mercoledì 5 febbraio 2020

Cronaca di un concerto in onore di Bruno Maderna, ed anche, ma per altra ragione, di Marcello Panni

Ieri, sera, vincendo la comprensibile pigrizia di  un anziano come me, ho preso la macchina e sono andato all'Università 'La sapienza', dove nell'Aula Magna, all'ombra del grande affresco di Mario Sironi (al quale il recente restauro ha restituito i colori, soprattutto il blu cobalto del cielo) si dava un concerto in onore di Bruno Maderna (che nasceva cento anni fa), diretto da Marcello Panni, con l'Orchestra della Istituzione  Sinfonica Abruzzese ( ISA), il gruppo di percussioni Ars Ludi, capeggiato dal suo fondatore ed animatore, Gianluca Ruggeri, un coro misto, due pianoforti ed altre tastiere, e due solisti ( Trovalusci e Schmitt) e , 'in absentia' - come hanno fatto rilevare i dotti organizzatori del concerto, l'Istituzione Universitaria dei Concerti ( IUC) - la 'voce' inconfondibile di Carmelo Bene e un nastro con suoni d'orchestra preregistrato, e qui irradiato dagli altoparlanti, gli stessi che rimandavano la voce di Carmelo Bene. 

L' enorme sforzo produttivo ed organizzativo era da valorizzare e premiare, come ha fatto il pubblico romano che ha riempito l'Aula Magna dell'Università, oltre, naturalmente,  che per l'interesse del brano in programma: Hyperion,  una delle infinite versioni di quell'opera - per l'esattezza, la versione  del 1980 - adattata da Marcello Panni che ne fu anche allora il direttore, dal titolo Suite per voce recitante, flauto, oboe, coro e orchestra.

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 Ma ora , prima di parlare del concerto, ed anche di altre cosette meno rilevanti ma per me interessanti, vengo a dire la ragione seconda per cui sono uscito di casa. 

La presenza di Marcello Panni sul podio era frutto di una ricorrenza importante per Marcello. Il suo ottantesimo compleanno, in ragione del quale volevo rivolgergli personalmente gli auguri.

 Ragione poi del tutto personale, è che da sempre vengo considerato come il suo più prossimo sosia, sotto l'aspetto fisico. Fatto che anni fa fu alla base di un curioso incidente, in diretta radiofonica, nell'Auditorium della Conciliazione, in occasione del primo concerto diretto da Pappano - quando si dice il caso: più tardi avrei scritto la prima biografia dell'osannato direttore - che il cronista Antonioni, in diretta su Radio Tre,  porgendomi il microfono all'intervallo, mi invitò a commentare, annunciandomi per Marcello Panni. 
L'ho raccontato già su questo blog, questo curioso episodio che fu la mia involontaria e non cercata vendetta, complice il destino e l'ignaro Antonioni, contro la 'ciurma' di Radio Tre - così la chiamavo allora  - che mi aveva  allontanato senza ragione, se non quella che in più occasioni avevo criticato  il grande profittatore  di quell'incarico Rai,  dall'Ongaro, e la 'reggente', Carlotto,  complice, ci piace pensare, ignara. Io non volevo credere che le critiche non erano nè ammesse nè accettate, e che ad essa seguiva immediato ostracismo radiofonico.

Modalità che continua, senza che nessuno, oltre i diretti interessati, si indignino, come nel caso che mi vede esiliato dall'Accademia di Santa Cecilia, per decreto di dall'Ongaro, e dall'Opera di Roma, per analoga volontà del sovrintendente Fuortes, di cui ieri ho incontrato -  che camminava 'muro muro', immagino per la vergogna - il suo addetto stampa, il quale ogni volta che gli ho  chiesto un biglietto per l'Opera  mi ha sempre risposto che erano esauriti: ordine tassativo del padrone, che premia la sua fedeltà, ed anche il suo accanimento nel seminargli i detrattori (io sarei uno di questi), tenendolo ancora in  servizio nonostante i settant'anni suonati.

Chiudo volentieri questa  breve pagina dove si  sono raccontate soprattutto mascalzonate, per passare a cose più piacevoli.

