lunedì 15 dicembre 2025

Lo studio di Ennio Morricone all'Ara Cieli n.2. Noi ci siamo entrati

Accadde parecchi anni fa, in occasione di una intervista. Per noi era la prima volta che  accedevamo alla storica abitazione di Ennio Morricone all'Ara Coeli.  Ce lo fece notare, non ci  credeva, visto che ci conoscevamo da molti anni: ma come Pietro, tu non sei mai venuto qui? gli confermai: no, caro Ennio. Ci siamo spessissimo incontrati, ci siamo parlati, ma mai in questa casa.

 Quello studio è rimasto così com'era all'Ara Coeli, anche dopo che il maestro, a seguito di lavori effettuati nello storico appartamento, decise di trasferirsi al Torrino in una casa  nuova più accogliente e soprattutto con aria più pulita e anche immersa nel verde.

 Stando a quanto pubblicato dal Corriere quella casa in centro e lo studio  non saranno toccati perchè forse destinati ad una fondazione ed aperti alla curiosità del suo numeroso pubblico di ammiratori, che la famiglia  intende coltivare e+ aumentare.

 Ennio ci fece accomodare in salotto, chiamò la sua adoratissima moglie per salutarla e poi cominciammo l'intervista. Ma prima ancora si 'tolse un sassolino dalla scarpa' - come si dice.

  Ho letto quel tuo articolo su Il Giornale ( l'intervista non era destinata al quotidiano per il quale allora scrivevo, ma ad un mensile di grande tiratura) - attaccò - a proposito del plagio che io avrei fatto da Piovani ( una celebre canzone cantata da Benigni) nell'ultima colonna sonora per Tornatore. Si sedette al pianoforte per farmi sentire quelle prime note per le quali io avevo ipotizzato il plagio. Si trattava di una scala  ascendente semplicissima di quattro note, me le ripeté ed accennò anche ad altre musiche che iniziavano più o meno con le stesse note in quella medesima successione, e poi mi portò nel suo studio, si sedette alla scrivania prese un vocabolario musicale - meglio un 'repertorio' che riportava tutti gli incipit di milioni di brani musicali - lo aprì e  mi mostrò come uno stesso incipit ricorresse in infinite musiche di moltissimi autori di ogni epoca. Per dimostrarmi che  quattro note in sequenza erano davvero troppo poche per accusarmi di plagio.

 Restammo colpiti da questa sua puntualizzazione anche perchè quel nostro articolo era di parecchi mesi prima. Non si era dimenticato dell'appunto e nonostante ci fossimo visti tante volte prima non me lo aveva mai fatto notare, aspettando forse l'occasione propizia, che era finalmente giunta.

 Convenimmo, lo intervistammo, registrando le sue risposte che avremmo trascritto fedelmente - come abbiamo sempre fatto ( lo diciamo all'indirizzo della signora Berio che fece cambiare al marito buona parte di una intervista destinata al Venerdì di Repubblica), parlammo anche di una sua vecchia idea che rivelò per la prima volta a noi ( molti mesi dopo abbiamo letto di quella sua stessa idea a firma Veltroni sul Corriere, in una lunga intervista a Tornatore, che era evidentemente a conoscenza di quella sua sceneggiatura mai realizzata).  Raccontò per filo e per segno della sua idea di film che avrebbe voluto proporre a Fellini, ma che aveva molti anni prima esposto anche a Pasolini - se non ricordiamo male). 

Un regno nel quale il sovrano aveva proibito la musica e   che aveva poi ceduto ai cittadini che senza musica non sapevano stare e cercavano in tuti i modi di supplirne la mancanza - questa in sintesi l'idea.

 Ci salutammo con la richiesta di poter riguardare l'intervista prima della pubblicazione, solo per controllare - mi disse - che 'non ho detto delle sciocchezze'. Gliela inviammo via fax, ci richiamò per dirci che l'aveva letta e andava bene.


Lo studio di Ennio Morricone. Dov'era, com'era.

 

Entrare oggi nello studio di Ennio Morricone è come fare un viaggio indietro nel tempo per immergersi nella vita artistica del compositore romano, scomparso nel 2020 a 91 anni. Nulla è stato toccato da quel momento, come dimostrano le immagine girate dalla Fondazione Ennio Morricone, che tra i suoi obiettivi ha anche quello di aprire al pubblico questo luogo rimasto a lungo il tempio privato di una carriera straordinaria. Centinaia di libri, dischi, cd, lettere, riviste, registrazioni ancora tutte da catalogare, la scacchiera (il maestro era un grande appassionato di scacchi), i tanti David di Donatello e anche i due Oscar.I



Donald Trump negli Usa, come Giorgia Meloni in Italia, raccontano un Paese che non c'è ( da Novelando, di S. Costa)

 

Foto: Riproduzione YouTube POLITICO

Il presidente Donald Trump ha ignorato le domande di Dasha Burns di Politico quando gli ha chiesto delle preoccupazioni degli americani riguardo all’aumento dei prezzi dei prodotti nel periodo delle feste.

