mercoledì 26 giugno 2024

Torino, Museo Egizio. Sangiulinao - ennesismo passo falso - è intenzionato a sfasciare la coppia 'più brava' del mondo,Cjristillin-Greco: troppo brava e troppo italiana.Via! (da Linkiesta)

 

LaPresse

Ma che bella pensata. Dopo che in un recente passato la Lega piemontese, ai tempi maggioritaria, aveva regalato al Museo Egizio, per il posto in cda di competenza regionale, un brav’uomo la cui nota saliente, nel relativo curriculum, era di essere «automunito», adesso il ministero della Cultura, altrimenti detto Mic, punta dritto alla presidenza e la spara grossa, grossissima, enorme: dal cappellaccio alla Indiana Jones che si compiace di calcare in ognuna delle sue innumerevoli comparsate televisive è così saltato fuori nientemeno che Zahi Hawass, alias il Faraone, già potentissimo Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie al Cairo, già ministro delle Antichità. Già.

“Mic” scemo il ministro, quello nostro, della Cultura: il callido Gennaro Sangiuliano detto Genny – quello che vota allo Strega dichiarando di non aver letto i libri che vota, che andrebbe a Londra per vedere Times Square, e che prima ancora ci aveva fatto sapere che Dante Alighieri era «di destra» – pensa così di mettere tutti d’accordo, e di mettere a tacere le eventuali rimostranze del solito intellettualume “comunista” (come è noto, tutto l’intellettualume è comunista, anche se ultimamente ha smesso di mangiare i bambini per la scarsità dei medesimi a causa della 194).

Zahi Hawass è un noto archeologo, un archeostar – e quindi un sicuro competente in materia, almeno nell’accezione sangiuliana che identifica la popolarità con la competenza. È egiziano – e quindi arabo e quindi musulmano, per una proprietà transitiva accreditata da un’opinione comune tanto categorica quanto refrattaria alle distinzioni. Non è né di destra né di sinistra (chissà che cosa è). E quindi non si potrebbe accusare la destra governativa di voler occupare anche questa (prestigiosa ma politicamente irrilevante) casella, né di scegliere a casaccio, né di coltivare pregiudizi nazional-sovranisti e islamofobici. Ma tanti pregi basteranno per raccogliere l’eredità di Evelina Christillin?

In carica dal 2012, l’attuale presidente è prossima alla scadenza del terzo mandato quadriennale. Detto che la carica non può intendersi a vita, e che la stessa interessata non è interessata a proseguire oltre (tra l’altro, in tutti questi anni ha svolto l’incarico a titolo gratuito, riversando al museo l’intero compenso spettantele), che il ministro Sangiuliano nutra la malcelata brama di esibire al “popolo” meloniano la sua testa di altoborghese vocata a sinistra, oltre a ciò imperdonabilmente intima della regale famiglia Agnelli (informatevi meglio: lo era in passato), è un classico segreto che, se non rischiasse di sembrare ironico per chi lo coltiva, si potrebbe dire “di Pulcinella”.

E così si disferà la coppia più bella del mondo (museale) italiano, Christillin presidente e Christian Greco direttore: quella che in dieci anni (Greco è in carica dal 2014) ha rivoltato l’Egizio – letteralmente – da cima a fondo, trasformando una vecchia istituzione ormai impolverata in uno dei musei più all’avanguardia del globo, un’eccellenza italiana presa come esempio un po’ ovunque, punto di riferimento per gli studiosi internazionali, con un record di un milione e sessantun mila visitatori nel 2023 che lo colloca al quinto posto in Italia (ottantacinquesimo nel mondo). 