La prima. Ho rivisto dopo una  decina d'anni due mie ex allieve del Conservatorio aquilano, che oggi occupano i leggii di primo flauto (Silvia Colageo) e flauto di fila, o secondo (Claudia Vittorini),  nell'Orchestra aquilana. Erano ragazze molto giovani quando frequentavano la classe di 'Storia della musica', oggi sono strumentiste  maggiorenni, e Silvia ha fatto una carriera davvero brillante ( è stata anche primo flauto dell 'Orchestra Giovanile Italiana (OGI) di Fiesole.
 La classe di flauto del m.Rossi, nel Conservatorio dell'Aquila, alla quale appartenevano le due flautiste, ha  diplomato parecchi giovani  di valore che stanno facendo una bella carriera, come Zenodocchio ad esempio, che lasciai studente volato a perfezionarsi in Olanda, e so oggi  impegnato in una intensa attività concertistica.

La seconda,  è l'aver incontrato anche un mio illustre collega che ha dedicato e dedica tuttora i suoi studi a Maderna, Nicola Verzina, allevato in gioventù nella Università bolognese dalla Coppia Baroni-Dalmonte, che  conobbi negli anni di Conservatorio, perchè mi sostituì in una occasione. Ieri ho ripreso un suo volume in francese, ed anche un secondo, inviatomi che  non è  molto, dal titolo 'Pour  Bruno' ( mutuato da un celebro pezzo di Donatoni dedicato all'amico Maderna) e che raccoglie infiniti documenti, edito dalla Libreria Musicale Italiana.

Dai quali devo per l'ennesima volta lamentare l'assenza - Verzina non me ne vorrà, perchè  a lui l'ho detto anche a voce - di un testo molto acuto ma critico di Mario Bortolotto (intitolato 'Quell'elefante leggerissimo' uscito su Piano Time, nei confronti di Maderna,), sulla sua attività di compositore, originato da una mia breve intervista a Boulez che nutriva gli stessi dubbi esplicitati poi da Bortolotto.
 Quel testo  è stato ripubblicato in anni recenti anche sul Foglio da Bortolotto, e successivamente da Adelphi, in una silloge di scritti del noto critico.
 Mi sono sempre chiesto perchè i 'fans'  di Maderna - come ve ne sono anche in musicologia, riconoscibili dal fatto che tengono gli occhi chiusi per non vedere ciò che non vogliono, per nessuna ragione, vedere del loro beniamino - lo  abbiano finora ignorato volutamente perfino nella bibliografia, quando invece avrebbero potuto e dovuto, a loro volta criticarlo; ma loro non l'hanno fatto, hanno preferito far finta che non ci sia stato.

Comunque, il volume inviatomi da  Verzina
raccoglie interventi di un convegno di studi e testimonianze sparse di personaggi in vista del mondo musicale (alcuni dei quali ci hanno rivelato - roba da brividi! - che Maderna era simpatico e gran parlatore) e molte pagine  dedicate proprio all'enigmatico Hyperion .
Anzi enigmaticissimo, ma nello stile compositivo di Maderna, che  per i tanti Hyperion ( vi sono infatti molte versioni, dalla prima in coppia con il regista Virginio Puecher, al quale Maderna aveva inviato alcune musiche pregandolo di pensare  uno spettacolo,  un 'opera, che venne poi presentata alla Fenice, durante la Biennale del 1964), ha messo in fila molti suoi brani per orchestra, avvertendo che quella fila può esser anche scompaginata,  come del resto ha fatto lo stesso autore nelle diverse presentazioni.

L'esecuzione di ieri sera  ha riscoperto un Carmelo Bene inedito.
 Si tratta di una registrazione effettuata nel 1980, in Rai, con il testo di Holderlin rivisto dal grande attore, che vantava di diritto la sua appartenenza alla famiglia dei musicisti, nella prospettiva di utilizzarla, dopo l'esecuzione anche per una uscita discografica programmata e che poi non si fece.

 Su indicazione di Panni, naturalmente,  si è ritrovato quel nastro e lo si è utilizzato per l'esecuzione di ieri sera, condotta con grande rigore e precisione, che ci ha fatto conoscere, nonostante tutto - ci riferiamo anche a quello che pensavano Boulez e Bortolotto - la grande sensibilità  strumentale di Maderna e la sua propensione a studiare  e rinverdire la tradizione, come ha fatto con le parti corali dell'Hyperion ascoltate ieri.

