Giorgia Meloni fatica a uscire dall’angolo dopo lo stop imposto dai giudici del Tribunale di Roma ai primi trasferimenti di migranti in Albania. La difficoltà della premier si misura sulla ferocia con cui si scaglia sui giudici, nel tentativo di scaricare le responsabilità della figuraccia. «Sono contro di me», sembra voler gridare Meloni. D’altronde la strada per aggirare le future sentenze (basate su un pronunciamento della Corte di Giustizia europea) con un decreto da approvare oggi in Consiglio dei ministri, si sta rivelando non priva di ostacoli. E a incupire ulteriormente gli animi arriva anche lo schiaffo dei vescovi italiani: «I migranti non sono pacchi da sbattere da una parte all’altra - ammonisce il vicepresidente della Cei, monsignor Francesco Savino -. Chiediamo il rispetto delle persone». Sui centri costruiti in Albania, poi, «dispiace per quei soldi buttati via, mentre si chiedono sacrifici agli italiani».
Il centrodestra sembra voler alimentare a tutti i costi un clima di scontro con i giudici. Arriva persino a utilizzare una mail pubblicata da Il Tempo, in cui il sostituto procuratore generale della Cassazione, Marco Patarnello, si rivolge ai suoi colleghi con toni critici nei confronti delle riforme che ha in cantiere il centrodestra. La premier la pubblica, con diversi tagli, sui propri canali social: «Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi - riconosce Patarnello - non si muove per interessi personali, ma per visioni politiche, e questo la rende molto più forte e anche molto più pericolosa la sua azione». Poi, Meloni ne taglia un’altra e la incolla: «Dobbiamo porre rimedio». Messa così, sembra quasi che i giudici si stiano armando contro l’esecutivo. Basta leggere il testo integrale per capire, però, che le cose non stanno così. Il magistrato riconosce la forza di Meloni e la pericolosità - dal suo punto di vista - delle riforme che ha in mente il governo, ma chiede ai colleghi di «porre rimedio» alle «divisioni interne alla magistratura», sottolineando che «non dobbiamo fare opposizione politica». Poi, in conclusione: «Non possiamo fare molto, ma essere uniti, tenere la schiena dritta e parlare con chiarezza, questo sì».
L’ordine di attaccare su questo punto i giudici era arrivato già sabato sera, prima ancora che Il Tempo andasse in edicola. Il dirigente di FdI, Giovanni Donzelli, rilancia: «Le toghe rosse non fermeranno le nostre riforme». Il capogruppo di Forza Italia in Senato Maurizio Gasparri annuncia addirittura un’interrogazione parlamentare al Guardasigilli. Per Elly Schlein, segretaria del Pd, quella della premier è la dose di «vittimismo quotidiano e disastri a oltranza», la prevedibile offensiva di chi «si è chiusa nei Palazzi da due anni e parla con le persone solo via social».
Ora c’è un problema giuridico da risolvere. I tecnici di Palazzo Chigi e del Viminale lavoreranno fino all'ultimo minuto utile per mettere a punto il decreto. Il Consiglio dei ministri è stato fissato per le 18 di oggi, un orario che consente un supplemento di riflessione. L'obiettivo è quello di dare cornice giuridica al protocollo tra Italia e Albania per evitare che i centri restino vuoti, a causa della sentenza del Tribunale di Roma.
Dei due pilastri su cui si baserà il provvedimento solo uno appare certo: la lista dei Paesi sicuri dove rimpatriare gli stranieri senza diritto d'asilo sarà inserita all'interno di una legge per metterla al riparo (anche se non completamente) dalla interpretazione dei giudici. I consiglieri giuridici dell'esecutivo, invece, mostrano dei dubbi sull'altro capitolo del decreto che affronta la questione dei tribunali che non convalidano il trattenimento dei migranti, introducendo un secondo grado per fare i ricorsi contro le decisioni dei giudici che finirebbero in appello e non, come avviene oggi, in Cassazione. Un intervento che verrà letto con grande attenzione dagli uffici del Quirinale.
Il governo si muove anche sulle riforme. Questa settimana vedrà i primi passi concreti della separazione delle carriere dei magistrati: mercoledì scade il termine per gli emendamenti in commissione Affari costituzionali e Forza Italia proverà a portare il disegno di legge in Aula quanto prima. La speranza dei post berlusconiani è di arrivare a una prima approvazione entro la fine dell'anno. Un obiettivo giudicato impossibile da Fratelli d'Italia, vista la concomitanza con la legge di bilancio. In ogni caso, il segnale politico c'è: a Palazzo Chigi si è deciso di dare la precedenza alla separazione delle carriere, rispetto al premierato, l'altra riforma costituzionale del governo Meloni, il cui testo andrà modificato, rispetto a quello votato dal Senato a luglio. «Non è una vendetta», si ripete nella maggioranza. Ma verso le proteste della magistratura ci sarà, questo è certo, meno sensibilità.
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