Roma, 10 ottobre 2024 – Il sasso nello stagno lanciato dal ministro dell’Economia sulla revisione obbligatoria delle rendite catastali (anche del 16-30 per cento) per chi ha utilizzato le agevolazioni (e, dunque, sull’aumento delle relative tasse sulla casa) ha prodotto onde lunghe e dirompenti sul piano politico, ma anche su quello dell’opinione pubblica e dell’allarme suscitato non solo tra coloro che hanno utilizzato il Superbonus.
Tant’è che dalla stessa premier, come dalla Lega, sono arrivate parole distensive per spegnere l’incendio. Ma, al di là delle polemiche, l’avviso di Giorgetti ha aperto una sorta di vaso di Pandora, perché, da un lato, riguarda norme esistenti, ma di fatto mai applicate, e, dall’altro, può essere foriero di un’ulteriore e più generalizzata stretta (a tutti i bonus edilizi e non solo al 110%), con tanto di avvio di campagna di controlli e verifiche a tappeto da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Le regole esistenti
In linea puramente teorica o, come si dice, sulla carta, il proprietario di un immobile ha o avrebbe l’obbligo di aggiornare la rendita catastale relativa al proprio immobile quando abbia effettuato lavori di ristrutturazione tali da comportare un aumento di valore dell’immobile stesso. Spetterebbe o spetta al direttore dei lavori, entro trenta giorni dalla conclusione del cantiere, depositare in Comune, per chiudere la pratica edilizia, prova dell’avvenuta presentazione della variazione catastale o una sua dichiarazione che gli interventi non hanno comportato una modifica della situazione catastale della casa. Il punto è che si tratta di un obbligo quasi sempre non rispettato, senza che vi siano conseguenze, tanto più che i controlli di fatto non esistono.
Il caso superbonus
La legge di Bilancio per il 2024 ha previsto un obbligo specifico scattato il primo gennaio scorso per coloro che hanno utilizzato il 110%. L’Agenzia delle Entrate deve verificare, per gli immobili sui quali è stato ottenuto il superbonus, “se sia stata presentata” la dichiarazione di variazione catastale, “anche ai fini degli eventuali effetti sulla rendita dell’immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati”. Queste verifiche sono previste sulla base di liste selettive e possono portare all’invio di lettere di compliance ai contribuenti. Il punto è che non tutti i lavori realizzati con la maxi-agevolazione comportano l’obbligo di effettuare la variazione della rendita: c’è solo quando venga aumentato il numero di vani o quando venga incrementata la volumetria o quando il valore dell’immobile aumenta del 15 per cento. Valutazioni che spetterebbero ai tecnici più che ai proprietari, ma le conseguenze sono per questi ultimi. Anche se, in mancanza della presentazione della comunicazione, scattano le sanzioni che variano da un minimo di 1.032 a un massimo di 8.264 euro.
Gli effetti sulle tasse
Certo è che l’obbligo di aggiornare le rendite si trasforma automaticamente in un incremento delle tasse sulla casa. Se si tratta di seconde case, a salire sono l’Imu, l’imposta di registro e quella sulle successioni, oltre che indirettamente anche l’Irpef. Se si tratta di prime case, non si hanno effetti per l’Imu, ma per tutti gli altri prelievi sì. Senza contare i riflessi sull’Isee. Secondo le prime simulazioni si potrebbe arrivare a aumenti delle rendite catastali del 16-18% nel caso del passaggio di una classe e di oltre il 30% nel caso di un salto di due classi. È quanto provocherebbe a Roma e Milano un aggiornamento dei valori catastali legato alle ristrutturazioni edilizie.
La simulazione
A Roma, ad esempio, un’abitazione popolare A4 della classe più bassa con 6 vani catastali in zona censuaria 2 con una rendita di livello base di 759 euro arriverebbe a 883 euro con passaggio di una classe (+16%) e a 1.038 euro con il passaggio di due classi (+36%). A Milano un’abitazione popolare A4 di classe intermedia con 6 vani catastali in zona censuaria 2 passerebbe da una rendita di 604 euro a 712 euro con il passaggio di una classe (+18%) e a 836 euro con il passaggio di due classi.
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