domenica 23 marzo 2025

Al Quirinale, il palazzo con più stanze a Roma ( circa 1.200) non ci potrebbe scapparci una 'cameretta' per noi? ( da Funweek Roma)

 

E' il palazzo con più stanze di Roma: difficile non perdersi dentro

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l'ha descritto come un Palazzo vivo e vitale per la democrazia italiana, stiamo parlando del Palazzo del Quirinale a Roma, in Piazza del Quirinale. L'edificio è la sede principale del Presidente della Repubblica ed è ricco di opere d'arte, storiche e culturali dal valore inestimabile.

Palazzo del Quirinale a Roma, cosa c'è da sapere

Non tutti sanno che l'acquirente del Palazzo del Quirinale a Roma fu Papa Sisto V che alla fine del Cinquecento decise di comprare l'edificio per trasformarlo nella sede pontificia.

Con l'arrivo di Napoleone a Roma, l'assetto cambiò poiché la sa intenzione era quella di trasformare il maestoso Palazzo nella residenza dell’Imperatore. E proprio quando Papa Pio VII venne arrestato e deportato in Francia, Napoleone iniziò i lavori di ristrutturazione per adattare le stanze al suo gusto neoclassico.

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L’architetto responsabile fu Raffaele Stern che raggruppo artisti come Felice Giani, Jacques Dominique Ingres e Bertel Thorvaldsen. Nonostante il grande progetto e un gruppo di professionisti, Napoleone non riuscì a realizzare il suo sogno. Infatti, il Palazzo tornò nelle mani del papa, Pio VII.

Video correlato: E' il palazzo con più stanze di Roma: difficile non perdersi dentro (FUNweek)

Fino al 1870, il Palazzo rimase una residenza secondaria per i pontefici per poi passare alla famiglia reale italiana, i Savoia. Nel 1946, l'anno del referendum, il Quirinale divenne la sede istituzionale del Presidente della Repubblica.

Le stanze del Quirinale

Oltre ad essere la sede del Presidente della Repubblica, il Palazzo del Quirinale è uno dei dieci palazzi con la superficie più ampia a livello mondiale: 110.500 metri quadri. L'edificio si suddivide in 1.200 stanze, numerose sale, scalinate e corridoi.

Famoso è lo Scalone d’onore a doppia rampa spezzato da un pianerottolo che si affaccia sui giardini del Quirinale.

C'è poi il Salone delle Feste, originariamente destinato ad ospitare i pranzi ed i balli. Si tratta di una stanza maestosa che possiede lampadari e due grandi specchiere. Caratterizzato anche dal balconcino che si affaccia sulla sala, dedicato ad ospitare i musicisti incaricati di accompagnare i banchetti e le danze di corte. Al suo interno avvengono pranzi di Stato, il giuramento del nuovo governo, le cerimonie e le udienze.

Infine, il Salone dei Corazzieri è uno spazio utilizzato per importanti cerimonie e udienze. Si tratta della sala più grande e imponente del palazzo.

Il Papa rientra in Vaticano dopo 37 giorni di degenza al Gemelli. Prima però passa da Santa Maria maggiore

 

Il Papa è rientrato in Vaticano, prima fiori a S. Maria Maggiore© Provided by ANSA

 Il Papa è entrato in Vaticano. Il corteo ha fatto ingresso dalla Porta del Perugino, la più vicina a Santa Marta. Francesco prima di entrare la 500 si è fermata brevemente per consueto saluto alle forze dell'ordine.

Una volta lasciato il Gemelli Papa Francesco ha fatto un fuoriprogramma: si è recato a Santa Maria Maggiore e ha lasciato un mazzo di fiori all'ingresso laterale della basilica in segno di ringraziamento alla Madonna dopo la lunga degenza. I fiori sono stati lasciati all'ingresso della sacrestia. Francesco non sarebbe entrato in basilica. Poi il corteo di auto ha ripreso la strada per il Vaticano. (ANSA).

