Ci sono tanti modi per definire la follia. Nel caso di Stefano Bollani (uno che se ne intende, in tv abita in Via dei Matti n. 0), è «fare novanta repliche della stessa serata: a me è capitato solo una volta, grazie a Gianmaria Testa e alla banda di Guarda che luna». Il riferimento è allo spettacolo d’inizio millennio con cui Testa, Bollani, Enrico Rava, la Banda Osiris e altri artisti omaggiarono Fred Buscaglione. Un’avventura che riemerge dalle nebbie della memoria, complice l’occasione che domenica riporterà il funambolico pianista e la sua partner in crime Valentina Cenni dalle nostre parti, ospiti del Premio Testa alle Fonderie Limone di Moncalieri.
Come vi eravate conosciuti con Gianmaria Testa?«Lo incontrai ad Amiens, a un festival organizzato dall’etichetta Label Bleu. Mi avevano parlato di questo cantautore cuneese che aveva successo in Francia, ma quando vidi il suo rapporto con il pubblico rimasi a bocca aperta. Amiens sembrava casa sua. Poco tempo dopo, lui, Paola Farinetti e il Teatro Stabile mi chiamarono per Guarda che luna».
Come nacque lo spettacolo?
«In modo fantastico. Le prove furono al Teatro dell’Archivolto di Genova, dove arrivammo senza nulla in mano. Ci siamo seduti in cerchio e abbiamo iniziato a parlare, a proporre idee. Se questa è la terapia di gruppo, la consiglio a tutti. Doveva essere uno spettacolo in cui ognuno di noi si alternava e faceva le sue cose, per una settimana a Torino. È diventata una tournée in giro per l’Italia, in cui praticamente rimanevamo sempre tutti assieme sul palco».
Una vera follia.
«Soprattutto per gente come me o Enrico Rava: abituati a improvvisare, ci trovammo di fronte la Banda Osiris che voleva provare e riprovare tutto. Io pensavo “ma guarda se devo stare un’ora a ripetere ogni dettaglio”. Oggi è grazie a loro se riesco a gestire gli ospiti in Via dei Matti n.0: sia quelli che non provano niente, sia quelli che vogliono provare tutto. Gianmaria era una buonissima via di mezzo: amava gli improvvisatori, ma era un cesellatore. Le sue canzoni sono gioielli di precisione, ogni parola è al posto giusto».
Domenica ne suonerete qualcuna?
«Con Valentina stiamo preparando un omaggio a lui e al suo mondo: non solo le canzoni, ma anche tutto ciò che gli stava intorno. Era curioso, aveva mille interessi, parlavamo di libri, jazz, cultura, anche di politica e società. Era una di quelle persone con cui era bello discutere. Un tipo da bar, come me».
Ha scoperto qualcosa grazie a lui? Un libro, un album, un film?«Ci ha provato molto con Jean-Claude Izzo, lo scrittore marsigliese, che era suo amico. Lessi i suoi romanzi, ma non me ne innamorai. E così siamo finiti a discuterne».
Oltre che in tv, sono sempre più frequenti le occasioni in cui collabora dal vivo con sua moglie Valentina Cenni. Una domanda un po’ alla Marzullo: quanto aggiunge l’arte alla vostra relazione e quanto contribuisce la vostra relazione all’arte?
«Questa è proprio marzulliana. Diciamo che le due cose sono indistinguibili. Qualsiasi progetto abbia in mente, Valentina è coinvolta. E viceversa. Parliamo di tutto — lavoro e tempo libero — e fa molto bene alla coppia».
Vi tenete anche un po’ di spazio per la riflessione e la creatività individuale?«Chi ci vede in tv potrebbe pensare che a casa nostra ci siano sempre parole e musica. Invece c’è anche molto silenzio. Se ami la musica, non puoi che amare pure il silenzio».
A dicembre in Via dei Matti n.0 avete ospitato il cantautore Paolo Benvegnù, in una puntata andata in onda poche ore prima della sua scomparsa. Che ricordo ha di lui?«Quello di un artista e amico che ho frequentato tanto, soprattutto quando a Firenze gravitavamo attorno agli stessi ambienti. Paolo era uno di quelli che appena entravano in una stanza iniziava la festa. Erano simili, lui e Gianmaria: due persone amabili a chiunque, in equilibrio perfetto tra umiltà e convinzione. È raro, perché spesso gli umili sono troppo timidi e i convinti troppo egomaniaci».
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