martedì 27 agosto 2024

Venezia, Biennale Arte 2024. Miglior padiglione: Polonia ( da Artribune, di Francesco Napolitano)

 

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Il bell’esempio del Padiglione Polonia

Le pochissime eccezioni a questa deriva woke sono quasi tutte fuori dall’Arsenale e dal padiglione centrale dei Giardini; la migliore è il padiglione della Polonia, che merita di essere raccontato. Chi entra vede il buio; qualche secondo per adattare la vista all’oscurità e si intravedono al centro alcune sedie e dei tavolini, come in un bar. Agli estremi dello spazio rettangolare ci sono due grandi schermi e davanti ad essi sono posizionati dei microfoni. L’opera del collettivo Open Groupsi chiama Repeat After Me ed è molto semplice: i video riprendono frontalmente una serie di rifugiati ucraini, persone comuni che hanno visto e udito le atrocità alle quali la Russia di Putin ha sottoposto il loro Paese. Ciascuno, dopo aver detto “ripetete dopo di me“, interpreta con la propria bocca e con la propria voce un suono della guerra, quello che lo ha colpito di più, quello che non potrà mai dimenticare: chi le sirene, chi le bombe, chi i missili, i cingoli dei carri armati, il kalashnikov, gli elicotteri. Tum tum tum tum tum tum tum tum. Come in un karaoke bar, il visitatore è chiamato ad avvicinarsi ai microfoni e ripetere quel suono, leggendone persino la trascrizione nel sottotitolo del video, come nel famoso gioco canoro. 


Il coinvolgimento dello spettatore nel Padiglione Polonia

L’opera riesce miracolosamente a stabilire un vero contatto con lo spettatore, a realizzare un’interazione non innocua: nel ripetere il suono, nel vedere quei volti, il visitatore condivide un pezzo di quell’esperienza mostruosa e disumana. Ma in quell’atto non emerge solo l’empatia, c’è anche un senso di inadeguatezza e vergogna: il visitatore emette quei suoni al sicuro dentro una mostra, in un karaoke bar, imitando chi ha davvero visto e udito l’orrore. Tutto questo rende palese l’ipocrisia dei dibattiti televisivi sul presunto pacifismo, sull’opportunità di inviare le armi, su quali sono offensive e quali difensive.


Repeat After Me e la rappresentazione della guerra

Il 24 febbraio 2022 gli ucraini hanno visto davvero stranieri ovunque nel loro Paese, stranieri veramente invasori, stranieri veramente armati e pronti a commettere ogni nefandezza. Lo leggiamo tutti i giorni sul giornale, lo ascoltiamo al TG, nei talk show, ne parliamo preoccupati, eppure nella Biennale la questione sembra come nascosta da una cappa di terzomondismoprimitivismo, intersezionalismo. Come se l’oppressione subita dagli ucraini non meritasse di essere inclusa nelle tante oppressioni coloniali contemplate nella mostra.
Fa riflettere il fatto che il precedente governo polacco di estrema destra aveva inizialmente selezionato un diverso allestimento per il padiglione della Biennale: un insieme di opere dai toni anti russi ma anche anti europei e sovranisti. Con la vittoria di Donald Tusk e con l’insediamento del nuovo governo, la Polonia ha deciso di cambiare e di selezionare Open Group. Scelta felicissima, perché Repeat After Me, nella sua semplice astrazione, non rappresenta soltanto la guerra in Ucraina, ma la guerra in generale, che è il fatto centrale di questo momento storico, che sta sconvolgendo l’occidente e il mondo. I rifugiati ucraini sono stati ripresi nei luoghi più diversi, a Berlino, a New York, in Irlanda: loro stessi sono stranieri e sono ovunque ed è per questo che il padiglione della Polonia centra il tema della Biennale con più precisione e con più coraggio della mostra del curatore. È un bene che sia presente ai giardini ma purtroppo da solo non basta a salvare la Biennale di quest’anno.

 

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