Ripensando a Pierre Boulez ( 100 anni dalla nascita) ci sovviene un ricordo di molti anni fa, nel quale c'entra ancora una volta quel Michele dall'Ongaro verso il quale tutti i lettori di questo blog sanno quanto grande sia la nostra disistima



Nel precedente post (questa prima parte si legge nel nostro blog in data non recente) abbiamo accennato alla nostra collaborazione al settimanale di 'Repubblica' 'Musica rock e altro', uscito negli anni Novanta. Noi naturalmente scrivevamo dell'altro cui il titolo faceva riferimento. E per questo forse ci sentivamo anche altro dalla redazione, della quale non facevano parte  i critici musicali 'classici' del quotidiano. Collaborava al settimanale anche Vincenzo Cerami. Dopo una riunione di redazione, una delle pochissime alle quali partecipammo, finita la discussione,  Cerami e noi uscimmo, dopo aver salutato tutti. All'uscita Cerami ci venne vicino e ci disse, candidamente: 'cosa c'entriamo noi con quelli?', indicando l'intera redazione del settimanale che era fatta di rockettari. Non voleva alludere a nulla di diverso in fatto di generazione, pochi anni separavano semmai  qualcuno di loro  da noi;  si trattava piuttosto di diversa formazione. Insomma dopo qualche anno di collaborazione, durante la quale continuammo a  sentirci come corpo estraneo, anche perchè qualche critico classico di 'Repubblica'  chiedeva a noi la ragione della sua esclusione dalla redazione del settimanale musicale, decidemmo di uscirne.
Il nostro posto lo prese  un musicista che allora non aveva tutto il potere che ha oggi (Michele dall'Ongaro, ndr), ma che  su quel potere, allora ridotto, andava già costruendo le sue future fortune. La sua permanenza durò poco, anzi pochissimo, per una bufala vergognosa che rifilò al giornale appena vi mise piede.
  Andiamo un momento indietro nella storia. In una delle ultime venute a Roma di Pierre Boulez con i Wiener, la DG organizzò con il celebre musicista una intervista pubblica, nell'albergo in cui risiedeva. Boulez parlava francese e noi eravamo fra i pochi giornalisti presenti a parlar quella lingua e dunque a dialogare con lui.  

Quell'intervista la pubblicammo sul mensile SUONO. Era una bella, ricca, circostanziata intervista. Passano gli anni e il nostro sostituto al settimanale di Repubblica, in una delle sue prime uscite, pubblica una intervista a Boulez. Leggendola ci domandammo quando quella intervista avesse avuto luogo. E pensammo anche: bel colpo! Poi man mano che andavamo avanti nella lettura, scoprivamo di conoscere già le risposte del musicista.

Fu allora che andammo a riprendere la nostra intervista uscita  su 'Suono' e...con grande meraviglia scoprimmo, confrontando le due interviste che buona parte di quella pubblicata su 'Musica rock e altro', e quindi spacciata per intervista fresca di giornata, non era che quella nostra intervista di qualche anno prima copiata per la gran parte, parola per parola.

Fotocopiammo 'Suono'  e la stessa cosa facemmo con 'Musica rock e altro' ed inviammo i due testi, nei quali avevamo evidenziato i passi, numerosi, comuni, anzi identici, a  Roberto Campagnano, allora  responsabile del giornale,  per fargli capire quale polpetta avvelenata avesse inviato alla redazione il nuovo arrivato, nostro sostituto. E così, naturalmente, terminò nel breve volger di qualche settimana la carriera giornalistica di quel signore che tuttavia proseguì a grandi passi la sua avanzata  in altri campi. E tuttora continua.

Roberto Campagnano ci rispose





 Caro Pietro,

è tanto che non ci sentiamo. Ti scrivo perché ho visto che sul tuo blog, dopo aver fatto gli auguri a Barbapapà, hai scritto un altro articolo su “Repubblica” e in particolare sulla tua collaborazione a “Musica rock e altro!” in cui mi citi a proposito di un incidente di cui io sarei stato in qualche modo responsabile.  Prima di affrontare quell’argomento però, lasciami spendere due parole a proposito di quella testata a me tanto cara che chiuse i battenti a causa della cecità dell’editore e non perché la rivista non avesse riscosso il successo che speravamo. Il discorso fu questo: siccome dobbiamo stampare le stesse copie del giornale e anzi, circa trentamila in più, senza sovrapprezzo la spesa diventa eccessiva. Quindi prima la trasformazione dal formato grande a formato Venerdì, poi rifilatura di un centimetro in altezza e in larghezza, infine chiusura, salvo poi riscoprire la generazione XL e il nuovo mensile che, quello sì, è stato un bagno di sangue. E anche a proposito dell’”altro”.

Era un mio pensiero di fondo, una mia filosofia personale che Scalfari condivise: ai nostri giovani lettori parliamo di musica rock, ma ne approfittiamo per  diffondere germi in tutte le direzioni, a partire naturalmente dalla musica classica. Pensavo allora, come adesso, che la musica è una sola e rock e classica devono andare a braccetto. Colpa della diversa formazione è la scuola (ed è il motivo per cui da molti anni mi sono appassionato al Sistema Abreu nel quale queste differenze non ci sono) .

