lunedì 12 dicembre 2022

Vittorio Sgarbi nella guerra contro la Scala ha aperto un altro fronte, che di nome fa Riccardo Muti

Nei giorni scorsi, Vittorio Sgarbi, sottosegretario con delega ai beni culturali, ma che aveva patrocinato una possibile consulenza di Morgan, in  ambito musicale andata a buca, e che, dopo la nomina di Beatrice Venezi non ha trovato il fiato per stigmatizzare che la direttrice d'orchestra deve tale sua nomina quasi esclusivamente alla sua dichiarata appartenenza al partito di Giorgia Meloni, affatto ai suoi meriti professionali, scarsissimi,  è tornato nei giorni scorsi ad invadere nuovamente il campo attiguo al suo, quello musicale, ponendo all'attenzione il problema dei vertici di grandi istituzioni italiane, spesso in mano  a professionisti stranieri.

 Se l'è presa, en passant, con  il direttore degli Uffizi, di cui riconosce però la preparazione, ma ancor di più ha tuonato contro la Scala i cui ultimi tre sovrintendenti sono stati stranieri: Lissner, per due mandati, poi Pereira ed ora Meyer.  La Scala, ha detto, deve avere un sovrintendente italiano. Affermazione che ha urtato Meyer che non gradisce essere indicato come straniero, perchè anche in Italia è conosciuto, e soprattutto perchè vanta un curriculum di tutto rispetto. Sgarbi sembra patrocinare la causa di Salvini, a prescindere da tutto: prima gli italiani.

 Dimenticando però che, ad esempio, all'Opéra di Parigi, diretto ora da Dudamel, uno straniero per la Francia - è stato sovrintendente, nei suoi anni migliori, il nostro  Massimo Bogjanchino. E dimenticando anche che molti direttori musicali di grandi istituzioni estere  sono italiani. Bastano i casi di Chailly, in passato, o di Gatti, nel presente, che fra un paio d'anni, sarà a Dresda.

 Dunque Sgarbi vorrebbe - l'ha già detto in precedenza, dando una mano alla Meloni che intende, a breve,  con un giro di poltrone liberare quella della Rai, dove intende metterci un suo fedelissimo, e mandare Fuortes alla Scala - che Giuseppe Sala che della Scala è presidente, trovi il modo di mandare  a casa anzitempo Meyer. Ammesso naturalmente che Meyer sia d'accordo, come anche che  sia d'accordo Fuortes per traslocare, dopo essere messo in minoranza, dalla Rai.

 Adesso, come non bastasse il vertice della Scala italiano, vuole intronizzare nella carica di direttore musicale Riccardo Muti, al posto di Chailly, italianissimo a dispetto del cognome.

Le storie che vorrebbero legati i destini di Riccardo Muti alle mutevolissime indicazioni e spinte di Sgarbi sono tante.

 Lo avrebbe voluto senatore a vita, lo candidò alla presidenza della Repubblica, la  nomina non gli venne fatta - allora si nominò Abbado più avanti negli anni di Muti - e la candidatura al Quirinale venne saggiamente rifiutata dal direttore.

C'è da dire che è una vergogna che in Italia, patria della musica, nessuna nostra gloria musicale - in passato ci furono Verdi ed anche Puccini - sieda nelle aule parlamentari. Il che fa capire in quale bassissima considerazione le istituzioni tengano la musica. Si potrebbe rimediare, potrebbe farlo Mattarella nominando Muti senatore a vita, e forse sarebbe il caso che lo faccia.

  Giacomo Puccini, appresa la notizia della sua nomina a Senatore, in  una lettera si firmò ' Sonatore del Regno'.

 Ma ciò che Sgarbi chiede per Muti, il suo ritorno alla Scala  dopo quasi vent'anni da quando ne è uscito traumaticamente per un dissidio insanabile con i vertici e con l'orchestra, è davvero impensabile da realizzare, anche con un nuovo sovrintendente italiano al 100%. 

In verità Sgarbi vuole che sia Meyer ad adoperarsi per far tornare Muti alla Scala come direttore musicale, ammesso che Muti lo voglia; e comunque potrebbe avvenire non prima che abbia concluso il suo incarico a Chicago, l'anno prossimo. 

Da vent'anni gira alla larga dal teatro milanese, e le pochissime volte in cui  vi ha messo piede l'ha fatto al seguito di grandi compagini musicali straniere. Peggio ha fatto  con Roma, dove non è mai più tornato dopo aver abbandonato il Teatro dell'Opera, sotto la sovrintendenza di Fuortes.

Furono proprio le sue dimissioni comunicate con una lettera al sovrintendente Fuortes da  Chicago, e non ad Alessio Vlad, direttore artistico e all'amico di entrambi Paolo Isotta (come quest'ultimo soprattutto, avrebbe preteso) che segnarono la rottura traumatica di rapporti  di Isotta con  il direttore e la sua famiglia, contro i quali ha lanciato accuse anche gravi nei libri che ha scritto dopo la sua uscita dal Corriere della sera

Tanto per segnalare un fatto che ha del comico, segnaliamo che il nome di Riccardo Muti, da una quindicina d'anni a questa parte, esattamente da quando ne è uscito, nel sito dell'Opera risulta con il titolo di 'direttore onorario a vita'.

 Tornare sui propri passi non è  né facile né agevole per nessuno. E se Muti sia per Milano che per Roma non ha mai ripensato la sua decisione, qualche motivo ci sarà. Certo non è mai detta l'ultima parola. Anche a Santa Cecilia Bruno Cagli allora sovrintendente dovette fuggire a gambe levate per aperto dissenso con l'orchestra che non condivideva alcuni punti del nuovo regolamento proposto dal sovrintendente. Eppure, dopo la sovrintendenza di Luciano Berio, alla sua morte, Cagli tornò a Santa  Cecilia, dove è rimasto  per molti anni ancora, apparentemente in buoni rapporti con l'orchestra che lo aveva contestato al punto da costringerlo alle dimissioni: un caso del tutto analogo a quello di Muti con le orchestre di Milano e di Roma.

 Resta da spiegare, qualora tale difficile compito dovesse spettare al prossimo sovrintendente, ammesso che possa essere, per volontà di Meloni e sostegno di Sgarbi, Carlo Fuortes, come mai quando era all'Opera di Roma non gli sia riuscito di riportare Muti in Teatro; e perchè dovrebbe riuscirci a  Milano?

 Alla fine della storia c'è da dire che anche un  premier ed un sottosegretario non possono, appena arrivati, freschi freschi, sovvertire tutto, regole comprese, solo perchè lo vogliono loro. E' troppo anche quando il premier è per la prima volta una donna e il sottosegretario è Sgarbi, brillante vulcanico critico d'arte.

 Gli incarichi attribuiti a persone con specifiche riconosciute competenze vanno fatti terminare alla loro scadenza naturale, e non quando lo vogliono i potenti di turno,  per dar corso ad un giro di poltrone o a  preferire un italiano. ad uno straniero regolarmente eletto e competente.


Nessun commento:

Posta un commento