista vivente ha 83 anni, e non vuole smettere

Martha Argerich continua a suonare in giro per il mondo, a stupire il pubblico con i suoi virtuosismi e a parlare poco con i giornalisti

Martha Argerich in concerto a Bologna nel 2024 (Roberto Serra/ Iguana Press/Getty Images)
Martha Argerich in concerto a Bologna nel 2024 (Roberto Serra/ Iguana Press/Getty Images)
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Martedì il New York Times ha pubblicato una lunga intervista alla musicista argentina Martha Argerich, che ha 83 anni ed è considerata la più grande pianista in attività. È una cosa che succede di rado: anche se suona spesso dal vivo, Argerich è infatti notoriamente riluttante a parlare con la stampa. Negli anni il suo carattere schivo e la sua tendenza a evitare le interviste sono diventate mitiche nell’ambiente della musica classica, e lei stessa ha detto in più occasioni che preferisce fare musica, anziché parlarne.

In più di sessant’anni di carriera Argerich ha suonato con le principali orchestre del mondo, registrato moltissimi album e interpretato con uno stile personale e apprezzato un repertorio estesissimo, che va da Johann Sebastian Bach a compositori più contemporanei come Béla Bartók. È ammirata in tutto il mondo per la tecnica formidabile, la grande espressività, il carisma e l’attività da concertista, che continua a essere piuttosto intensa malgrado l’età.

Il giornalista del New York Times Javier C. Hernández ha raccontato che ha dovuto «trovare ogni espediente possibile» pur di superare la ritrosia di Argerich e convincerla a fare due chiacchiere. Per farlo l’ha accompagnata durante alcuni concerti che Argerich ha tenuto durante l’inverno in Svizzera, il paese in cui vive. Anche se hanno trascorso del tempo insieme, «raramente [Argerich] era dell’umore giusto per parlare», ha evidenziato Hernández.

Le risposte di Argerich sono state perlopiù concise ed ermetiche: ha parlato per esempio della sua venerazione per il compositore tedesco Robert Schumann, che considera «il più vicino alla sua anima», e del fatto che le capita spesso di dubitare delle sue capacità nonostante l’enorme talento che tutti le riconoscono: «Ho molte insicurezze: penso sempre che non andrà bene, che non sono preparata abbastanza».

(Roberto Serra/Iguana Press/Getty Images)

Ma gli stringati colloqui con Hernández hanno toccato soprattutto un aspetto: la straordinaria longevità della carriera di Argerich. Anche se ha 83 anni, la sua agenda di impegni è ancora fittissima: l’anno scorso ha tenuto più di 80 concerti in giro per il mondo, suonando in diversi paesi europei e infilando nel mezzo due tournée in Cina e in Giappone.

Anche il suo modo di stare sul palco contrasta con l’immagine di un’ultraottantenne. Mentre con l’andar degli anni la maggior parte dei pianisti perde per forza di cose lucidità e vigore, le performance di Argerich sono ancora spettacolari e piene di virtuosismo: continua a muoversi sullo strumento con velocità e precisione, dimenandosi in modo sfrenato e dando grande spazio all’espressività facciale (le sue smorfie diventano spesso dei meme tra gli appassionati di musica classica).

Argerich ha detto di trovare «un po’ assurdo» il fatto che sia ancora in attività. «Non so cosa sto facendo, e neppure perché sono ancora qui», ha detto citando i molti suoi colleghi che negli ultimi anni sono morti o hanno dovuto abbandonare l’attività da concertisti per i loro problemi di salute. Uno di questi è il rinomato violoncellista lettone Mischa Maisky, un caro amico di Argerich, che l’anno scorso aveva dovuto annunciare il ritiro a causa di un’infezione al midollo spinale.

