sabato 15 luglio 2023

L'Inno a Roma è una PORCHERIA. Parola di Giacomo Puccini

  L'appiglio della loro protesta per l'esecuzione dell'Inno a Roma da parte della direttrice Venezi, nel concerto inaugurale delle celebrazioni pucciniane nella sua città natale Lucca, i due studiosi pucciniani Girardi e Biagi Ravenni, membri del Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario pucciniano (di cui è presidente il contestatissimo da tutti, Alberto Veronesi) l'avrebbero trovato nella considerazione che il musicista medesimo aveva di quel suo lavoro: è una porcheria, aveva detto una volta. E' necessario credergli, e dunque non eseguirlo, attenendosi alla sua considerazione oppure no?

 Ai due studiosi, benché non siamo alla loro altezza 'pucciniana', vorremo offrire alcune considerazioni.

 La prima è che molto spesso i musicisti hanno espresso, anche senza esserne profondamente convinti magari solo insoddisfatti, nei confronti di alcune loro opere, giudizi strani. Senza parlare di ciò che quasi sempre alcuni musicisti hanno detto di opere di loro compagni; i casi che si registrano in tal senso nella storia della musica dovrebbero insegnarci a credere ma non troppo a ciò che dicevano o scrivevano di alcune loro opere i musicisti, salvo ricredersi qualche tempo dopo.

 Dunque porcheria o capolavoro forse i musicisti dovrebbero lasciare il giudizio ai cosiddetti 'posteri' che spesso, troppo spesso, li hanno capovolti.

 Nel caso poi in questione ci sono da considerare anche altre ragioni per non tenere conto del tutto del giudizio dell'autore. Ci spieghiamo con un esempio.

 Negli anni della nostra gioventù avemmo spesso rapporti con Nino Rota al quale, per la amicizia che egli in ogni momento ci dimostrò,  osammo chiedere di scrivere musica per noi, committenti davvero speciali, gratuitamente. E Nino Rota in più occasioni lo fece aderendo a nostre precise richieste, come attestano anche alcune lettere conservate nel 'Fondo Rota' presso la Fondazione Cini di Venezia. 

Una volta gli chiedemmo anche di scrivere un nuovo inno per il Pontificio Seminario della Quercia (Viterbo), dove noi allora studiavamo, utilizzando un testo preesistente, che iniziava così: 'Al sol che di Roma' ( Viterbo illuminata dal sole della Capitale ecc...; tale incipit ci  è venuto in mente per il ritornello dell'Inno a Roma che canta: 'Sole che sorgi'). Rota, non sappiamo se volentieri o meno lo scrisse e noi ne fummo felici e lo ringraziammo.

 Forti di quella concessione, qualche tempo dopo gli chiedemmo di scrivere ancora un inno per quella che allora si chiamava la 'Chiesa del silenzio', la Chiesa martoriata d'oltre cortina, e gli inviammo il testo. Rota il secondo inno non lo scrisse; e fra le lettere conservate a Venezia, c'è un abbozzo di lettera suo, in risposta alla nostra richiesta, nel quale il musicista accenna alle caratteristiche che un inno deve avere e per le quali non sempre si trovano le giuste soluzioni.

 Del resto, nel corso della storia, anche il nostro Inno nazionale,  benché bersagliato da tutte le parti, l'ha avuta vinta per il suo carattere tipico di inno, anche passando sopra il testo di Mameli. Mentre uguale sorte non è toccata ad altri musicisti, anche grandissimi, ai quali giunse la richiesta di scriverne uno alternativo.

 Alla luce di queste semplici considerazioni verrebbe da dire che quel giudizio di Puccini sul suo Inno a Roma, non debba essere preso in seria considerazione, e magari fosse ristretto solo al tono trionfalistico del testo ( si sa che quel testo, per decisione proprio di Puccini, fu fatto rimaneggiare dal suo autore. Chissà cose era prima).

 Ma allora perchè i due studiosi hanno fatto leva, contrariamente a quello che modestamente pensiamo noi, alla pochezza  ('Porcheria', l'ha definito Puccini) di quell'Inno per opporsi, senza risultato, alla sua esecuzione da parte della direttrice Venezi, fan della Meloni, pupilla e consigliera di Sangiuliano, protetta dal sindaco di FDI di Lucca, e considerata (?) da Veronesi che negli ultimi anni è finito anche lui nelle file della destra politica?

 La ragione non va cercata in quella di facciata, poggiata sul giudizio del musicista, bensì sul timore, non espresso ma sottinteso, che quell' esecuzione in apertura delle celebrazioni pucciniane, potesse mutarsi in un'apoteosi della destra al potere, non dimentichi del fatto che quell'Inno a Roma venne assunto, anni dopo, dal Fascismo, come fosse il proprio - stessa sorte era toccata a Wagner da parte dei Nazisti - e successivamente anche dal MSI. Più chiaro di così, anche senza dirlo espressamente, perchè non potevano. 


2 commenti:

  1. "alme Sol, curru nitido diem qui
    promis et
    celas aliusque et idem
    nasceris, possis nihil urbe Roma
    visere maius"
    Questi versi di Orazio, tradotti da Puccini non proprio impeccabilmente, celebravano la grandezza della Roma augustea... L'inno di Puccini è del 1919, epoca prefascista. Io, di mio, l'ho sempre apprezzato e il commento riportato mi riporta al giudizio di Chopin su molte sue opere non pubblicate e che vengono eseguite più di quelle in catalogo. Buona parte dell'opera di Puccini è stata strumentalizzata: soprattutto dalla tradizione popolare degli immigrati che tendevano ad esaltarne il sentimentalismo più che l'estro compositivo. Quella della Venezi è stata la strumentalizzazione di una strumentalizzazione... Quindi anche di seconda mano. Detesto gli usi impropri della musica colta, questo ne è un fulgido esempio. Dove non è arrivata la Venezi nel vilipendio di Puccini, ci ha pensato "Molto Tumore Per Nulla" Veronesi: la cui qualità direttoriale non cambia se non vede l'orchestra e i cantanti... e viceversa.

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  2. grazie, non si poteva riassumere meglio. Immagino condivida il mio giudizio su Beatrice Venezi, che appartiene ancora a pochi, anzi pochissimi. Ogni giorno, al contrario,, di Lei si legge:direttrice di 'fama internazionale'. Che è l'unica cosa che non è oltre a non essere neppure una direttrice degna di questo nome. Se poi a Lei uniamo anche il direttore 'bendato'... saluti pietro acquafredda

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