giovedì 18 luglio 2024

Se Cina e Usa fanno finire subito la guerra, Zelensky potrebbe accettare di venire a patti con Putin ( da Il Riformista, di)

 


Volodymyr Zelenskyy al Summit per la pace in Ucraina che si tiene in Svizzera

Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky il futuro è sempre più un punto interrogativo. L’unica certezza è la guerra, con una Russia che prosegue nella sua lenta e inesorabile invasione (specialmente sul fronte orientale), i bombardamenti su tutto il territorio ucraino e Kiev che prova a reagire. Ma in questa tragica quotidianità l’elemento che più interessa e inquieta Zelensky e il suo entourage riguarda il futuro del conflitto. E in particolare il futuro del sostegno politico e militare a Kiev e alla sua resistenza.

Il primo campanello d’allarme

Le elezioni europee, in questo senso, erano già state un campanello d’allarme importante. Perché al voto per rinnovare l’Eurocamera i partiti più scettici (se non apertamente contrari) sull’invio delle armi all’esercito ucraino hanno ricevuto una grande quantità di voti. Suggerendo così – nemmeno troppo velatamente – un aumento della frustrazione della popolazione europea nei riguardi del conflitto che da due anni e mezzo sconvolge il Vecchio Continente. Ma il dibattito scatenato con il voto europeo si è poi consolidato e rafforzato con l’avvento di due altri elementi: i viaggi di Viktor Orbán e l’accendersi della campagna elettorale americana in vista del voto presidenziale di novembre. La “missione di pace” (così definita da lui stesso) del premier ungherese ha fatto capire che Budapest ha tutto l’interesse a sfruttare la sua posizione di “capitale” Ue in questo semestre di presidenza. E i viaggi di Orbán – a Kiev ma soprattutto a Mosca, Pechino e in Florida da Donald Trump – hanno messo in chiaro la volontà del magiaro di strappare un’eventuale posizione di mediatore e di proporsi come primo partner ideologico di Washington in caso di vittoria repubblicana.

Un consenso sui principi di non espansione

Viaggi che hanno scatenato la furia delle istituzioni europee, preoccupate da un leader che sta sfruttando la sua presidenza di turno con un’agenda internazionale non in linea con le volontà di Bruxelles. Ma che allo stesso tempo hanno trovato l’apprezzamento proprio delle due grandi potenze extraoccidentali: Cina e Russia. Sul Cremlino i dubbi erano pochi sin dall’inizio.

Ma quello che conta, in questa fase, è soprattutto l’orientamento di Pechino. Come ha scritto l’agenzia Xinhua, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, si è sentito al telefono con il suo omologo ungherese Peter Szijjarto sostenendo l’iniziativa di Budapest e spiegando che “tutte le parti dovrebbero raggiungere quanto prima un consenso sui princìpi di non espansione del campo di battaglia, di non escalation e di non soffiare sul fuoco per creare le condizioni per un cessate il fuoco e la ripresa dei colloqui di pace”.

E lo stesso Wang ha continuato auspicando di “raccogliere più forze che sostengono la pace, raggiungere un discorso più razionale e procedere verso una soluzione politica”. La posizione della Repubblica popolare, da sempre accusata di ambiguità e di sostenere (indirettamente) la Russia, conferma quindi che tra Orbán e Xi Jinping c’è una forte partnership anche sul fronte diplomatico.

Il possibile negoziato con Putin

Questo rapporto è ancora più interessante se si riflette su un altro dato: dal viaggio di Orbán sembra chiaro che, almeno in questo frangente, le posizioni di Trump e di Xi potrebbero paradossalmente coincidere. Il repubblicano ha sempre fatto capire di non amare l’impegno statunitense al di fuori dei propri confini, a maggior ragione in guerre che non ritiene prioritarie per la propria sicurezza nazionale. The Donald, inoltre, ha promesso di risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina ancora prima di sedersi nello Studio Ovale. E il vice scelto per la sua eventuale vittoria – quel J.D. Vance incoronato nella convention di Milwaukee – ha più volte rimarcato la sua contrarietà all’invio di continui fluissi di armi all’Ucraina, così come la volontà di Trump di rasserenare i rapporti con Mosca. Questa curiosa convergenza di interessi e di intenti tra Pechino e Washington potrebbe così portare a una situazione (al momento paradossale) in cui Cina e Stati Uniti potranno volere la stessa cosa: la fine del conflittoE questo, nell’ottica di Zelensky, potrebbe anche dover dire accettare un compromesso che rischia di tradursi in una necessaria concessione, in un possibile negoziato con Vladimir Putin. In qualche modo, Kiev sembra avere percepito questo probabile cambiamento di prospettiva. Come dimostrato dall’apertura del leader ucraino alla presenza di delegati russi nel prossimo summit per la pace. “Credo che debbano esserci rappresentanti russi al secondo summit”, ha detto Zelensky in conferenza stampa. Una possibilità che è stata riferita ieri anche dal governo ungherese. E data la tradizionale chiusura del leader ucraino nei confronti dei negoziatori di Mosca, una dichiarazione di questo tipo potrebbe significare un primo segnale di apertura ma anche di cambiamento nella comunità internazionale.

Ieri, intanto, è arrivata una nuova notizia positiva sul fronte dei prigionieri: 95 ucraini e 95 russi sono stati rilasciati con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti.

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