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Infine, vorrei segnalare un atto di prosopopea dell'attuale direttore artistico della Istituzione Universitaria dei Concerti, il  mio ex collega Giovanni D'Alò, che ora si è, evidentemente, 'allargato ' non solo fisicamente.
 In un suo testo contenuto nel programma di sala, ha voluto ripercorrere la carriera, parallela alla musica e in coppia con diversi musicisti, di Carmelo Bene: Manfred, Pinocchio, Majakovskij.

Ad un certo punto si legge: " Sulla musica di Bussotti (uno di questi musicisti, ndr) il mistero è destinato a durare ( a meno che, chissà, un giorno, non mi decida a scrivere qualcosa...) Sull'Hyperion, invece, stasera sarà finalmente fatta luce ( ma lui , D'Alò , non c'entra, ndr)".

Dopo tale lettura, la musicologia internazionale è in fibrillazione e trepidante attesa, in attesa delle rivelazioni che D'Alò,  e solo lui potrebbe fare, sulla musica di Bussotti.
 D'Alò, vuoi un consiglio ? Cerca di fare bene il direttore artistico, poi  quando e se ti deciderai a fare  quelle rivelazioni su Bussotti-Bene, lascia che sia il mondo della musicologia a valutarle  e giudicarle. Ti stai allargando troppo. Sinceramente,  Pietro Acquafredda.

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 da Piano Time:
Quell’elefante leggerissimo 
"L’interesse intorno a Maderna ha più d’una ragione. Innanzitutto egli è stato tra i musicisti della mia generazione il primo a riunire il coté direttoriale (interpretativo) e quello compositivo, anche se forse il primo ha tolto tempo prezioso al secondo. Forse aggiungerei che la sua morte repentina (a soli 54 anni) che gli ha ovviamente impedito di realizzare quanto la maturità d’un musicista prometteva, aumenta l’interesse. Ed anche la curiosità. Penso all’enorme difficoltà che gli interpreti incontrano nell’avvicinarsi alle sue opere: ciascuna comporta problemi talvolta insormontabili, di ricostruzione e di interpretazione. Era un grandissimo improvvisatore. Per l’edizione del ’90 del Festival d’Automne a Parigi, è in cantiere un minifestival dedicato interamente a Maderna, nel corso del quale metteremo in scena ‘Hyperion’: un lavoro difficilissimo, per il quale sono preziosissimi i documenti conservati alla Fondazione Paul Sacher di Basilea, pur nella loro frammentarietà. E non va poi dimenticato l’uomo Maderna, sempre premuroso verso gli altri e nulla affatto verso se stesso. È questo il fascino di quell’elefante leggero come una piuma".
                                                                                               Pierre Boulez 
                                              (Testo raccolto da Pietro Acquafredda)



da PIANO TIME:

QUELL'ELEFANTE LEGGERISSIMO

Quale splendido scrittore sia Pierre Boulez è inutile ripetere: il fascino di una sintassi ondulosa, piena di sottili capziosità, di calcolate tergiversazioni, di finte giravolte, non ha probabilmente pari nella letteratura musicale di oggi: anche in questo ambito, così esposto agli equivoci, il maestro può ragionevolmente considerarsi come l’erede legittimo di una tradizione illustre: gli articoli di Debussy, le lettere (e i rari scritti) di Ravel. 

Si è letto proprio su questa rivista ( Piano Time, ndr) un piccolo ricordo di Bruno Maderna, ‘Quell’elefante leggerissimo’, dettato in fretta, e sembra impossibile, e tradotto in italiano: non siamo dunque nella possibilità di tentare un minuscolo assaggio di Stilkritik. E tuttavia, ve n’è a sufficienza per scorgere, leggera come lo scomparso del titolo, e di ben altra grazia, la mano di un eccezionale virtuoso del fioretto. 