E tutto questo senza ricevere un soldo dalla Stato, con un bilancio annuo di diciassette milioni a cui contribuiscono per ottocentomila euro Regione, Comune, Compagnia di San Paolo e Fondazione Crt – che con il Mic sono soci della Fondazione (mista, pubblico-privato) Museo delle Antichità Egizie di Torino – e per il resto derivante dalla biglietteria, dal merchandising, dai fees per le mostre all’estero, da attività didattiche ed eventi privati, consentendo un avanzo utilizzato per finanziare le diverse iniziative. Ovviamente tutti sono utili ma nessuno indispensabile, come si dice, nessuno è insostituibile. Forse in questo caso è un po’ meno vero. 

Anche tralasciando le non poche ombre che gravano sulla pirotecnica carriera di Hawass che ne ha fatte più di Bertoldo in Egitto, gli innumerevoli annunci di scoop archeologici a cui non è poi seguito nulla, il gusto per il sensazionalismo, le sparate (a salve) come quella dei giorni scorsi per chiedere al British di Londra la restituzione della stele di Rosetta, o in passato per riavere dall’Ägyptische Museum di Berlino il busto di Nefertiti e addirittura (e qui si entrerebbe nel possibile conflitto d’interesse) per rivendicare senza alcun fondamento legale dal museo torinese la restituzione del Papiro dei Re, un documento fondamentale per ricostruire la successione dei faraoni fino alla XIX dinastia (XIII secolo a.C.); anche sorvolando sulla circostanza che un’importante sala del museo di via Accademia delle Scienze è intitolata alla memoria di Giulio Regeni, e che il simpatico Zahi (simpatico per davvero), con tutta la buona volontà non potrebbe non provare imbarazzo nel valorizzare questa imprescindibile parte del percorso museale, siamo (sono) sicuri che questo personaggio sarebbe in grado di soddisfare ai compiti per cui verrebbe ingaggiato?

Il presidente del Museo Egizio non è una figura puramente di facciata. Tutt’altro. Tanto per cominciare, ha la responsabilità legale della Fondazione: se si verificasse un ammanco, ne risponderebbe in solido con l’intero cda. Ma, senza immaginare incidenti di questo genere, deve saper provvedere alla parte amministrativa, risolvere celermente gli infiniti problemi piccoli e grandi che si presentano nella quotidianità di un grande museo, tenere i contatti con i mondi della politica e dell’economia per finanziare gli interventi eccezionali: per esempio, quelli previsti per il bicentenario che cade quest’anno, e che comporterà una ulteriore avveniristica evoluzione dell’allestimento e dell’intero edificio, hanno mobilitato risorse per ventitré milioni di euro, forniti con entusiasmo da sponsor pubblici e privati. 

A Evelina Christillin, grazie alle capacità personali, a una non comune facilità nei rapporti e alla rete di relazioni che conseguentemente ha saputo sviluppare nelle più svariate direzioni, per ottenere tutto ciò è sempre stato sufficiente prendere in mano il telefono. E indubbiamente (non sarà facile, ma) si troverà chi sia in grado di subentrare validamente nella funzione. Ma una persona priva di contatti con la realtà italiana, proveniente da un altro paese, un altro mondo? E questo basterebbe per qualificare il grado di improvvisazione, faciloneria, avventatezza (per non dire altro) di chi si muove nel delicato mondo delle istituzioni culturali come un elefante in cristalleria. Anche un roditore convinto di trovare del formaggio tra i cristalli può fare gran danno. 

Ma l’aspetto più preoccupante per l’avvenire del Museo Egizio riguarda il destino di Christian Greco. Presentatosi dieci anni fa alle selezioni come autentico underdog, illustre sconosciuto reduce da diciassette anni nei Paesi Bassi trascorsi in parte come curatore della sezione egizia del museo di Leiden, approdato a sorpresa nella short list finale, ha fatto gridare al miracolo la commissione esaminatrice, che dopo averlo ascoltato avrebbero volentieri rinunciato a proseguire nella selezione, tanto si era alzata l’asticella. Evelina Christillin ha avuto la lungimiranza e il coraggio di fidarsi della commissione e puntare tutto su di lui. Non lo avevano visto arrivare, ma in breve se ne sono accorti tutti. 

