(ANSA) - MILANO , 07 DIC - "I giudici hanno detto che è illegittimo il licenziamento della maschera che alla Scala ha gridato 'Palestina libera' e quindi urliamo insieme al teatro 'Palestina libera!'": in piazza Scala a Milano come ogni 7 dicembre vanno in scena le proteste in occasione dell'inaugurazione della stagione lirica del teatro.Da un lato è in corso il presidio per il mondo dello spettacolo organizzato dalla Cgil, dall'altro ci sono manifestanti di Cub e proPal insieme.
All'altoparlante, in collegamento telefonico, è intervenuto anche Mohammad Hannoun, presidente dell'associazione palestinesi d'Italia, che ha ricevuto un foglio di via di un anno da Milano. "Noi e per sempre siamo antisionisti, non antisemiti, e perseveremo. Vi dico di continuare con la vostra mobilitazione e i vostri cortei. Continueremo per denunciare Israele e coloro che lo sostengono per una Palestina libera". (ANSA).
(LaPresse) Presidio dei lavoratori dello spettacolo davanti al Teatro Alla Scala dove domenica sera andrà in scena la prima di «Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk» di Dmitrij Šostakovič. «Siamo qui oggi per dire che i lavoratori della cultura devono tornare al centro della visione di un Paese, mentre il governo ha in testa solamente quello di occupare le istituzioni culturali senza dare dignità a un lavoro, che è un lavoro intermittente, un lavoratore oggi non ha ancora la certezza del suo periodo contributivo». Così il segretario generale della Cgil di Milano, Luca Stanzione, a margine del presidio. «Un Paese distratto, mentre da Milano possiamo dire che questo settore, che è quello della cultura e della conoscenza, è un settore cruciale per il Paese - ha proseguito Stanzione -. Noi siamo uno dei principali Paesi che può vantare così tanti artisti, così tanta produzione culturale e da Milano possiamo dire che siamo la capitale della cultura, con il 25 per cento del prodotto interno lordo delle economie della conoscenza che è prodotto a Milano», ha concluso il sindacalista.
Un gruppo di professori d’orchestra e coristi del Teatro alla Scala, impegnati nella serata inaugurale, è infatti sceso in piazza per esprimere il proprio dissenso contro le politiche nazionali sullo spettacolo dal vivo. Hanno eseguito il celebre “Va’, pensiero” in segno di protesta, chiedendo maggiori investimenti nella cultura e la fine delle interferenze politiche nella gestione degli enti culturali. «Questo presidio parla a tutto il Paese – ha dichiarato Luca Stanzione, segretario della Cgil Milano – e dice al governo che non ci arrendiamo all’idea che si occupi di posizioni nella cultura senza occuparsi delle lavoratrici e dei lavoratori. Serve sostenere l’economia della conoscenza, non quella di guerra».
Solidarietà è arrivata anche da altre realtà del settore: dai teatri Bellini di Catania e Regio di Torino, alle fondazioni lirico-sinfoniche, fino alle orchestre Sinfonica di Milano e Siciliana. Presenti anche due lavoratori della Fenice di Venezia, in mobilitazione dopo la nomina di Beatrice Venezi a direttrice musicale. «Siamo molto preoccupati. La cultura non può piegarsi a ingerenze politiche. Chiediamo il sostegno dell’opinione pubblica: stateci vicini».
Editoria, il Domani: "Del Vecchio offre a Elkann 140 milioni per Gedi"
(Adnkronos) – La trattativa per la vendita di Gedi al gruppo Antenna, controllato/ dall’armatore greco Theo Kyriakou, non è ancora chiusa. Il negoziato è entrato nelle fasi cruciali: la cifra proposta, circa 140 milioni di euro, ha infatti soddisfatto le richieste di John Elkann. Ma nell’operazione potrebbe esserci un colpo di scena in extremis, l’inserimento, come anticipato due settimane fa da Domani, di un altro attore, questa volta tutto italiano. Martedì scorso, infatti, Lmdv Capital, il family office di Leonardo Maria Del Vecchio, ha presentato ai cda di Gedi e di Exor (che la controlla) un’offerta ufficiale di 140 milioni di euro tondi tondi, pareggiando la proposta formulata dal veicolo di Kyriakou. Lo riporta il Domani.