Argerich ha raccontato anche che l’anno scorso, durante una trasferta negli Stati Uniti, cadde sul pavimento di una camera d’albergo, procurandosi lividi alle braccia e al viso. In quel momento sentì l’esigenza di contattare Maisky per convincerlo a tornare a suonare. «Mi sono sentita improvvisamente connessa a lui. Non ho mai provato niente del genere». Dopo quella caduta, Argerich ha convinto Maisky a ripensarci: a fine marzo hanno suonato insieme al festival Le Piano Symphonique di Lucerna.

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Argerich è nata a Buenos Aires, in Argentina, il 5 giugno 1941. Figlia di un maestro di matematica e di un’insegnante di pianoforte, da piccola sognava di diventare un medico, ma non ebbe troppo tempo per pensarci: la madre la indirizzò allo studio dello strumento fin da piccola, e con un fare inflessibile. «Mi diceva che il mio unico fidanzato sarebbe stato il pianoforte, non potevo fare altro che suonare», ha detto.

Apprese i primi rudimenti da Vincenzo Scaramuzza, un pianista crotonese emigrato in Argentina e famoso per i suoi metodi di insegnamento innovativi e irrituali per i tempi, che trascuravano gli esercizi di tecnica fini a sé stessi per concentrarsi fin da subito sull’esecuzione dei repertori.

Scaramuzza formò molti pianisti argentini di fama come Bruno Leonardo Gelber, Fausto Zadra e Rolando Nicolosi; negli anni Ottanta, ricordando i pomeriggi trascorsi a studiare con lui, Argerich disse che «tutte le difficoltà che per un giovane pianista sono dei veri problemi, alla scuola di Scaramuzza si superavano con naturalezza. Conosceva molto bene tutti i segreti del pianoforte».

Già durante le scuole medie, Argerich aveva accumulato una notevole esperienza come concertista: quando aveva 14 anni, con l’aiuto di Juan Domingo Perón, allora presidente dell’Argentina, si trasferì con la famiglia a Vienna, in Austria, dove proseguì la sua formazione con il pianista austriaco Friedrich Gulda, uno dei più grandi interpreti del repertorio di Beethoven dello scorso secolo.

La tappa successiva fu New York, la città in cui si trasferì alla fine degli anni Cinquanta per costruirsi una carriera da concertista. Le cose però andarono diversamente: Argerich non riuscì ad adattarsi ai ritmi frenetici della città, e cadde in depressione. Smise di suonare per un paio d’anni e trascorse la maggior parte del tempo chiusa in casa, bevendo birra e guardando la televisione fino a tarda notte. «Era come essere abituati a correre, e poi rendersi conto di non riuscire più neppure a camminare», ha detto ricordando quel periodo.

La sua consacrazione come pianista avvenne nel 1965, quando vinse il primo premio al Concorso pianistico internazionale Fryderyk Chopin di Varsavia (Polonia), uno dei più prestigiosi al mondo. Il pubblico rimase stupito dal suo virtuosismo, i critici scrissero che il suo modo di suonare «ricorda un sussurro» e cominciarono a scomodare paragoni con il musicista che dava il nome all’evento. Ad Argerich fu dato anche un soprannome: il turbine dall’Argentina.

Negli anni Settanta Argerich diventò famosa soprattutto come solista, ma dal decennio successivo si è dedicata esclusivamente ai concerti in orchestra. Parlando di questo aspetto, Argerich ha detto a Hernández che le esibizioni da solista la fanno sentire sola, come «un insetto esposto alla luce».

Argerich è stata sposata con tre musicisti: il compositore e direttore d’orchestra cinese Robert Chen, con cui ebbe Lyda Chen-Argerich, la sua prima figlia, che lavora come violinista; il direttore d’orchestra svizzero, Charles Dutoit, padre della sua seconda figlia Annie Dutoit; e il pianista statunitense Stephen Kovacevich, con cui ha avuto la sua terza figlia, la regista Stephanie Argerich.

Anche se divorziarono nel 1973, Argerich e Dutoit continuano ancora a lavorare insieme. Una parte della vita di Argerich e della sua relazione con Kovacevich sono raccontate nel documentario Bloody Daughter (2012), diretto da sua figlia Stephanie.

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