Non sappiamo se il “governo del cambiamento”, per dimostrarsi tale, alla fine cederà e nominerà Giovanni Minoli presidente della Rai. 5Stelle e Lega smentiscono, e persino B. Ma non si sa mai. E comunque è bello sapere che l’illustre pensionato (da 8 anni) è ancora così arzillo da provarci, e soprattutto da crederci. Pare che in questi giorni sia attivissimo, a chiamare, messaggiare e far telefonare a questo e quello per agguantare l’ambita poltrona. L’ultimo stalking autoraccomandatorio ricorda il penultimo, o il terzultimo (abbiamo perso il conto), raccontato nel 2013 da uno sfinito dg Luigi Gubitosi: “Minoli mi fa martellare da chiunque”. Il nostro eroe era reduce dalle sobrie celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia (2011), una cosina da 18 milioni che, in un empito di patriottismo, si era protratta anche per i 151 e i 152. E sarebbe proseguita ancora, se quel rompi di Gubitosi non gli avesse rescisso il contratto proponendogli “un ruolo di autore, senza Rai150 che ha esaurito la sua funzione. Ma lui voleva conservare il ruolo e la struttura”: una robina di 70 persone, da spendere in altri anniversari a caso: le guerre puniche, il compleanno di una prozia, cose così. L’arido Gubitosi rispose picche. E smise di vivere: “Ogni politico che incontro mi dice che Minoli è andato a farsi raccomandare”. Una vita d’inferno. Poi toccò a Campo Dall’Orto: parcheggiato a Radio 24, Minoli si era scoperto renziano e voleva rientrare in Rai. Anche perché in radio ne avevano abbastanza di lui. Lo raccattò Cairo a La7, per motivi (e ascolti) ignoti ai più.
Un mese fa si candida al Cda in quota Pd, che però gli preferisce tal Rita Borioni, già portaborse di Orfini. Allora ha puntato dritto alla presidenza e, siccome tocca a Salvini d’intesa con B., s’è messo a bussare agli usci forzaleghisti. Ma ha trovato chiuso. Ci ha provato pure coi 5 Stelle: invano. A nulla è valsa l’intervista-soffietto sul Foglio a Salvatore Merlo (ergo un soffietto al quadrato: dell’intervistato e dell’intervistatore), in cui diceva un gran bene del nuovo dg: “Sono contento della nomina di Salini. Persona competente e per bene. Adesso ha un compito difficilissimo perché la Rai è una balena spiaggiata, può salvarsi solo se trova un potentissimo rimorchiatore che la riporta in mare”. Tipo lui, per esempio. Passano le ère geologiche e lui è sempre lì. A ogni tornata di nomine Rai, si candida a qualcosa. Come Amato a ogni elezione presidenziale. È il Picasso dell’auto-spintarella, infatti ha pure diretto il Museo d’arte contemporanea di Rivoli. Ma il vecchio Pablo, coi suoi due periodi blu e rosa, gli fa una pippa.
Lui ha conosciuto i periodi craxiano, martelliano, berlusconiano, veltroniano, prodiano, montiano, renziano e ora sovranista (“se sovranismo significa tornare a produrre programmi in azienda, non mi dispiace”). “Sono un perdente di successo – dice, spiritoso – la politica non mi ha mai dato niente”. Ci mancherebbe. Infatti già nel 1987, precoce, “intervistava” Craxi per uno spot elettorale col garofano rosso all’occhiello, seduto su una sedia un po’ più bassa di quella del Capo. E nel 1989 gli scriveva: “Caro Bettino… in questi 10 anni ho prodotto molti dei programmi di Rai2 che hanno avuto più successo… Per questo ritengo che avrei potuto essere considerato un interlocutore nel momento dell’ennesima difficilissima scelta circa il destino della Rete 2… Non sono mai stato capace di spendere tempo nelle manovre di corridoio (sic, ndr) e nelle chiacchiere… Capirai lo sfogo ma anche l’amarezza di chi si sente a posto con la coscienza professionale e la lealtà politica, ma sempre scavalcato dai pregiudizi, dalle informazioni incomplete, tendenziose e forse cattive… Io credo di essere fatto così. Se servo, ci sono…”. La serva serve, diceva Totò. Nel ‘96, alla vigilia della scontata vittoria dell’Ulivo, presentò sobriamente Prodi a Mixer: “Il buon professore, il manager, il politico, l’uomo delle speranze on the road e dell’Antitrust, del liberalismo temperato e del federalismo fiscale. L’antidivo per eccellenza, il sorriso bonario e sereno, gli occhi roteanti e morbidi parlano con le pupille, dialogano con le sopracciglia, comunicano con il cristallino. Le mani, più che gesticolare, dicono”.
Nel 2011 Mauro Masi, intercettato nell’inchiesta P4 col faccendiere piduista Bisignani, spiegò ai pm di Roma: “Minoli mi veniva segnalato anche da Letta e quotidianamente da Amato”. Lui intanto aveva chiuso anzitempo Agrodolce, la fiction coprodotta da Rai Educational, da Luca Josi e dalla Regione Sicilia dopo una storiaccia di sprechi, raccomandazioni di amici, amiche e amici degli amici. Nel senso di personaggi in odor di mafia perché – dichiarò il suo braccio destro – “quando le produzioni vanno in Sicilia, devi sottostare alle regole legate alle tradizioni dell’isola: non puoi sceglierti liberamente le comparse che vuoi, c’è qualcuno che te le porta”. Purtroppo – aggiunse – “Josi mi fatto una scenata incredibile, dicendo che lui rapporti con mafiosi non li voleva avere mai e poi mai”. Insensibile alle tradizioni siciliane, tanto care alla Rai minoliana. E anche ai conflitti d’interessi, che sono la specialità della casa. Minoli è maritato con Matilde Bernabei, presidente di Lux Vide, asso pigliatutto delle fiction della Rai che lui potrebbe appaltare direttamente da presidente. Otto mesi fa i pochi adepti del suo Faccia a faccia su La7 lo videro lanciare un memorabile servizio con queste parole: “Continuiamo il viaggio tra le donne top manager d’Italia. Siamo andati a incontrare la presidente della Lux, la società di produzione che da circa 25 anni sforna in continuazione successi d’ascolti per la tv. Lei è Matilde Bernabei!”. Cioè la sua signora. Ma questo si scordò di precisarlo. Se no poi la gente chissà cosa va a pensare.
“Vietato ai Minoli”, di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano – 8 agosto 2018
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