Boulez, naturalmente, trascura anzitutto l’ovvio: le qualità del didatta, così pronto ad aiutare gli esordienti, dello studioso, dell’animatore, cui tanti compositori oggi celebri devono più di un’indicazione, o di un avvio. Non dice del pari nulla sulle sue più che discutibili doti di direttore: mediocre senza remissione, come ognun sa, ma musicalissimo, sempre capace poi di improvvise illuminazioni: oggi massacrando Monteverdi (e orribilmente orchestrandolo), domani malmenando Mozart, e poi accendendo di improvvisi bagliori una pagina di Mahler, o di Webern, da lasciarci sbalorditi e sconvolti. 

Boulez punta subito sul compositore. Nello spazio di poche righe, ci ricorda con implacabile garbo quanto fosse naturalmente dotato: «era un grandissimo improvvisatore». Ma la via verso la composizione è acerrima, e la fatica non sembrava addirsi al collega. L’attività di direttore d’orchestra gli ha tolto «tempo prezioso»: inutile osservare, a questo punto, che le buone prediche vanno bene anche quando il pulpito è sospetto. (Siamo ovviamente carichi di simpatia per lo svillaneggiato padre Zappata, che poi razzolava male: forse che, quando leggiamo Bossuet, ci domandiamo se poi mettesse in pratica i suoi dolcissimi precetti?)

L’impazienza, la stessa «curiosità» del musicista veneziano traducevano una incapacità a riflettere sulle ragioni formali di fondo, sì da concedergli pagine vivacissime, financo geniali ma da impedirgli poi di stringerle nella sperata unità. In lui, dannatamente, tout ne se tient pas. Anche le modalità di scrittura intervengono pesantemente. Certo i documenti conservati nell’Archivio della Fondazione Paul Sacher saranno «preziosissimi», ma subito s’aggiunge: «pur nella loro frammentarietà». Gli interpreti così non sono in grado, magari, di rendere un pensiero che non si è compiutamente definito: non si arriva a dichiarare che si tratta di brogliacci, stracarichi di segni di varia mano, ma si nota come «ciascuna opera comporti problemi talvolta insormontabili, di costruzione e di interpretazione». Un meno abile avrebbe semplicemente detto che gli abbozzi venivano poi, in vita dell’autore, consegnati alle estrose manipolazioni del momento ma, per le esecuzioni odierne, si tratta di ricominciare ad inventare. Non mancherà chi poi sappia ricordare tutto. Sono cose non nuove: Glazunov e Rimskij Korsakov, ai loro bei giorni, stesero l’ouverture del Knjaz’ Igor di (?) Borodin; avendogliela sentita suonare più volte al pianoforte. 

Ultima amara osservazione: la morte precoce, come in ogni dérèglement che si rispetti «troppo facilmente sedotto dall’aiuto bacchico», come gli scriveva, tre anni prima, l’amico Nono, intensamente sottolineando. 

Leggiamo questa affettuosa lettera in un volume, ‘Scritti su Bruno Maderna’, edito da Suvini Zerboni, il suo editore. Contiene analisi egregiamente condotte e una gran copia di informazioni, che sono naturalmente benvenute. Quando uscì il primo libro critico, quello brillante ed entusiastico di Massimo Mila, vi leggemmo, accanto ad episodi di un gusto costernante (le risate dei due davanti al ‘Quintetto op. 26’ di Schoenberg), anche un grazioso cenno di consenso: Mila prendeva garbatamente le distanze di fronte all’esclusione da noi compiuta in un libro del ’69: «quando stava appena per cominciare l’esplosione dell’ultimo Maderna»: esso libro «rispecchia l’opinione che tutti avevamo allora di lui». Ci sarebbe facile, a vent’anni di distanza, ricambiare sì amabile inchino, e inneggiare all’esplosione. Ma non ci sentiamo proprio di farlo: le ultime cose sono anche più velleitarie e sconnesse (senza stare a ripetere che contengono ancora e sempre momenti esaltanti), la disponibilità leggendaria verso tutto svela la mancanza di centro: qualcosa come i famosi «effetti senza causa». Ricordiamo bene la prima darmstadtiana del suo ‘Concerto per pianoforte e orchestra’: figuriamoci, con David Tudor alla tastiera. Gli dei benigni ci avevano dato come vicino Theodor Adorno che ascoltò con l’attenzione abituale. Poi, alla fine: «Dommage, car il connait tous les trucs». 

                                                                        Mario Bortolotto

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