Seth Meyers prende in giro Donald Trump e definisce falso il premio della pace della FIFA

Donald Trump ha insistito, affermando che i prezzi stavano diminuendo.

«Parli di accessibilità, i democratici amano dire “accessibilità, accessibilità”, ma poi non ne parlano mai davvero. Sono loro che ci hanno dato i prezzi alti. Io sono quello che li sta facendo scendere», ha risposto.

Dasha Burns è tornata sull’argomento parlando delle difficoltà degli americani nell’accedere ai servizi sanitari, visto che i sussidi dell’Obamacare stanno per scadere.

Ha iniziato a porre una domanda, ma Donald Trump l’ha interrotta per affermare che l’ex presidente Barack Obama «non sapeva nulla di sanità» e che l’Affordable Care Act «era stato creato per arricchire le compagnie assicurative».

Guarda l’intervista completa con Donald Trump

Foto: Riproduzione YouTube POLITICO

Secondo il repubblicano, il suo piano era «lasciare che le persone ottenessero il proprio piano sanitario» e lasciare le compagnie assicurative «senza soldi».

«Nel frattempo, tra due settimane, signor presidente, le persone vedranno aumentare i loro premi. Quindi chiederà al Congresso di estendere questi sussidi dell’Obamacare mentre negozia un altro accordo?» ha chiesto Burns.

Donald Trump ha continuato a dire che voleva che le persone acquistassero il proprio piano sanitario.

«In questo momento, le persone stanno comprando i loro regali di fine anno, stanno pianificando», ha iniziato Burns, prima di essere interrotta nuovamente da Trump. «Senti, non essere drammatica.»

«Voglio dare soldi alle persone affinché possano acquistare il proprio piano sanitario. È una cosa buona, non una cosa negativa», ha insistito.

domenica 14 dicembre 2025

Elon Musk: genio? Ex ( da Lettera43, di Paolo Landi)

 

L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti

C’è ancora qualcuno che definisce Elon Musk un genio? Forse il suo discusso consulente Andrea Stroppa, in Italia, è rimasto l’unico. Stroppa sembra instancabile nella sua petulante attività di lobbying per convincere le istituzioni italiane a usare Starlink come infrastruttura nazionale digitale; rimbecca con sarcasmo chi critica il sistema satellitare statunitense perché ne vede i rischi per la sovranità e la sicurezza nazionale: dice che «l’Italia che rifiuta Starlink resta indietro». Ma il tema vero è il modo in cui Musk sta inesorabilmente distruggendo sempre di più la propria immagine pubblica, come un ragazzino che non riesce a contenere gli scatti d’ira. E l’ultimo esempio dell’attacco isterico e scomposto contro l’Unione europea è lì a dimostrarlo.

L’Ue, la svastica nazista e i meme da scuola elementare

Elon a inizio dicembre ha reagito sguaiatamente alla multa di 120 milioni di euro imposta dalla Commissione europea alla sua piattaforma X per presunte violazioni del Digital Services Act, una normativa che impone trasparenza su pubblicità, dati e verifica degli account. In risposta, Musk ha “twittato” su X messaggi in cui sostiene che «l’Ue dovrebbe essere abolita e la sovranità restituita ai singoli Stati», accusando l’Unione di essere una burocrazia antidemocratica e ostile all’innovazione tecnologica. È arrivato poi a smantellare lo spazio pubblicitario utilizzato dalla Commissione su X, prima di condividere addirittura l’immagine di una svastica nazista che spunta sotto la bandiera europea, con tanto di commento “il Quarto Reich“.

Il tweet poi rimosso.

Non pago, nei giorni successivi ha pubblicato dei “meme” in cui i Paesi dell’Europa venivano rappresentati come belle ragazze, mentre l’Ue era associata a un uomo con trucco pesante e parrucca da donna. Livello di maturità del dibattito: scuola elementare.

Bruxelles ha definito le sue affermazioni «pazze», ma alcuni politici europei le hanno prese sul serio, condannandole come un attacco alle istituzioni comunitarie. Stroppa pare affranto: Musk ormai nel mondo ha la stessa credibilità che Matteo Salvini ha in Italia. Difenderlo è una missione quasi impossibile.

L’immaginario collettivo lo aveva elevato al rango di genio moderno

E pensare che per qualche tempo (non un periodo lunghissimo a dire il vero: che Musk fosse sostanzialmente una bufala i più svegli lo avevano capito subito) l’immaginario collettivo aveva elevato quest’uomo al rango di genio moderno: colui che lanciava razzi, reinventava l’automobile e aumentava la democrazia digitale. Oggi quel racconto si è malinconicamente incrinato. Nei grandi dossier della stampa americana e nelle inchieste internazionali, l’immagine mitologica del capo salvifico si incrina davanti a una contabilità più prosaica: promesse non mantenute, scelte aziendali avventate e una governance fatta più di colpi d’impulso che di strategia sostenibile.

