lunedì 14 aprile 2025

Usa. I numeri su redddito e ricchezza personale, smentiscono Trump ( da Corriere della Sera, di Giuseppe Sarcina)

 

Pil, reddito e ricchezza personale: la verità dei numeri Usa: perché smentiscono Trump

Il simbolo dell’America è un’Aquila dallo sguardo severo, dominatore. Donald Trump, invece, ci sta raccontando il Paese più potente come se fosse un volatile impacciato, spiumato da tutti gli altri governi del pianeta. Non solo dagli avversari cinesi, ma anche dagli alleati storici, gli europei «parassiti» e irriconoscenti. E persino dal piccolo e anonimo Lesotho, colpevole di fornire, sotto costo secondo Trump, il denim, il cotone che serve a confezionare i jeans, come quelli della Levi’s. Il mondo descritto da Trump tocca le vette della manipolazione.

A suo modo è un capolavoro della comunicazione. Ma le cose non stanno proprio così. Basta esaminare alcune cifre elaborate dalla Banca Mondiale per scoprire che negli ultimi decenni sono stati gli Usa a guadagnare quote di mercato, ad arricchirsi più di altri e anche a spese degli altri. Nel 2008 il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti era pari a quello dell’Eurozona: circa 14 mila miliardi di dollari. Quindici anni dopo, nel 2023, il Pil americano è balzato a quota 27 mila miliardi di dollari, quasi il doppio di quello dell’Eurozona, rimasto inchiodato a 15 mila miliardi. 

Ancora, nel 1990, il salario medio annuo americano si aggirava intorno ai 53 mila dollari, diecimila in più rispetto alla media dei 38 Paesi raccolti nell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Nel 2023 la forbice si è ulteriormente allargata: lo stipendio medio Usa ha toccato quota 80 mila dollari, quello dell’Ocse è salito a un ritmo molto più lento, attestandosi a 58 mila dollari.

Infine il dato forse più sorprendente, aggiornato al 2024. Il reddito pro capite dello Stato più povero degli Usa, cioè il Mississippi, è pari a 53 mila dollari, una cifra superiore a quella di Regno Unito (52.420 dollari), Francia (48.010 dollari), Italia (40.290 dollari), Spagna (35.790 dollari). Solo la Germania va un po’ meglio del fanalino di coda degli Usa.

Le statistiche ufficiali della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, quindi, smentiscono alla radice la rappresentazione trumpiana. Eppure questi numeri non fanno breccia nel dibattito interno. Solo qualche analista, come Fareed Zakaria, li ha evocati di recente, sulla Cnn. In fondo sarebbero un buon argomento nelle mani dell’opposizione democratica: l’America non è affatto svantaggiata; anzi ha progredito più di tutti, quindi non c’è bisogno di alcuna rivincita, di alcuna guerra commerciale o economica. 

La corsa americana comincia da anni lontani. Il dibattito è aperto. I repubblicani dicono con Ronald Reagan (1981-1989); i democratici con Bill Clinton (1993-2001). In ogni caso la grande trasformazione dell’economia americana inizia tra gli Ottanta e i Novanta, con la formidabile spinta della finanza, della tecnologia digitale, mentre la manifattura tradizionale piano piano si ridimensiona. Come abbiamo visto aumenta la ricchezza in termini assoluti e anche pro capite; lievitano i salari. 

Il problema, però, è che stiamo parlando di grandezze medie che non bastano per rispondere a una domanda chiave: come sono state distribuite, nel concreto, in modo capillare, le risorse aggiuntive tra la popolazione? Per rispondere ci viene in soccorso l’Indice di Gini, il parametro che misura il grado di disuguaglianza nella società. Funziona come una pagella, ma al contrario. Zero è il punteggio massimo: uguaglianza perfetta; 100% è il minimo: disuguaglianza totale. 

Ebbene negli Stati Uniti ricchezza e squilibri nella distribuzione sono sostanzialmente cresciuti in parallelo. Nel 1981, anno primo dell’era reaganiana, l’Indice di Gini era pari a 35,5%; nel 1993, con Clinton alla Casa Bianca, era salito al 38%. Nel 2022, ultimo anno disponibile nella seria della Banca Mondiale, l’indice ha raggiunto il 41,3%. Certo, la curva ha oscillato un po’ tra alti e bassi, ma il trend è molto chiaro, così come il significato politico. 

Né le Amministrazioni repubblicane, né quelle democratiche, partendo da Reagan, saltando a Clinton e poi fino a Barack Obama, Donald Trump I e Joe Biden sono riuscite a distribuire più equamente l’enorme ricchezza prodotta dal Paese. Qualcuno, come Obama, ci ha provato più di altri. Ma i dati mostrano che oggi il livello di ineguaglianza negli Usa è simile a quello della Malesia, dell’Argentina, del Messico e, ironicamente, dello stesso Lesotho. I Paesi concorrenti devono affrontare squilibri minori. In Cina, il valore dell’Indice di Gini è 35,7%, in India, 32,8%, in Germania 32,4%, in Italia 34,8%.

Più un Paese è ricco, meno sono accettate le disuguaglianze. È la ragione che, forse più di altre, ha riportato Trump nello Studio Ovale. Ma il presidente, anziché affrontare il malfunzionamento strutturale della distribuzione interna del reddito, ne ha scaricato la responsabilità sugli altri StatiQuei partner economici e commerciali che negli ultimi decenni hanno dovuto accettare lo strapotere finanziario, tecnologico, monetario degli Usa.

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