Mario Cucinella è uno dei più accreditati architetti italiani, la cui notorietà ha da tempo valicato i confini nazionali. Nato a Palermo, laureato a Genova, ha lavorato con Renzo Piano, insegnato in diverse Università, fondato la School of Suistainability, progettato edifici importanti e sarà il curatore del Padiglione Italia all’Expo di Osaka del 2025.
Trasformare il semplice parlare in conversazione è il suo ennesimo talento. Ci vorrebbe un podcast per cogliere lo stesso garbo, la stessa eleganza con cui si esprime o edifica una struttura. L’ultimo progetto presentato è l’Università di Aosta.
Architetto, come si riesce a ideare, interpretare il mondo attraverso l’architettura? Viene da chiedersi se seguendo la committenza che impone vincoli, doveri, si possa riuscire in questo ruolo.
«Purtroppo l’opinione pubblica si è fatta un’idea piuttosto strana di cosa faccia l’architetto. Qualunque sia l’edificio interessato, è un mestiere di mediazione. Tra una creazione immateriale che è quella del pensiero della tua utilità e poi la brutalità, o la realtà delle normative, ogni paese ha le sue esigenze. Mediare, fra la ricerca di soluzioni estetiche, di qualità, di spazi e le esigenze molto pratiche che sono quelle obbligate alla commissione, alle normative, che è la parte più complessa».
«Arrivare a quel risultato ad Aosta, è stato lungo, complicato, difficile – continua l’architetto –. Però, io faccio questo mestiere perché so fin dall’inizio quale sarà il risultato. In tutta la Val d’Aosta non hanno costruito niente di nuovo da almeno trent’anni. È una lotta che faccio volentieri. Ne vale sempre il gioco, occorre tanta pazienza. Bisogna fidarsi degli architetti. Resta vero che le norme non è che ti dicono soltanto di fare cose brutte. Le norme vanno interpretate occorre saper guidare il progetto. In fondo è il bello di questo mestiere».
Tra le tante cose, di lei si sa che è molto attento al tema dell’educazione e alle scuole.
«Perché costruire le scuole e i luoghi dell’educazione è il segnale più forte di una democrazia. Quando costruisci le scuole o un’università, stai dando ai ragazzi l’opportunità di una crescita di conoscenza, stiamo investendo sulle risorse umane del nostro paese. Quindi è un atto di grande generosità pubblica – argomenta Cuccinella –. Significa dire a questi ragazzi: ci stiamo occupando di voi. Questa è una lezione che ci ha dato Loris Malaguzzi, fondatore di Reggio Children: lui diceva, il terzo educatore è l’architettura. Perché prima hai i genitori, poi hai gli insegnanti e poi c’è lo spazio. Quindi l’equazione dello spazio è importantissima: sono i luoghi dove incontri gli amici che rimarranno nella tua vita, sono i luoghi dell’apprendimento, della scoperta.
Stare in un’aula acusticamente buona, che hai i seggiolini giusti, con i banchi che funzionano bene, che ha un piccolo bar, che mette a disposizione spazi per poter studiare, dove si possano incrociare i saperi. Può sembrare banale, ma tante università queste cose non le hanno. C’è un rapporto fra l’apprendimento e la qualità del comfort».
Perché facciamo così fatica a parlare di architettura in questo paese?
«In Italia i turisti vengono non soltanto per mangiare la pizza, la mozzarella e il gelato vengono a vedere le nostre città, i nostri palazzi, i nostri musei, vengono a vedere l’architettura italiana. Questa è la bellezza di questo paese. Come siamo riusciti negli ultimi quarant’anni a perdere il filo? È una domanda che andrebbe rivolta alla politica. C’è una legge ferma in Parlamento da decenni che è una legge sull’architettura che in Francia c’è dal 1973, la fece Jack Lang allora Ministro della Cultura. Che cosa dice? Primo articolo: l’architettura è l’espressione della cultura di un paese. Se si dice una cosa così in una legge dello Stato, lo obblighi a rappresentarsi attraverso l’architettura. Questa legge in Italia non c’è, non la vogliono fare. Questo è un paese che ha deciso di rappresentarsi con le vallette, con le partite di calcio, marginalizzato un tema che invece è nel DNA di questo paese».
Abbiamo fatto così poche cose per un paese che ha il più grande numero di architetti scritti agli ordini, inversamente proporzionale a quello che riusciamo a produrre?
« Abbiamo vinto il bando per l’ospedale di Cremona. Un bando molto ambizioso, hanno risposto i migliori studi del mondo. Siamo stati finalisti in cinque, tra cui Norman Foster. Però è un caso più unico che raro. Si dovrebbero utilizzare le risorse anche per investire proprio sull’architettura civica: Scuole, stazioni ferroviarie, ospedali e le prigioni. La mia sensazione è che chi governa non ha capito qual è il livello di responsabilità che ha tra le mani».
Su questi e altri temi, espressi in modo approfondito e sensibile, l’architetto Cuccinella ha appena dato alle stampe un libro intitolato Città Foresta Umana con un sottotitolo eloquente «L’empatia ci aiuta a progettare». Un lungo viaggio attraverso il lavoro, la riflessione sullo spazio, l’equilibrio di ogni scelta e l’impatto sull’ecosistema e il desiderio insito nell’architettura di cambiare le cose.
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