L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti
L’ex genio Musk, un bluff svelato a suon di scatti d’ira infantili e fallimenti

La metamorfosi di Twitter e l’azzardata scure dei licenziamenti

Il caso più paradigmatico è l’acquisizione di Twitter (ora X). La metamorfosi del social network è stata accompagnata da licenziamenti di massa – migliaia di addetti – e da una gestione che la maggior parte dei commentatori americani ha definito più ideologica che manageriale. Nei mesi successivi alle grandi ondate di tagli, fonti autorevoli hanno documentato che l’azienda stessa ha avviato richieste di richiamo per alcuni ex dipendenti, costretta a riassumere alcuni dei cacciati per ricostruire competenze e operatività perdute. La mappa degli esuberi, delle riammissioni e delle riorganizzazioni è frammentata ma significativa: non si tratta soltanto di numeri, ma di funzioni vitali – moderazione dei contenuti, vendite pubblicitarie, ingegneria – che sono state depauperate in modo brusco da Musk che si era svegliato male una mattina.

Elon Musk sta trascinando X in un lento e inesorabile declino (Getty).

Fuga degli inserzionisti da X ed emorragia di ricavi

Intanto decine di suoi profili falsi su X continuano a reiterare la tragica domanda: «Cosa ne pensate se chiamiamo X di nuovo Twitter?». Sono thread virali di utenti che si divertono a sbeffeggiare l’assurdità del rebranding, voluto da Musk, di un social che tutti continuano a chiamare Twitter, mentre il verbo «twittare» (è l’unico social che aveva, anzi ha, un verbo apposito come sinonimo di «postare») non c’è verso di sradicarlo. L’effetto di questa confusione sul modello di business non si è fatto attendere. Inserzionisti e partner hanno progressivamente ritirato investimenti pubblicitari o richiesto garanzie, determinando un’emorragia di ricavi che ha messo in discussione la sostenibilità immediata della piattaforma.

Smontata la retorica dell’ex genio: le ambizioni tecnologiche non bastano

Cronache finanziarie e analisi quotidiane hanno mostrato come la retorica della libertà di parola sia stata pagata a caro prezzo sul piano commerciale: meno inserzioni, più incertezza normativa e reputazionale. Questa discrepanza fra narrazione e pratica – il visionario che progetta il futuro sostituito dall’operatore che svende asset, taglia personale e deve poi ricollocare – ha prodotto un nutrito gruppo di osservatori sarcastici: Musk viene criticato per aver trasformato la leadership in un atto performativo, dove l’annuncio sostituisce il progetto a lungo termine. Editoriali autorevoli, dal New York Times al Washington Post, hanno smontato pezzo per pezzo la retorica dell’ex genio: le grandi ambizioni tecnologiche non bastano, se la gestione quotidiana mina la capacità di produrre valore stabile.

La bromance con Trump è andata in mille pezzi

La sfera politica non ha fatto che complicare il quadro. Il rapporto personale e pubblico fra Musk e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è andato in malora: dall’inclusione di Musk come consulente della Casa Bianca subito dopo l’elezione di Trump, fino alle reciproche critiche più recenti, da veri narcisisti patologici (chi se lo sarebbe mai aspettato?). La bromance (da “bro”: fratello, amico e “romance”: storia quasi sentimentale per intensità, attenzione reciproca e attestati di stima) è andata in pezzi, e ha finito per esporre le aziende di Musk a rischi politici concreti, dall’attenzione regolatoria alla minaccia di perdita di contratti e sussidi.

Elon Musk con Jensen Huang di Nvidia e Donald Trump (foto Imagoeconomica).

Il fallimento dell’esperimento Doge: «Non lo rifarei»

Recentemente la tensione è addirittura degenerata in attacchi pubblici e in minacce di taglio di sovvenzioni governative. E le persone che Musk ha licenziato quando era a capo del Doge, il Dipartimento per l’efficienza governativa che ha chiuso i battenti a fine novembre 2025, con otto mesi di anticipo, che fine hanno fatto? Il grande tagliatore di teste ha appena ammesso che «il Doge ha avuto un certo successo, ma non lo rifarei» e infatti, come per X, molte delle persone tagliate sono state richiamate a singhiozzo, pena la paralisi delle istituzioni.

Proteste contro il Doge (foto Ansa).

La burocrazia, intesa come processi, controlli e sistemi di governance fondamentali per un’impresa complessa come uno Stato, non sembra migliorata: la stampa americana non fa che descrivere vuoti di responsabilità, scarsi controlli interni e una cultura che premia l’urgenza e la decisione istantanea rispetto alla pianificazione strutturata.

Un furbetto abile nell’abbindolare un pubblico qualunquista

L’eroe solitario, il demiurgo capace di fare tutto da sé, appare oggi sempre meno coerente e sempre più confuso. La stampa americana, con inchieste, editoriali e reportage, suggerisce una lettura alternativa di questo ex genio: quella del manager che, alla prova dei fatti, somiglia più a un furbetto abile nel capitalizzare l’immaginario di un pubblico qualunquista che a un pianificatore strategico in grado di governare rischi sistemici e risorse umane con continuità.