martedì 15 aprile 2025

Il ministro Giuli intervistato da Tommaso Labate ( da Corriere della sera)

(...) Lei è il ministro della Cultura di un governo con dentro nazionalisti e sovranisti. Il suo rapporto con i pari grado socialisti?

«Quando si tratta di cultura a volte neanche ci interessa sapere la provenienza politica e partitica dei colleghi. Una delle persone con cui vado più d’accordo è la ministra della Cultura tedesca, Claudia Roth, socialdemocratica. Le cooperazioni internazionali che riguardano l’arte, la musica, il cinema, lo spettacolo, la lotta alla pirateria e al traffico illecito dei beni culturali superano gli steccati politici e ideologici».

Scusi ma il tema dell’egemonia culturale della destra, che scandì il ritmo del battesimo del governo Meloni, che fine ha fatto?

«Le racconto questa cosa. Di recente ho incontrato l’ambasciatore cinese in Italia, era contentissimo quando gli ho regalato il mio libro sul fondatore del Partito comunista italiano, Gramsci è vivo. Alla fine, abbiamo chiuso la nostra conversazione citando Lao-Tse e il Tao te ching...».

E quindi?

«Se un confuciano come lui e uno di inclinazioni taoiste possono discutere di cultura, è il segno che la cultura non vive soltanto di egemonie. Tra l’altro gli ho proposto una cosa, che a lui è piaciuta: adottiamo insieme la candidatura di un sito Unesco in uno Stato africano».

Trump dichiara guerra alla Cina. Voi no?

«Cina e Italia sono repubbliche giovani con storie millenarie alle spalle. Sulla scia del percorso avviato con la visita a Pechino del presidente Mattarella e di Giorgia Meloni, ci saranno altri scambi, anche qui da noi spero».

Un personaggio come Musk l’affascina o le fa paura?

«Mi affascina perché rappresenta l’elemento caratteristico, ma ancora contemporaneo, della vecchia America: quel mix di gigantismo e infantilismo con cui una volta gli americani conquistavano il West e adesso puntano allo spazio. Mi riferisco a quella punta di infantilismo che spesso li fa uscire dai canoni del galateo diplomatico, che li fa esondare nelle politiche degli altri Paesi senza spesso neanche capire che materiale elettorale maneggiano. Anche qui, in fondo, sono dei geni; e come dicevo per Trump all’inizio, sono gli unici geni americani che abbiamo a disposizione in questo momento».

Quando è arrivato al ministero della Cultura al posto di Sangiuliano, un pezzo di Fratelli d’Italia le ha fatto la guerra. Ora è passata?

«No, nessuna guerra dal partito, semmai da qualche ultrà... Ho le spalle larghe fisicamente, intellettualmente e culturalmente. E soprattutto un petto che è stato messo al servizio della causa della destra prima ancora che nascesse Fratelli d’Italia».

S’è iscritto al partito?

«Tessera platinum in arrivo... da ritardatario. In ogni caso, di quel partito potrei essere persino la tessera numero due, dopo Giorgia Meloni, o la tre, la quattro, al massimo la cinque. Conosco la nomenclatura del partito per averla raccontata e a volte anche criticata, da giornalista e opinionista. E sono un ministro politico, non un tecnico. E comunque non voglio rendite, non fondo correnti, sono nipote di un provinciale inurbato che non ha città o collegi da sfamare; e penso che tutto questo possa aver tranquillizzato chi eventualmente non era tranquillo».

Un giornalista che fa il ministro non perde la sua libertà?

«Per riuscire a comandare bene bisogna desiderare di avere un buon capo. Ed è quello che ho detto a Giorgia Meloni quando mi ha chiamato per chiedermi se fossi pronto a diventare ministro della Cultura. “Io sono pronto. Ma tu sei pronta a essere il mio capo?”».

Si aspettava la chiamata durante il caso che ha travolto Gennaro Sangiuliano?

«Leggevo che sui giornali si faceva il mio nome ma nessuno mi aveva cercato. Poi, a un certo punto, nell’unico giorno della mia presidenza che mi ero presentato a lavoro al Maxxi senza giacca e cravatta, mi arriva un messaggio di Giorgia. Testo: “Puoi parlare?”. Dopo sono corso a casa a cambiarmi».

Lei tornerà al giornalismo oppure continuerà con la politica?

«Nulla di quello che ho fatto nella vita era nei miei programmi: non fare il giornalista, né il presidente del Maxxi, figuriamoci il ministro della Cultura. Marco Aurelio diceva: “Prendi senza illusioni, lascia senza difficoltà”». (...)

Nessun commento:

Posta un commento