Del Vecchio, uno degli eredi del fondatore di Luxottica, scrive il quotidiano, avrebbe così messo sul tavolo una cifra consistente, in linea con le richieste di Elkann (che in realtà considera l’asset non inferiore a 150 milioni di euro, ma sono inezie), e spera di convincere il giovane Agnelli a dare a lui il gruppo editoriale. Nell’iniziativa non c’è alcun coinvolgimento del resto della famiglia Del Vecchio, né tantomeno della Delfin, la holding finanziaria di famiglia guidata da Francesco Milleri, protagonista del risiko bancario di questi ultimi mesi. L’offerta di Del Vecchio, a differenza di quanto scritto da alcuni retroscena, prevederebbe, si legge ancora sul Domani, l’acquisizione in blocco di tutto il gruppo: non solo Repubblica ed emittenti radiofoniche (la “corona della regina” Radio Deejay, M2O e Radio Capital), ma anche La Stampa, Huffington Post, i periodici Limes e National Geographic. Nel caso in cui l’acquisizione dovesse andare in porto, l’intenzione di Del Vecchio, a differenza di quella di Kiriakou, sarebbe quella di conservare la proprietà di tutte le testate.
Il greco, a ora, non crede che la Stampa (che avrebbe debiti di circa 30 milioni, secondo chi ha analizzato i conti scorporati delle varie testate) possa far parte in futuro del perimetro del nuovo colosso editoriale, e così potrebbe essere riallacciata, una volta comprata Gedi, la trattativa che Exor a iniziato con il gruppo editorale Nem guidato da Enrico Marchi, oggi congelata. Idem per l’HuffPost, a cui sono interessati certamente due aziende di peso. Dopo l’offerta finale arrivata a fine novembre, la trattativa tra Gedi e Antenna non è chiusa, come invece veicolato su alcuni media, ma ha fatto certamente nuovi importanti passi in avanti. Ed è entrata nella fase warranty, cioè della trattativa sulle garanzie assegnate al compratore, che è titolare del diritto di acquistare Gedi al prezzo prestabilito entro una data di scadenza fissata, che è ancora ignota. Ci vorrà almeno un mese e mezzo per mettersi d’accordo. In questo pertugio temporale, Del Vecchio jr. spera di tentare Elkann a “cambiare cavallo”. Non sarà affatto facile, visto che la partita con i greci sembra alle battute finali, ma il giovane imprenditore punta sulla nazionalità sua e della sua azienda e, nel caso la sua offerta venga bocciata dai cda (che hanno comunque l’obbligo di discuterla), farne un’altra rilanciando sul prezzo.
Qualche esperto, poi, suggerisce che Exor, puntando su Kyriakou e il suo socio saudita Bin Salman (Domani ha scoperto che il principe che ha dato ordine di uccidere il giornalista Jamal Khashoggi controlla, attraverso il fondo sovrano Pif, il 30 per cento di Antenna), potrebbe trovare un ostacolo, riporta il Domani, nell’esercizio del golden power da parte del governo. La questione non riguarda ovviamente i giornali, bensì l’uso delle frequenze radiofoniche, che potrebbero essere considerate asset strategico nazionale nell’ambito comunicazioni. Golden power che invece non riguarderebbe Del Vecchio, essendo il rampollo italianissimo.
Cosa pensa Palazzo Chigi della doppia ipotesi è difficile dirlo. È un fatto che Elkann abbia settimane fa avvertito Giorgia Meloni della trattativa con Kyriakou. I due dopo anni di tensioni e scontri durissimi hanno riallacciato rapporti cordiali. La premier, scrive il quotidiano, ha preso atto, e ha detto ai suoi che non s’immischierà in nessun modo nella vicenda. Che viene seguita con attenzione e preoccupazione soprattutto dalla sinistra e dal Pd, che ha nel gruppo editoriale, e in particolare in Repubblica, uno dei suoi storici punti di riferimento editoriali. A prescindere dall’esito dell’operazione di cessione di Gedi (anche se alla fine, con ulteriore colpo di scena, Elkann dovesse decidere di non vendere) le redazioni di Repubblica e Stampa andranno comunque verso una riduzione del numero dei giornalisti. Ma gli esuberi ipotizzati (anche nelle fasi di trattativa con i greci) sono legati solo a prepensionamenti, nella speranza che il governo rifinanzi il prima possibile il fondo straordinario per l’editoria.
In caso di accesso a queste risorse, la proprietà (nuova o vecchia che sia) secondo i calcoli di Gedi potrebbe mettere mano al prepensionamento di circa 100 giornalisti a Repubblica nei prossimi 24 mesi e di altri 40 alla Stampa. Un’operazione che aiuterebbe i conti di due testate in sofferenza, ma un patrimonio dell’editoria italiana da salvaguardare a ogni modo.