In questi giorni Daniele Gatti è a Roma, sul podio dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia, per le Sinfonie di Schumann che dirigerà in due diversi concerti per due successive settimane. E già questo ci convince poco: grandi capolavori proposti come fossero patate, quando meriterebbero più rispetto e maggior tempo.
Come ci convincono ancora meno certe dichiarazioni senza senso che dovrebbero informarci della volontà di ricreare buoni e più regolari rapporti con i direttori che si sono succeduti alla guida dall'Accademia negli anni passati - che è come voler rimettere insieme i cocci di matrimoni naufragati. E, infatti, ironia della sorte, proprio mentre si vorrebbe dar corso a questo intento riappacificatore, il primo dei direttori invitati, Chung, è costretto a rinunciare per 'importanti problemi di salute'; staremo a vedere quanto 'importanti' siano stati i suoi problemi - per i quali comunque gli auguriamo di superarli bene e in fretta - dalla sua annunciata ed ancora non cancellata presenza sul podio della Fenice, nella settimana precedente la Pasqua.
Ed ora torniamo a Daniele Gatti che, dando fiato alle trombe, dapprima pacifiche poi combattive, ha raccontato di quei primi anni passati a Roma, ancora giovane e poco più che trentenne ( 1992-1997), quando - unica volta in Italia - venne preferito a Thielemann, come direttore stabile dell'Orchestra dell'Accademia ( a Thielemann toccò la medesima sorte alla Fenice di Venezia. E forse è anche per questo che gira alla larga dall'Italia?).
In quel caso, forse, la scelta di Gatti tenne unita l'Orchestra nel senso che il giovane direttore italiano catapultato su uno dei podi sinfonici più importanti, sicuramente attutì - sentendosi onorato per l'incarico ed avendo in fondo un buon carattere - i colpi che ogni giorno dovette subire, come ha rivelato in questi giorni, accennando appena, per non dire di più, che l'allora 'spalla' dell'Orchestra, Angelo Stefanato, non gli strinse la mano, avanzando il fatto 'che doveva suonare' ed una stretta possente avrebbe potuto rovinargli le articolazioni, mentre quella frase stava a dire: ti faremo vedere i sorci verdi, capito, giovincello?
La storia non è nuova; si ripete, non solo in Italia, ogni volta che arriva qualcuno in incarichi importanti. Anche per l'Orchestra dell'Accademia, dove invece sembrerebbe che i rapporti con Pappano siano stati sempre idilliaci, non è stato proprio così: anche Pappano ha dovuto studiare ed adottare una strategia, riuscendo ( ?) forse con il tempo a stabilire rapporti piuttosto non conflittuali.
Dopo l'esperienza ceciliana, che certamente a lui giovò più di quanto non giovasse all'orchestra -ricordiamo le facce di molti orchestrali, veri e propri lupi mascherati da agnelli, pronti ad azzannare qualunque pecorella fosse finita nel suo recinto - Gatti ha fatto una bella carriera - come altro definirila? - sicuramente una carriera più che onorevole, prevalentemente all'estero, dove ha ricoperto incarichi di prestigio - ed anche questa è storia vecchia - mentre in Italia è arrivato sempre secondo.
Teneva tanto alla Scala, dove aveva debuttato giovanissimo, sotto i trent'anni, specie dopo l'arrivo di Pereira, suo protettore a Zurigo, ed invece la Milano che conta - che, in questa decisione, ha contato più di Pereira - ha scelto Chailly che certamente ha avuto una carriera più luminosa di Gatti, ma sempre all'estero (Amsterdam e Lipsia) prima di tornare in Italia; si era fatto il suo nome, ad intervalli regolari anche per l'Opera di Firenze, dopo il benservito a Zubin Mehta, ed invece a lui è stato preferito Fabio Luisi (anche lui con una bella carriera all'estero : Dresda, New York).
Anche Gatti ha avuto la sua bella carriera all'estero ( Zurigo, Parigi), dove la prosegue. Ma forse non è bastato all'Italia, che guarda con sospetto i propri figli, e continua a farlo fino a quando non è più possibile, perché contro la stessa decenza. Gatti ancora una volta è costretto a continuare il suo giro fuori d'Italia, prendendosi una rivincita solenne ad Amsterdam, sul podio del Concertgebouw, che fu già di Chailly. E chissà che un domani non possa anch'egli coronare, come Chailly, il suo sogno di direttore della Scala, dove all'ultima inaugurazione con Traviata non ha avuto accoglienze trionfali.
Noi, Gatti lo abbiamo visto dirigere tante volte, a Roma. Di una di queste, accompagnando Gyorgy Sandor, sentimmo dal celebre pianista una dichiarazione 'disinteressata e pesata' di stima ed apprezzamento per Gatti, ed anche di ammirazione per il direttore che dirigeva una partitura così difficile ( non ricordiamo quale dei tre concerti di Bartok), a memoria. Un portento.
Infine la storia di Schumann, cattivo strumentatore ed orchestratore; meglio: strumentatore inesperto, più che cattivo. La storia è vecchia ormai di oltre un secolo, ed è arrivata, per essere successivamente sfatata, fino a poco dopo la metà del secolo scorso. A noi da Gino Marinuzzi jr. furono mostrate le partiture delle Sinfonie di Schumann usate da suo padre, il celebre Gino, direttore fra i più grandi, il quale aveva corretto alcuni passaggi, introdotti raddoppi strumentali ecc.. E Gino Marinuzzi era anche un abilissimo compositore, al quale, a quei tempi certe licenze erano forse anche consentite. Oggi, inutile continuare a parlarne. La scrittura di Schumann è la sua, e va presa in considerazione per non continuare la storia degli interpreti che si credono superiori e più abili degli stessi compositori.
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