mercoledì 9 dicembre 2020

La prima tv di Sant'Ambrogio alla Scala ( da Il Giornale , di Piera Anna Franini)

 Lo spettacolo del 7 dicembre prodotto dalla Scala con e per la Rai non ha messo d'accordo né la critica né i paladini dell'opera pura.

È però piaciuto ai telespettatori: 2.608.000 in tutto, con picco finale di 3.160mila e share al 14,7 %. E ciò, nel tardo pomeriggio di un lunedì che era festivo solo in area ambrosiana.

Sarà che la Scala è la Scala, la Prima - pur cambiando pelle - sempre Prima è, e Rai1 è 1, ma l'evento scaligero è balzato in testa alla classifica delle produzioni d'opera più seguite tra quelle proposte in sale vuote e dunque per tv e piattaforme. In tema di ascolti, esce vittorioso «l'oggetto bello e seducente» per dirla con il sovrintendente Dominique Meyer. Il regista Davide Livermore ha difeso il valore civico e politico della serata, ammettendo di aver gettato qui e là ami per pescare la «casalinga di Voghera alle prese col ferro da stiro». Il kolossal di tre ore, 31 pezzi, 24 cantanti, ballerini e attori ha confermato la statura di alcuni interpreti (Abdrazakov, Alvarez, Opolais, Rebeka), la bella evoluzione di altri (Buratto, Crebassa, Oropesa), il peso della presenza scenica (Domingo), ricordando che i nastri nascono e cadono (Alagna) e che oltre lo steccato dello star system possono esservi perle (Bernheim). E poi l'ennesima conferma: i capolavori d'opera bastano a loro stessi, ridondante cucirvi attorno testi pur memorabili, inclusi i versi di Eugenio Montale. Sicuramente non era indispensabile la pagina di Michela Murgia: «Tosca - dice - anticipa il #Metoo, mostrandoci l'arroganza del potere». Nel mondo della classica e lirica, carriere importanti sono naufragate o si sono ridimensionate per l'# a stelle e strisce, sia Domingo sia Grigolo - protagonisti del 7 dicembre - sono finiti nella bufera. E se di #Metoo si deve proprio parlare, allora ricordiamo le sante parole del soprano Saioa Hernandez, protagonista del Sant'Ambrogio 2018: «Gli abusi vanno denunciati, però nella maggior parte delle situazioni, una donna, almeno qui in Europa, può dire di no. Perché invece non parlare del fenomeno al contrario cioè dell'usurpazione di lavoro da parte di uomini e donne che si offrono per poter cantare?».

È stato letto un passo di Ezio Bosso, «in orchestra non si suona meglio per distruggere il nostro vicino, si suona meglio perché lui suoni meglio. Si è orgogliosi di chi suona meglio». Dall'ideale al reale. L'orchestra scaligera, diretta da Riccardo Chailly, ha offerto le cose più belle della serata. Ma che dire delle scaramucce di novembre e del triste finale di una guerra fatta al primo violino donna, rea di essere brava (ascoltare per credere), graziosa e con ambizioni (queste sì, maldestre) da influencer?

E basta con la storia degli artisti della famiglia Scala, Met o Covent Garden. L'artista è «mobile qual piuma al vento». A Milano sono arrivati tanti fuoriclasse: hanno cantato, inciso, e via per le proprie strade. Impossibile mettere nella voliera tanti galli. Massima che vale laddove vince il migliore: dall'arte allo sport.

Infine. Questo format potrebbe diventare un modello? Risposta corale di Chailly, Meyer, Livermore: Niet. «Se state guardando uno spettacolo su tablet o tv e vengo sotto casa con chitarra e canto, lasciate tutto e venite ad ascoltarmi. Perché avete bisogno della mia umanità e io della vostra» dice Livermore. Lo streaming è militanza. Lo spettacolo dal vivo lo vogliamo vivo. La Netflix della Cultura in arrivo a suon di milioni non piace a nessuno.


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Conveniamo con Piera Anna Franini, su molte cose che ha scritto sull'inaugurazione della Scala,  mia collega per un decennio al Giornale.

 Il risultato, in termini di ascolto, che Lei, come molti altri definisce un successo, per quanto no disprezzabile, successo non ci sembra davvero. Ma forse le ragioni - come abbiamo scritto ieri -  non sono solo del programma e del contorno, vi può aver contribuito anche la durata.  Senza però dimenticare troppo presto che la passata inaugurazione è andata decisamente meglio: identica durata, ma titolo d'opera.

Noi - anche questo lo abbiamo scritto tante volte- siamo convinti che il programma è il punto di forza di questo tipo di concerti, indipendentemente dalla loro durata e dagli interpreti, che contano sì, ma per il grande pubblico che non può conoscerli (specie quando si tratta di una carrellata di interpreti stranieri) ' questo o quello pari sono'. Ed anche perché ciò che si è letto anche in questi giorni ci convinti ancora una volta che tanti colleghi ci capiscono ma non troppo, e legati molti di loro a doppio filo alle grandi istituzioni musicali, chiudono spesso un occhio e tutt'e due le orecchie.(P.A.)

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