Sui vigneti veneti e sul paesaggio così nobilitato dai loro ricami ci avrà pure messo la propria benedizione l’Unesco. Se, però, accantonata l’aura romantica, si tratta di andarci a vendemmiare al confronto con quelli francesi non c’è proprio storia.
Lo pensano in molti nel parterre del mondo studentesco italiano, specie in quella fascia di giovani ormai non così lontani dal raggiungere i loro titoli accademici ma che intanto sanno darsi da fare con quei «lavoretti» di accompagnamento verso il mondo adulto della sognata autonomia economica che un po’ tutti abbiamo sperimentato. E lo pensa, fra i molti, Tommaso Filippi, 25 anni, impegnato nella stesura della tesi per la laurea magistrale in economia aziendale a Padova, partito il mese scorso per le campagne della Borgogna dove ha incontrato altri otto coetanei, di cui sei italiani provenienti tutti da regioni diverse. Azienda di piccoli vignaioli e vinificatori, 12 ettari di Syrah biologico per 40 mila bottiglie l’anno, con strutture di ospitalità fatte di camere a due letti, pranzi e cene in famiglia, caffè e merende nelle pause come diritti inderogabili.
Non è solo filantropia. Là chi impieghi tra le viti manodopera stagionale ha l’obbligo di rispettare requisiti minimi di un certo livello. Il di più è quello che renderà più facile, l’anno successivo, ingaggiare raccoglitori, a quanto pare neppure lì così disponibili. Venendo al sodo, spiega lo studente, «paga netta di 500 euro la settimana, con eventuali surplus per gli straordinari. Ho capito che tra i filari gli italiani per i francesi sono sempre i benvenuti: la cultura della vite è simile alla loro e possono pagarli il minimo perché è pur sempre di più che nella loro patria». Il ragionamento parallelo, cioè, a quello che qui si applica con extracomunitari, più o meno in cooperativa, senza posti letto pasti caldi e merende. Sarà tutt’oro quello che luccica? No, la furbata c’è. La legge italiana consente a chi rientri da un periodo di lavoro all’estero, fosse pure di un solo giorno, un assegno di disoccupazione di 580 euro al mese per un intero semestre. Fatti i conti, insomma, tre settimane di vendemmia in Francia portano in tasca circa 5 mila euro. «È vero, molti dei miei colleghi pensano soprattutto a questo. Ma nella vita – fa presente Filippi - lo puoi fare una sola volta. Visto che non ne ho bisogno, e date le mie intenzioni di cercare un lavoro all’estero, preferisco conservare questa carta da giocare casomai in futuro. Non si sa mai».
Comunque sia, sembra che il modo di iscriversi all’avventura settembrina nei vigneti francesi sia piuttosto noto, con tanto di piattaforme social dedicate e corredate di procedure e moduli per richiedere la disoccupazione al rientro. Al netto dei passaparola diffusi in particolari ambienti. Quali? «Diciamo che la proposta funziona bene in aree giovanili in cui il pensiero sia un po’ alternativo, orientamento da centri sociali, per capirci. Riconosco che, nel mio caso, mi è piaciuto lavorare a fianco di persone con modi di pensare simili, ad esempio con una forte passione per le istanze ambientali. Ci sono state molte cose da condividere, per me il valore vero è stato questo». Certo, occorre poter scegliere anche il datore di lavoro. «Se vai in un’azienda più grande finisce che anche lì diventi un numero ed i titolari non sai neppure chi siano. Allora serve a poco e gli stagionali tornano ad essere quei lavoratori di scarsa qualità assunti senza neppure un colloquio».
Vendemmiatori extracomunitari in Francia? «Non posso dirlo in assoluto. Nel mio piccolo io non ne ho visti». I chilometri di distanza non sono poi così tanti, ma sembra un altro mondo.
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