Il ministro alla Cultura Alessandro Giuli ha fatto il suo discorso di insediamento alla Camera per tracciare le linee del suo programma di politica culturale, un bell’impegno, certo, e molte attese dopo l’uscita di scena del suo predecessore Gennaro Sangiuliano fra pentimenti, sceneggiate, lacrime da frusta telenovela. L’incipit di Giuli è stato tutt’altro: impettito, serioso, salvo un lieve tremore alle mani che reggevano il foglio del suo discorso, alle repliche di qualche deputato. Il suo dire lascia perplessi, sconcertati: "Apocalittismo difensivo, infosfera" e un periodare che più contorto non si può si sono susseguiti senza sosta, in una esibizione di cripto-comunicazione che comunicazione non è, anche senza scomodare le regole della retorica classica, l’arte antica che serviva a comunicare nello spazio politico pubblico. Poiché comunicare (dal latino “communicare”) vuol dire mettere in comune idee, conoscenze, sentimenti, progetti in maniera comprensibile ai molti, in modo da favorire una proficua relazione fra governanti e governati, condizione centrale in un sistema democratico.
Allora mi sono chiesta: è un novello Narciso dei tempi nostri costui che vive della sua immagine riflessa, un furbastro alla Don Abbondio che usava il latino per confondere il povero, semplice Renzo, un declamatore da intrattenimento come i giocolieri o i saltatori sul fuoco nelle piazze avide di spettacolo o solo una persona contorta nel pensiero che fa incetta di citazioni dotte a volte sbagliate e tende a gonfiare il suo ego?
Non sappiamo, una cosa però è certa: l'intelligenza, che è la facoltà di legare i concetti, è semplice ossia tende a rendere semplice, quindi comprensibile ciò che è complesso; come Leonardo Sciascia fra l'altro sosteneva, citando felicemente ad esempio la descrizione minuziosa e prolissa che Gustave Flaubert fa del cappello di Carlo Bovary per diverse pagine nel suo celebre romanzo, per concludere poi che Carlo "aveva la faccia di un cretino". Cioè affastellare insieme cose inutili è ridondante, nasconde l’essenziale, quindi è oscuro.
Flaubert dunque ci viene in soccorso, ma soprattutto alcuni grandi leader politici che hanno segnato la storia: in Francia De Gaulle scelse come ministro della Cultura il grande André Malraux, non suo sodale, ma grande scrittore ed intellettuale; François Mitterrand molti anni dopo scelse un nome di peso come Jack Lang; in Germania troviamo negli ultimi anni nomi come Monika Grütters e Claudia Roth e la lista potrebbe continuare; in Italia fu un politico della cultura di Giovanni Spadolini a organizzare il Ministero dei Beni culturali già nel 1975 scegliendo accuratamente qualità e competenze. Abbiamo quindi esempi virtuosi cui ispirarci!
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