lunedì 7 novembre 2022

Irene Brin, alias Mariù. Vero nome: Maria Vittoria Rossi, sposata a Gaspero Del Corso. Un articolo, con qualche inesattezza, di Sandra Petrignani su 'L'Espresso'

E' uscito ieri su L'Espresso settimanale, un articolo a firma Sandra Petrignani, intitolato ' A casa di Mariù'- soprannome affibiatole da Leo Longanesi, che racconta di Maria Vittoria Rossi, alias Mariù, alias Irene Brin, ribattezzata così da Leo Longanesi, e pseudonimo con il quale, assieme ad un'altra ventina con i quali ha firmato per anni i suoi articoli e libri, è soprattutto conosciuta. 

L'occasione per tornare a parlare di Irene Brin, le viene offerta dalla visita alla casa di famiglia di Mariù, in Liguria, a Sasso, frazione di Bordighera. Guidata dal nipote della scrittrice, figlio della sorella Franca, Vincent Torre, di professione fisico, ma con la passione e l'amore  per la letteratura e per l'arte,  inculcatigli dagli zii Mariù e Gaspero.

I due si erano conosciuti a metà degli anni Trenta ( 1935) del secolo scorso - erano nati ambedue nel 1911-  ad un ballo, all'Hotel Excelsior di Roma, Lei figlia del generale 'di corpo d'armata' Vincenzo, lui ufficiale in sevizio, si sposarono poi nel 1937. Gaspero era omosessuale, ma evidentemente questo non era un problema, nè costituì  un ostacolo al loro matrimonio.

Gaspero, ufficiale, era stato ferito in guerra e, rimpatriato, dopo la guarigione aveva disertato, nascondendosi e cambiando anch'egli nome per non essere messo dietro le sbarre, fino alla liberazione. 

Sandra Petrignani, nell'unirsi alla celebrazione postuma di Irene Brin, 'inventrice della moda italiana', si appoggia alla biografia che della celebre giornalista e scrittrice ha pubblicato Claudia Fusani per Castelvecchi, dal titolo 'Mille Mariù. Vita di Irene Brin' (Roma 2012). 

Irene Brin morirà prematuramente nel 1969, per un male inguaribile, Gaspero le sopravviverà fin verso la fine degli anni Novanta (1997)

Scrive la Petrignani: "Gaspero Del Corso era il marito di Brin - lo abbiamo detto, e fin qui  tutto regolare, ndr - e insieme , attraverso la romana galleria 'L'Obelisco', aperta nel 1943 in Via Sistina, avevano costituito per quasi tre decenni un imprescindibile punto di riferimento per la diffusione dell'arte contemporanea.

E qui sta  il grossolano errore, non sappiamo se voluto o frutto di distrazione, suo e magari anche della sua fonte Fusani.

 La attività di galleristi della coppia ebbe luogo sì nel 1943 ma non nella galleria 'L'Obelisco' bensì nella libreria-galleria' 'La margherita', sita in Via Bissolati 12 (di fronte al Palazzo INA) di proprietà dell'editore Federigo Valli che  l'aveva affidato alla coppia, che con Valli avevano già rapporti, per gestirla. L'Obelisco aperta in Via Sistina 126,  fu inaugurata il 23 novembre 1946, esattamente dopo che Valli aveva chiuso la sua di galleria.

 Errore voluto questo scambio di date e di gallerie o semplice distrazione?

La domanda apparentemente oziosa, oziosa non è, perchè dettata da ricerche condotte sull'attività di Federigo Valli e confluiti in due nostri studi apparsi  su 'Nuova storia contemporanea' e dedicati all'editore/gallerista ed alla sua rivista Documento, mensile pubblicato dal gennaio 1941 a giungo 1943, per complessivi 25 numeri.

 Perché pensiamo che anche in questo caso l'errore sia voluto? Perché a proposito delle ricostruzioni storiche degli anni Quaranta, immediatamente prima della Liberazione, luglio 1943, molti hanno volutamente dimenticato di citare quel che di buono fecero alcune personalità - Federigo Valli era uno di questi - in quegli anni difficili, nei quali il regime fascista, per salvarsi la faccia consentiva,  fingendo magari di non vedere.

 Federigo Valli era fascista, i soldi per la sua attività di editore gli venivano dal regime, e nonostante ciò, egli riuscì a tener viva la fiamma della cultura e dell'arte, senza ricevere esplicite censure dal regime. Come altro spiegarsi la sua attività di editore di Documento, un mensile al quale collaborava il fior fiore della cultura dell'epoca, fascista e non, con il proprio nome e con pseudonimi nei casi in cui alcuni di quegli esponenti erano  già 'attenzionati' dal regime. L'elenco dei collaboratori  illustri - sia scrittori che artisti che ne illustravano con tavole dedicate quella rivista - è semplicemente impressionante: Moravia, Savinio, De Chirico, Brancati, Lndolfi, Alvaro, Arrigo Benedetti, Bellonci, Malaparte, Bragaglia, Dal Fabbro,  Libero de Libero, Enrico Falqui, Gorresio; e gli artisti: Maccari, Capogrossi, Tamburi, De Pisis, Savinio, Guttuso. Ed anche Maria Del Corso - suo vero cognome Rossi, alias Irene Brin, con il quale firmava  la rubrica 'Usi e Costumi' .