Ho preferito non coinvolgere Zurletti, Villatico e Foletto e scegliere critici musicali fuori dal giornale.  Altro discorso per Castaldo e Assante, critici  “rockettari” come tu li definisci e quindi in linea con la testata. Molte persone che hanno lavorato a quel settimanale ne hanno capito e condiviso il senso. Cerami in testa, che ci è stato vicino sempre partecipando a tutte le riunioni di redazione. Altri semplicemente non hanno voluto condividere il  progetto e a poco a poco se ne sono allontanati. Mi dispiace che tu (e altri forse ma non Cerami) vi siate potuti sentire dei corpi estranei. 

Ma veniamo al caso in questione.  A puro titolo di cronaca: la persona alla quale tu fai riferimento, un altro caro e stimato amico (parla naturalmente di Michele dall'Ongaro, ndr) aveva cominciato a collaborare alla mia rivista (non prese il tuo posto: non c’era un posto e dunque nessuno da sostituire) e fra le varie proposte mi offrì un possibile incontro con Boulez (dopo le bellissime dichiarazioni che qualche tempo prima il Maestro aveva fatto sul valore della musica rock) che avrebbe dovuto incontrare nel corso di una conferenza stampa. Il giornalista ( sempre dall'Ongaro, ndr) mi portò l’articolo che nel cappello specificava che l’incontro era avvenuto durante la conferenza stampa. Io ritenni opportuno tagliare quell’inizio, che consideravo inutile per il lettore, senza però spacciare l’articolo per “intervista esclusiva”. Nessuna bufala dunque, né polpetta avvelenata. Sai che è consuetudine giornalistica riportare in un articolo le risposte che il personaggio in questione dà alla collettività dei giornalisti convenuti. Accade spesso – proprio perché è una conferenza stampa, che gli articoli si somiglino molto o siano proprio uguali. Per questo motivo è apprezzabile la regola odierna di evitare le conferenze stampa. Nel caso in questione comunque non fu quello il motivo dell’interruzione della collaborazione, che invece continuò per qualche anno anche in altri ambiti del giornale, né tantomeno della cessazione di un’antica amicizia. Come la nostra del resto. Visto come ti seguo con attenzione? Un abbraccio affettuoso a te. 

Roberto ( Campagnano)   




Che splendido scrittore Pierre Boulez. Una brevissima dichiarazione del musicista, rilasciataci nel corso di un incontro a Villa Medici, offrì a Mario Bortolotto l'occasione per scrivere di Boulez e di Maderna 'secondo Boulez'

 Quale splendido scrittore sia Pierre Boulez è inutile ripetere: il fascino di una sintassi ondulosa, piena di sottili capziosità, di calcolate tergiversazioni, di finte giravolte, non ha probabilmente pari nella letteratura musicale di oggi: anche in questo ambito, così esposto agli equivoci, il maestro può ragionevolmente considerarsi come l’erede legittimo di una tradizione illustre: gli articoli di Debussy, le lettere (e i rari scritti) di Ravel. 


Si è letto proprio su questa rivista ( Piano Time, ndr) un piccolo ricordo di Bruno Maderna, ‘Quell’elefante leggerissimo’, dettato in fretta ( al direttore della rivista, Pietro Acquafredda, ndr), e sembra impossibile, e tradotto in italiano: non siamo dunque nella possibilità di tentare un minuscolo assaggio di Stilkritik. E tuttavia, ve n’è a sufficienza per scorgere, leggera come lo scomparso del titolo, e di ben altra grazia, la mano di un eccezionale virtuoso del fioretto. 

Boulez, naturalmente, trascura anzitutto l’ovvio: le qualità del didatta, così pronto ad aiutare gli esordienti, dello studioso, dell’animatore, cui tanti compositori oggi celebri devono più di un’indicazione, o di un avvio. Non dice del pari nulla sulle sue più che discutibili doti di direttore: mediocre senza remissione, come ognun sa, ma musicalissimo, sempre capace poi di improvvise illuminazioni: oggi massacrando Monteverdi (e orribilmente orchestrandolo), domani malmenando Mozart, e poi accendendo di improvvisi bagliori una pagina di Mahler, o di Webern, da lasciarci sbalorditi e sconvolti. 

Boulez punta subito sul compositore. Nello spazio di poche righe, ci ricorda con implacabile garbo quanto fosse naturalmente dotato: «era un grandissimo improvvisatore». Ma la via verso la composizione è acerrima, e la fatica non sembrava addirsi al collega. L’attività di direttore d’orchestra gli ha tolto «tempo prezioso»: inutile osservare, a questo punto, che le buone prediche vanno bene anche quando il pulpito è sospetto. (Siamo ovviamente carichi di simpatia per lo svillaneggiato padre Zappata, che poi razzolava male: forse che, quando leggiamo Bossuet, ci domandiamo se poi mettesse in pratica i suoi dolcissimi precetti?)

