venerdì 25 ottobre 2024

Il Caso Spano, al MIC, non è ancora chiuso. Ultime rivelazioni (da L'unità, di David Romoli)

 

FRANCESCO SPANO DIRETTORE MAXXI

Di stupefacente nella brutta vicenda che ha portato alle dimissioni di Francesco Spano da capo di gabinetto del ministero della Cultura c’è soprattutto lo stupore per le faide interne al partito della premier. È vero che il miracolo di Giorgia è stato far passare, e in parte realmente trasformare, FdI in un partito unito ma le radici vengono dal Msi, dove menarsi era frequente e dove le rivalità interne erano profonde e soprattutto, nonostante il tentativo di cancellare un ventennio e passa, da Alleanza nazionale, partito dove i capicorrente si azzannavano senza remore al punto che proprio la guerra interna al partito portò in un caso a conseguenze suicide, affossando la giunta regionale presieduta da Renata Polverini.

Insomma il caso Spano esiste ma, anche se tutti si affannano a negarlo, c’è anche un caso Giuli perché nel mirino c’è anche lui e, se il conduttore di Report Sigfrido Ranucci non esagera per alzare l’audience, potrebbe esserlo ancora di più dopo la trasmissione di domenica prossima: “Il caso Spano è solo una piccola parte. Chi in FdI non ama Giuli dopo domenica lo amerà anche di meno”. La consegna del silenzio in FdI è tassativa. Chi parla lo fa solo per assicurare che se le ostilità contro Francesco Spano, ammesse dalla stessa premier, nel partito si sprecavano nessuno ha nemmeno un piccolissimo dubbio sul ministro. La sensazione però è che le cose non stiano affatto così e che si fronteggino invece due correnti, o filiere, che hanno diverse se non opposte visioni della cultura secondo la destra e di conseguenza opposti interessi materiali.

Di certo non ama il ministro Ignazio la Russa, presidente del Senato, inviperito perché un suo uomo di fiducia come Francesco Gilioli, importante funzionario del Senato, era stato messo alla porta per far posto a Spano. Altrettanto certamente non lo ama, anche se ieri assicurava il contrario, Federico Mollicone, il presidente della commissione Cultura della Camera che mercoledì pomeriggio si è preso a strilli con la sorella di Giuli a Montecitorio. Lo si può capire dal momento che mirava al posto già di Sangiuliano e se lo è visto scippare dall’ex direttore del Maxxi. Non lo ama il potente sottosegretario alla presidenza Giovanbattista Fazzolari, quello che in ultima battuta avrebbe imposto le dimissioni di Spano. Il sottosegretario nega: “Tutto falso. Non c’è scontro tra me e Giuli”.

Fazzolari però sarebbe invece tra quelli che avrebbero preferito un controllo ben maggiore su un ministero nevralgico per l’immagine del governo, del partito e della destra in generale e che considerano Giuli troppo indipendente e troppo pronto ad aperture a sinistra come proprio la nomina di Spano dimostrerebbe. Proveniente dal Pd, impegnato nella difesa dei diritti Lgbt, gay e sposato con un uomo Spano non corrispondeva in effetti all’immagine di una sana cultura di destra che FdI vorrebbe diffondere. Giuli però crea un problema in più in FdI. Con le sue suggestioni neopagane è particolarmente inviso all’area integralista del partito e probabilmente non è un caso che tra i colloqui che hanno portato alle dimissioni di Spano sia stato centrale quello con l’altro sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano, capofila dell’area cattolica. Integralista.

La conclusione è che tutti sono convinti che a passare le informazioni a Ranucci per sgambettare non Spano ma il ministro in persona sia stato qualche compagno di partito ma nessuno azzarda un nome anche perché i papabili sono troppi. Tra questi figura anche il defenestrato ex ministro Sangiuliano, che smentisce con sdegno. A blindare Giuli è per ora Giorgia Meloni. Lo ha voluto, lo difende e finché l’onnipotente è schierata così il ministro è un una botte di ferro per quanto numerosi siano i nemici interni. Ieri però voci interne sia al partito che al ministero parlavano di una passione della premier molto raffreddatasi negli ultimi giorni. Da Chigi ieri assicuravano che le dimissioni non sono prese in considerazione “per ora”. Ma il caso, comunque vada a finire, dimostra che l’eterna guerra per bande nei partiti della destra non è affatto un ricordo del passato. È solo fuoco che cova sotto le ceneri.

Su un punto però l’accordo in FdI è davvero unanime: il pregiudizio antigay nell’ostilità di massa contro Spano non c’entrava niente. “L’omofobia non ha diritto di cittadinanza in FdI come in nessun partito”, sentenzia Rampelli. “Lungi da me un attacco omofobo. Ho solo dato voce a quel che pensa la base”, si giustifica Fabrizio Busnengo, il coordinatore del IX municipio romano dimessosi per aver dato a Spano del pederasta. Il problema è solo che il dimissionario, quando era il braccio destro di Giuli al Maxxi, aveva messo sotto contratto suo marito Marco Carnabuci. In realtà il contratto risaliva alla gestione Melandri del Maxxi e con tutta la buona volontà è davvero impossibile credere che un dirigente come Spano, già preso di mira direttamente dalla premier per le sue posizioni sui diritti Lgbt e odiato da un’associazione vicina alla destra come Pro Vita e Famiglia, sia stato rifiutato e detestato dal partito a prescindere dalla sua omosessualità. Solo che non lo dice e non lo denuncia nessuno, non solo nella destra, dove è comprensibile, ma neppure nell’opposizione. L’unica voce forte e chiara è quella della ex deputata Paola Concia: “C’è una evidente discriminazione omofoba”. Gli altri, tutti gli altri, glissano.

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