 Anche a proposito di questa rubrica, il titolo dell'omonima raccolta, reca un errore grossolano e doppio: 'Usi e Costumi 1920-1940' .ù

 Maria Del Corso avrebbe cominciato a scrivere all'età di nove anni (?) e avrebbe terminato la cura di quella rubrica negli anni Quaranta, quando, invece, risulta che negli anni dal 1941 al 1943,  firmò su Documento  quella rubrica con il cognome, da maritata, di Maria Del Corso? 

 Torniamo alla Galleria 'La Margherita', gestita dalla coppia Del Corso per decisione di Valli, e dove si 'fecero le ossa', la cui insegna fu disegnata e dipinta da Savinio (mentre quella de L'Obelisco era anonimissima) e dove vennero ospitate, dopo la Liberazione, mostre importantissime nel biennio, poco più, in cui restò aperta. In quella galleria-libreria, che di fatto era, stando alla testimonianza dello stesso Del Corso, anche un 'centro di riunione e informazione antifascista': il colmo nella proprietà di un fascista come Valli. Una volta, racconta ancora Del Corso, Bragaglia avvertì i suoi frequentatori che 'di lì a poco ci sarebbe stata una visita delle SS come poi avvenne,  ma nessuno mai tradì'. 

 In quella galleria ebbero luogo, una dopo l'altra, mostre monografiche di De Chirico, Severini,  Francesco Guardi e Pietro Longhi, Tamburi, Vespignani, Gentilini, Savinio.

 In quegli stessi anni, sempre il 'fascista' Valli, pubblicava presso   'Documento editore', Agostino di Alberto Moravia (feb. '43), e l'anno precedente una monografia dedicata a Goffredo Petrassi, scritta da Fedele D'Amico e illustrata da alcuni disegni di Tamburi.

 Fu proprio Petrassi a confessarci una volta: "anche io collaboravo con Valli, facevo per lui il galoppino; era l'unico che ci dava qualche soldo".

 Perchè abbiamo detto - perchè lo pensiamo - che  quella dimenticanza è voluta? Perchè il caso  della Fusani (e  della Petrignani) eventualmente non è il primo. 

 Lo fece già nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, Alberto Savinio, nel curare la silloge dei suoi articoli musicali pubblicati in Scatola Sonora ( prima Ricordi, poi Einaudi). Non fu per caso che nel ripubblicare i suoi articoli, non citò, dimenticandola volutamente, la fonte solo per quelli usciti su Documento. 

Distrazione analoga ebbe Enzo Siciliano quando curando, per il settore letteratura (facendosi aiutare dal quel genio che è Alessio Vlad per la sezione 'musica') la mostra 'Sotto le stelle del '44', dimostrò analoga colpevole distrazione su quell'intenso periodo dei primi anni Quaranta e sul ruolo che ebbe nella vita culturale  Federigo Valli, la cui famosa rivista Siciliano aveva sfogliato con cura, come anche il catalogo di tutti i libri pubblicati da 'Documento editore', in varie collane, una delle quali 'La Margherita'.

 A base di queste 'volontarie' - come altrimenti definirle? - distrazioni  c'era l'intento di passare sotto silenzio  i nomi e le opere di tutti coloro che  durante il fascismo, da clandestini e non, avevano tenuta viva la fiamma della cultura. La sfilza di intellettuali ed artisti che uscì allo scoperto dopo la Liberazione, era, in molti casi, la stessa, che sotto il regime, si arrabattò in vario modo per sopravvivere. Ma questo loro passato era meglio dimenticarlo, o non dargli molto peso.

 Girolamo Digilio, tracciando la storia di Irene Brin e di suo marito Gaspare Del Corso, studiosi, galleristi e mercanti d'arte, scrive testualmente, sebbene imprecisamente: "dopo la breve esperienza ( 1943-1945: breve?) di compravendita ( acquirenti/venditori e basta, di opere d'arte? non anche espositori e curatori di mostre, ivi ospitate?) presso la piccola (certamente più grande della loro successiva galleria 'L'Obelisco', definita dallo stesso Digilio 'minuscola') libreria-galleria 'La Margherita", aprirono nel 1946 - e non nel 1943, cara Patrignani - 'L'Obelisco'.

 

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