«I miei mi hanno sempre assecondato, trasmettendomi fiducia e un clima sereno in cui far maturare le mie scelte. Da loro ho avuto l’esempio di uno studio condotto con abnegazione, senza scorciatoie. Ai ragazzi che inseguono un sogno consiglierei di metterlo alla prova, perché a volte potrebbe trattarsi di un’illusione. Ci vuole infatti la giusta dose di curiosità per aprirsi a esperienze inattese che potrebbero smentire il vecchio sogno e suggerirne uno nuovo, più “vero”. A quel punto non resterà che seguirlo». Il tedesco gli ha aperto le porte della Germania e la sua è una scelta di cuore e a tratti desueta. Francesco Fontanelli, musicologo, classe 1988, a Berlino è attualmente ricercatore ospite della “Humboldt-Universität”. E qui continua i suoi studi sugli ultimi quartetti d’archi di Beethoven. Ma riavvolgiamo la storia dall’inizio quando tutto ha preso forma. «La passione – racconta – è nata forse per contrasto rispetto ai tanti libri che pesavano sugli scaffali di casa mia. Mentre un romanzo richiede giorni per esser letto, infatti, la musica impatta subito sui nostri sensi e ci dice qualcosa di intraducibile, che risuona nel profondo. Le prime impressioni musicali mi sono arrivate dai cartoni disneyani, soprattutto “I tre porcellini”, con i loro motivi trascinanti che poi scoprii essere le Danze Ungheresi di Brahms». A otto anni, poi, papà Giuseppe, docente del nostro Ateneo, lo porta a vedere il musical “Evita”. Francesco ne rimane affascinato e a leggere oggi questo “frame”, gli appare come un presagio della potenza espressiva che avrebbe trovato nell’opera lirica. «La decisione di suonare il pianoforte venne spontanea – continua –; lo chiesi io ai miei genitori e iniziai le lezioni a Milazzo da Lina Calafato, che ha avuto un ruolo essenziale nel trasmettermi la bellezza e il rigore del fare musica. Sotto la sua guida ho preparato gli esami di conservatorio, in parallelo con gli studi al liceo classico. I miei pezzi prediletti, all’epoca, erano i “Preludi” e le “Ballate di Chopin”, che talvolta suonavo al pianoforte dell’aula magna durante l’intervallo».
Dopo la maturità, le scelte. Il giovane amava il Latino e la Filosofia e avrebbe potuto scegliere la facoltà di Lettere ma voleva dare continuità a una passione che forse poteva trasformarsi in qualcosa di più grande: «Sono venuto a conoscenza che esisteva un Dipartimento di Musicologia a Cremona, sede dell’Università di Pavia. E così ho deciso di partire. Mi diplomai in pianoforte al Conservatorio “Verdi” di Como, nella classe del compianto maestro Carlo Bernava, di origini messinesi. La mia tesi di laurea sul compositore Alfredo Casella venne selezionata come migliore tesi nel concorso nazionale “De Sono” e pubblicata nel 2015; l’anno seguente mi è giunta dal Teatro La Fenice di Venezia la sorpresa di un riconoscimento per quello studio: il premio“Arthur Rubinstein-Una vita per la musica, giovani”. Compresi che ero sulla strada giusta». Il racconto continua: «Negli ultimi quattro anni sono stato assegnista e professore a contratto nel Dipartimento di Musicologia di Cremona» ma il presente è la capitale della Germania, dove si respira cultura a pieni polmoni. «Dopo la pandemia, ho presentato domanda per una borsa di studio della Fondazione “Alexander von Humboldt” e l’ho vinta, concorrendo con studiosi provenienti da ogni parte del mondo. Questo mi consente di stare a Berlino fino a luglio 2025». E il desiderio è uno: «Dopo queste peregrinazioni, preziose per la mia formazione vorrei far fruttare l’esperienza accumulata negli anni. Amo molto la didattica: è il momento in cui si esce dalla solitudine della propria scrivania per entrare in dialogo con gli studenti. Spero di poter esercitare questa attività in Italia, contribuendo alla diffusione della musicologia, che resta una disciplina per certi versi “incompresa”». Chiediamo, infine, a Francesco quali siano stati i suoi maestri: «Innanzitutto Fabrizio Della Seta, uno dei massimi esperti di Verdi e di Bellini, e con lui Gianmario Borio, riferimento per la musica del Novecento, e Michele Girardi, grande studioso pucciniano. A loro devo il mio bagaglio».
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