Acclamato in patria e all’estero per come ha saputo rivitalizzare il museo, facendone un polo di ricerca culturale a vasto raggio, per le idee innovative con cui si è inserito nel fitto dibattito sul ruolo dei musei nei rapporti con la società contemporanea, oltretutto con la concreta possibilità di mettersi sul mercato internazionale e guadagnare cifre inconfrontabili con quelle italiane, Greco ha espresso più volte come massima aspirazione quella di restare a dirigere l’Egizio. Potrà continuare a farlo?

In un colloquio con La Stampa Zahi Hawass ha dichiarato l’altro giorno che sarebbe per lui un onore lavorare con Christian Greco, il cui mandato (rinnovabile) scadrà nella primavera del 2025. Onore reciproco, of course. Nella classificazione delle costituzioni che conduce nella Politica, Aristotele ipotizza il caso rarissimo, più che altro teorico, di un singolo tanto eccellente che sarebbe assurdo opporglisi o peggio ostracizzarlo, e al quale bisognerebbe invece obbedire con gioia. Nel caso di Christian Greco, fatte le debite differenze, non è necessario arrivare a tanto: basterebbe ringraziarlo di esistere.

Peccato però che dal ministero di Roma filtrino indiscrezioni secondo le quali Genny La Gaffe (copyright Alberto Mattioli, di cui si raccomanda il tristemente esilarante pamphlet Destra maldestra, fresco di stampa per i tipi di Chiarelettere) sia seriamente (seriamente…) intenzionato a indire un bando per la nuova direzione: visto che è tanto bravo, sarebbe l’ipocrita spiegazione, si candidi e sicuramente vincerà. Ma, a parte che sappiamo tutti, Greco per primo, come siano pilotabili, se si vuole, queste selezioni, potrebbe sottoporsi a un giudizio di idoneità un direttore che la sua idoneità ha dimostrato ad abundantiam con il suo lavoro? Non sarebbe né giusto né dignitoso, e non crediamo che l’interessato vi si sottoporrebbe. E così il museo, Torino e l’Italia perderebbero un’eccellenza che il mondo ci invidia. Bel risultato per il governo che sbandiera in ogni occasione il valore dell’italianità.

Almeno, prima di sfasciare tutto, e nella speranza verosimilmente illusoria che nel frattempo ci sia una resipiscenza, si consenta alla squadra di portare a termine i progetti del bicentenario, che si completeranno nel 2025. L’appiglio formale c’è, perché il cda precedente, scaduto nel 2020, non si era potuto rinnovare subito in quanto il Covid aveva bloccato tutto, e così quello attuale è stato nominato soltanto un anno dopo: nel frattempo Evelina Christillin aveva dovuto svolgere un ruolo di supplenza, sobbarcandosi per dieci mesi da sola a tutte le incombenze amministrative, burocratiche e organizzative, rese più complicate dall’emergenza sanitaria. Quindi, di fatto, ha presieduto il nuovo cda soltanto a partire dal 2021, e come il cda concluderà il suo mandato nel 2025. 

Per sostenere questa soluzione transitoria – ricordiamo che al ministero della Cultura spetta l’indicazione (non la nomina) del presidente, votato poi dall’assemblea dei soci della Fondazione, mentre sono i consiglieri d’amministrazione a nominare il direttore – quattro dei cinque membri del cda (Compagnia, Crt, Comune e Regione) hanno già fatto partire un appello al governo, e possiamo prevedere che ci sarà battaglia. Nell’attesa, il ministro della Cultura che invoca per l’Egizio la «discontinuità» dovrebbe avere la bontà di spiegarci che cosa intenda. Discontinuità con gli eccezionali risultati – scientifici, di pubblico, di indotto – messi a segno in questi anni? Esiste da qualche parte un progetto, uno straccio di idea alternativa? Vogliamo parlarne, o soltanto piantare l’ennesima bandierina?

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