Non è da oggi che il melologo incontra la simpatia,
interessata, di molti compositori e, fra gli italiani della quasi totalità. Il
melologo così ‘caro a Mozart’ - come ci ricorda
Fabio Vacchi, in procinto di presentarne uno alla Verdi di Milano, lo scorso 8 marzo,
sulla figura di una protofemminista come Veronica Franco - è tecnicamente un
brano che combina insieme parola e musica. Non alla maniera in cui i due
elementi si compongono in unità
stilistica nel melodramma, assumendo la
parola forma di canto accompagnato, ma
lasciando che parola e musica sfilino parallele nelle loro precise identità.
Ora
l’affermazione di Vacchi relativa a Mozart farebbe supporre la presenza
nel catalogo d’opera del musicista di uno o più melologhi; il che non è
assolutamente, nonostante Mozart abbia una volta espresso quella sua predilezione di musicista verso questo stile
che combina parola e musica. Nel caso di Mozart, perciò si hanno solo tratti di
musiche di scena nello stile del ‘melologo’, come in ‘Thamos, re d’Egitto’,
laddove la parola recitata viene ritmata, fraseggiata secondo precise
indicazioni del musicista che la sostiene con il suono strumentale. Ci sono, invece,
casi in cui questo stile si estende per una intera pièce teatrale o quasi, come
nel caso di ‘Enoch Arden’ di Richard Strauss, con accompagnamento del pianoforte - dove però
vi sono molti passi di puro teatro di prosa, senza accompagnamento musicale.
Ma perché oggi è tornato così di moda il melologo, che,
nel caso di Vacchi, non è il primo? Perché risolve ai musicisti non pochi
problemi. Molti musicisti prendono una figura, un autore, un testo di gran
moda, ma anche un grande film (ve n’è uno che si è specializzato nell’assumere
film celebri) - utile ai giornali
‘amici’ per parlarne - e ci mettono sotto il loro riconoscibile zum-pa-pa.
Altri problemi questo stile non ne dà, almeno
a loro. Troppo facile. La durata la decidono loro, naturalmente; quando e dove
inserire il testo, pure; come anche l’attore o attrice ai quali affidarne la
recitazione, sfruttando la notorietà momentanea di questa o quello (fra i tanti
ricordiamo il caso di un Toni Servillo melologante) e il gioco è fatto. Non serve
scomodare Mozart per accreditarlo. I problemi che, al contrario, il teatro
musicale - nel quale si potrebbe svolgere la medesima storia - pone oggi sono
tanti, tantissimi, e, di conseguenza, pochi, pochissimi i musicisti che si
misurano con la forma stessa del teatro musicale e con l’annoso problema di
come ‘cantare’. Nel melologo di Vacchi ci sono anche alcuni Lieder su poesie
originali della Franco, ma ciò non cambia la storia, né crea problemi, semmai
li risolve. Apparentemente.
Perciò sempre
meglio un melologo, magari su una figura femminile, come Vittoria Franco,
vittima dell’Inquisizione, protofemminista e - per Vacchi sarebbe stato il top
- anche ebrea e massone.
Appendice 1. Andràs Schiff,
il noto pianista e direttore, ripudia la sua patria che da qualche anno calpesta
libertà e diritti civili, l’Ungheria, che ha una storia gloriosa ma di libertà.
E, aggiunge, che per la stessa ragione non esegue Richard Wagner e Richard
Strauss perché sono stati opportunisti. Beethoven no! Forse che Schiff, senza
essere nè Wagner nè Strauss ( Richard), pensa di conoscere il loro profondo
mondo interiore e perciò di giudicarli come musicisti, sulla base delle
rispettive personalità umane?
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