martedì 1 aprile 2025

Accademici americani abbandonano il Paese ( da Corriere della Sera, di Viviana Mazza). Ma tanto a Trump che gli frega della scienza e del sapere?

 

Gli accademici americani che abbandonano gli Usa: «Attacco alla libertà ma noi non cediamo a Trump»

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE NEW YORK  «Avevo un’offerta dall’Università di Toronto da un po’ di tempo ma pensavo di rifiutare», dice al Corriere Jason Stanley, professore di Filosofia a Yale. «Poi ho visto come la Columbia University ha ceduto all’amministrazione Trump, accettando la falsa premessa che l’ateneo sia antisemita. E mi sono reso conto che tutte le università si piegheranno a questo attacco contro la libertà di espressione. Non posso stare a guardare mentre assecondano la loro stessa distruzione».

Stanley, autore del saggio «Noi contro loro. Come funziona il Fascismo» (Solferino), è uno di tre importanti accademici che hanno annunciato la decisione di lasciare Yale per andare a Toronto: gli altri due sono gli storici Timothy Snyder (grande sostenitore dell’Ucraina) Marci Shore, che sono sposati. Shore ha spiegato al Toronto Star che lei e il marito hanno preso questa decisione soprattutto per i loro figli di 14 e 12 anni: «La loro intera infanzia è stata colorata da una catastrofe storica globale: la prima amministrazione Trump, la pandemia, la brutale guerra russo-ucraina, la discesa dell’America nel fascismo». Stanley, figlio di sopravvissuti all’Olocausto, si dice inorridito che l’accusa di antisemitismo venga usata come «martello per imporre il fascismo». Altri, come l’ex preside della Scuola di Medicina di Harvard, Jeffrey Flier, accusano le università di aver fallito in passato nel prendere sul serio le preoccupazioni dei conservatori e dei moderati, ma anche lui è preoccupato per l’attuale attacco della Casa Bianca agli atenei americani: «Una minaccia esistenziale».

«Pochi professori possono davvero andarsene, non ci sono i posti di lavoro», ci dice Stanley; anche se alcune istituzioni canadesi ed europee affermano di voler dare rifugio a questi intellettuali. Dall’inizio dell’anno, la Scuola di Business dell’università di Losanna ha invitato sette professori americani per colloqui di lavoro. Uno dei nuovi assunti, Tim Quigley, che insegnava all’Università della Georgia, ha citato (come Shore) il futuro di sua figlia: «Ho una bambina di dieci anni e non voglio vivere in un Paese che si preoccupa più delle Tesla vandalizzate che dei bambini morti nelle sparatorie a scuola», ha detto al Financial Times. Tre accademici canadesi scrivono sul Globe & Mail che il loro Paese «potrebbe essere una casa per i talenti» ma servono maggiori investimenti nella ricerca. L’università «Aix Marseille» in Francia ha lanciato la campagna «Un posto sicuro per la scienza» assegnando 15 milioni di euro per dare lavoro a 15 scienziati americani (ha ricevuto decine di domande). Persino il dipartimento di Economia dell’Università di Kiev ha postato un invito sui social, suggerendo che l’Ucraina sotto assedio russo sia più sicura degli Stati Uniti per gli accademici.

Intanto giorno dopo giorno, gli atenei americani appaiono sui giornali. Penn University si è vista congelare 175 miliardi di fondi federali per aver permesso ad una donna transgender di competere nella squadra femminile di nuoto nel 2022. La Columbia, dopo il taglio di 400 milioni, aveva accettato la condizione di mettere sotto osservazione il dipartimento di studi sul Medio Oriente. La presidente Karina Armstrong ha detto in un incontro privato ai professori di non preoccuparsi, perché avrebbe cambiato il capo del dipartimento per compiacere Trump, ma niente sarebbe cambiato. Venerdì è stata costretta a dimettersi e la sua sostituta è già sotto attacco dei repubblicani. «Molti professori hanno paura di parlare perché rischiano il posto — dice Stanley —. Yale ha protetto i professori finora ma in futuro, chissà». Con l’accusa di non aver combattuto l’antisemitismo, anche Princeton e Harvard si sono viste sospendere i fondi federali. A Harvard sono sotto esame 9 miliardi di dollari di sovvenzioni, nonostante l’ateneo avesse cercato il compromesso con l’amministrazione fino a vedersi accusare dai critici di censurare la libertà di espressione. I tagli hanno un impatto sulla ricerca: un sondaggio su 293 ricercatori rivela che il 78% vede il posto a rischio o le ricerche rimandate. E i leader delle università americane avvertono che queste tattiche mettono a rischio la competitività economica degli Stati Uniti.

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