L’impazienza, la stessa «curiosità» del musicista veneziano traducevano una incapacità a riflettere sulle ragioni formali di fondo, sì da concedergli pagine vivacissime, financo geniali ma da impedirgli poi di stringerle nella sperata unità. In lui, dannatamente, tout ne se tient pas. Anche le modalità di scrittura intervengono pesantemente. Certo i documenti conservati nell’Archivio della Fondazione Paul Sacher saranno «preziosissimi», ma subito s’aggiunge: «pur nella loro frammentarietà». Gli interpreti così non sono in grado, magari, di rendere un pensiero che non si è compiutamente definito: non si arriva a dichiarare che si tratta di brogliacci, stracarichi di segni di varia mano, ma si nota come «ciascuna opera comporti problemi talvolta insormontabili, di costruzione e di interpretazione». Un meno abile avrebbe semplicemente detto che gli abbozzi venivano poi, in vita dell’autore, consegnati alle estrose manipolazioni del momento ma, per le esecuzioni odierne, si tratta di ricominciare ad inventare. Non mancherà chi poi sappia ricordare tutto. Sono cose non nuove: Glazunov e Rimskij Korsakov, ai loro bei giorni, stesero l’ouverture del Knjaz’ Igor di (?) Borodin; avendogliela sentita suonare più volte al pianoforte. 

Ultima amara osservazione: la morte precoce, come in ogni dérèglement che si rispetti «troppo facilmente sedotto dall’aiuto bacchico», come gli scriveva, tre anni prima, l’amico Nono, intensamente sottolineando. 

Leggiamo questa affettuosa lettera in un volume, ‘Scritti su Bruno Maderna’, edito da Suvini Zerboni, il suo editore. Contiene analisi egregiamente condotte e una gran copia di informazioni, che sono naturalmente benvenute. Quando uscì il primo libro critico, quello brillante ed entusiastico di Massimo Mila, vi leggemmo, accanto ad episodi di un gusto costernante (le risate dei due davanti al ‘Quintetto op. 26’ di Schoenberg), anche un grazioso cenno di consenso: Mila prendeva garbatamente le distanze di fronte all’esclusione da noi compiuta in un libro del ’69: «quando stava appena per cominciare l’esplosione dell’ultimo Maderna»: esso libro «rispecchia l’opinione che tutti avevamo allora di lui». Ci sarebbe facile, a vent’anni di distanza, ricambiare sì amabile inchino, e inneggiare all’esplosione. Ma non ci sentiamo proprio di farlo: le ultime cose sono anche più velleitarie e sconnesse (senza stare a ripetere che contengono ancora e sempre momenti esaltanti), la disponibilità leggendaria verso tutto svela la mancanza di centro: qualcosa come i famosi «effetti senza causa». Ricordiamo bene la prima darmstadtiana del suo ‘Concerto per pianoforte e orchestra’: figuriamoci, con David Tudor alla tastiera. Gli dei benigni ci avevano dato come vicino Theodor Adorno che ascoltò con l’attenzione abituale. Poi, alla fine: «Dommage, car il connait tous les trucs».
                                                  ( di Mario Bortolotto, Piano Time)

Pezzenti che si candidano a governare una regione, mentre si fanno comprare con quattro soldi. Le accuse a Martusciello. Coinvolta la sua segretaria Lucia Simeone ( da Il Mattino)

 

Luciana Simeone e Fulvio Martusciello© - licenza temporanea -

Emergerebbero dei bonifici, quattro per la precisione, per una cifra complessiva che si aggira intorno a qualche migliaio di euro, che vedono come destinatario l'europarlamentare Fulvio Martusciello, dagli atti con i quali la procura belga ha chiesto l'arresto della sua segretaria Lucia Simeone.

E' quanto si apprende da fonti vicine all'inchiesta. La donna da oggi è ai domiciliari, nella sua Ercolano, in provincia di Napoli, dopo avere trascorso alcuni giorni in carcere a Secondigliano. Secondo quanto si apprende dall'avvocato Antimo Giaccio, Lucia Simeone si sarebbe recata a Bruxelles al massimo una dozzina di volte.

Lì condivideva l'abitazione, dove soggiornava in occasione di queste trasferte, anche con il portoghese Nuno Whanon Martins, con un passato da consigliere di Martusciello per il Medio Oriente, fermato in Francia dopo le perquisizioni nelle sue residenze in Portogallo.