È sempre più l’ora della mediazione di pace in Ucraina. E sempre meno quella di Volodymyr Zelensky. L’escalation di bombardamenti russi, l’avanzata dell’esercito di Mosca, le difficoltà delle truppe di Kiev, lo stallo dei negoziati, l’emergenza umanitaria, la fuga dall’arruolamento spingono il Paese in guerra da oltre tre anni a vedere solo ombre all’orizzonte. Metà della popolazione considera l’attuale situazione «negativa», certifica il sondaggio di fine marzo del centro Socis di Kiev che ha appena diffuso l’ultima rilevazione dell’ucraino-barometro. E l’opinione pubblica spinge verso un accordo che faccia tacere le armi: infatti il 56,5% chiede di «cercare una soluzione di compromesso che coinvolga altri Paesi per porre fine alla guerra». Un dato che in dodici mesi è quasi raddoppiato.
Invece si è dimezzata la percentuale di quanti vogliono continuare le ostilità. Meno di un ucraino su cinque è favorevole ai combattimenti a oltranza, fino alla riconquista delle regioni cadute in mano russa: il 20% del territorio, a cui va sommata la Crimea. Crolla, quindi, il mito della vittoria, intesa come cacciata dei battaglioni di Putin che ha alimentato la resistenza ucraina durante il conflitto e che è stato amplificato dai governi occidentali. Al tempo stesso, però, viene bocciato il congelamento degli scontri secondo l’attuale “spartizione” delle terre, che è considerato una via d’uscita accettabile solo dal 17,2%. La parola d’ordine diventa, quindi, “trattative”. E il 58% della popolazione dà credito alla delegazione di Kiev che sta conducendo i negoziati. Ma non all’amministrazione di Donald Trump che intende chiudere in tempi rapidi e a qualsiasi costo il “caso Ucraina”: appena il 39% promuove gli Usa come mediatori, mentre il 51,6% li silura.
È una nazione in crisi di fiducia l’Ucraina. E a farne le spese è il suo presidente. Zelensky è apprezzato dal 50,5% della popolazione, ma non è più il riferimento per il Paese. Viene superato da Valerii Zaluzhnyi, ex comandante delle forze armate che il capo dello Stato ha cacciato nel febbraio 2024: per dissensi sui piani militari, secondo la versione accreditata; per rivalità interne, in base ai rumours politici. Inviato in Gran Bretagna come ambasciatore, è oggi forte del 62% dei consensi. Il che significa che in caso di elezioni presidenziali sarebbe destinato a prendere il posto dell’ex comico. Lui non si sbilancia sulla candidatura: «Mentre la guerra è in corso, dobbiamo tutti lavorare per salvare il Paese e non pensare alle elezioni».
Eppure il voto bloccato dal conflitto tiene banco dentro e fuori l’Ucraina e fa finire sulla graticola Zelensky, inviso sia da Washington sia da Mosca. Il suo mandato è scaduto lo scorso maggio, ma la legge marziale impedisce che si torni alle urne. Se gli Usa premono per le elezioni appena dopo il cessate il fuoco e se Putin lancia la provocazione di un’amministrazione provvisoria sotto l’egida dell’Onu per aprire i seggi al più presto, l’Ucraina ripete che occorre fermare le ostilità. «Senza la partecipazione dei soldati, dei cittadini nei territori occupati e di quelli all’estero, i risultati non sarebbero corretti», avverte Zelensky. L’ipotesi è quella del voto a marzo 2026 perché va «ridisegnato l’intero percorso elettorale in base alla nuova realtà che scaturirà dai negoziati», fa sapere l’ufficio elettorale del Parlamento.
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