Santanchè, islam, velo e coppie di fatto: tutte le campagne d’odio della ministra anti-migranti
Santanchè, islam, velo e coppie di fatto: tutte le campagne d’odio della ministra anti-migranti

«Maometto era un pedofilo», anno 2009. «Gli immigrati mettiteli a casa tua», 2015. «Cominci lei a portarsi a casa gli immigrati!»: stesso anno. «Rivendico con orgoglio di essere fascista, cacciare a pedate nel sedere i clandestini», 2022. E ancora. «L’Islam è un cancro terminale dell’Occidente, bisogna estirparlo prima che le metastasi si diffondano in Italia». «Gli imam spesso sono delinquenti. Se non ci sottomettiamo, ci tagliano la testa». Sono solo alcune delle perle che Daniela Santanchè, in questi anni, ha regalato alle cronache politiche. Dichiarazioni pubbliche sganciate in programmi televisivi, interviste, comizi. Mai smussate e, anzi, ripetute dall’attuale ministra del Turismo con una pervicacia da ultrà.

È la stessa persona che ieri, in Senato, ha parlato di «campagna d’odio» nei suoi confronti, di «critiche feroci». Una specie di specchio-riflesso, volendo banalizzare. E allora occorre ricordarli questi affondi non esattamente delicati né pacifici, piuttosto carichi di odio, rabbia, livore. Spesso provocatori, accompagnati da iniziative incendiarie che hanno portato a scontri “diplomatici” con i rappresentanti del mondo islamico. L’imprenditrice-politica, su questa narrazione ostile, ci ha costruito una carriera parlamentare.

Lungo la quale ha rivestito ruoli di primo piano nei partiti di cui ha fatto parte. Prima Alleanza Nazionale (ci entra da collaboratrice di Ignazio la Russa), poi La Destra, poi Movimento per l’Italia, quindi il Pdl per poi passare a Forza Italia e infine a FdI. La “Dany”, come la chiamano gli intimi. Dietro look e immagine studiati nei minimi dettagli, si agita la pasionaria della destra. In prima linea nelle crociate contro immigrati, musulmani, contro i diritti lgbtq e le unioni civili. Una front-woman da lotta nel fango, nei talk più agguerriti. Dove da sempre azzanna tenendo il punto sui suoi cavalli di battaglia. Il punto più alto – si fa per dire – Santanchè lo ha toccato nel 2009. Protagonista di un’offensiva anti-Islam che proseguiva da tre anni e che l’ha pure fatta finire sotto scorta, in occasione della cerimonia di chiusura del Ramadan, Daniela Garnero, cognome da nubile, organizza un sit-in dove tenta di strappare con la forza il velo ad alcune donne...

Verrà condannata a 4 giorni, convertiti in 1.100 euro di multa. Chi credeva che tanta aggressività potesse averla saziata, ha dovuto ricredersi. La futura ministra rincarò la dose. Mettendo nel mirino gli imam, accusati di essere «spesso delinquenti», «e se non ci sottomettiamo, ci tagliano la testa». Ecco: il rispetto dei culti religiosi, delle libertà e dei diritti. Mai stato la miglior dote di Santanchè. Tutto inizia con un programma tv. Si parla del velo. Lei attacca: «Non è un simbolo religioso, non è prescritto dal Corano». In studio ci sono l’allora imam di Segrate, Abu Shwaima, e Asmae Dachan, figlia del presidente dell’Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia”). La “Danielona” si sente dare dell’ignorante. Qualcuno la interpretò come una fatwa e la politica venne messa sotto protezione. Non dalle sue gaffes, però. Molte, volute.

Ospite della trasmissione “Alla lavagna!” (Rai3, 2018-2019, format che prevedeva l’interazione tra personaggi famosi e bambini tra i 9 e i 12 anni), Santanchè parla dei soldi: «Sono l’unico strumento di libertà, chi paga comanda». Ripeterà in altri contesti che «le donne devono essere madri e mogli», che «la donna deve servire l’uomo». Poi volerà altissimo: «Portare i tacchi è impegnativo, bisogna dimostrare di avere un cervello. Chi porta le ballerine, sa che ha qualcosa da nascondere».

La società di Santanchè è patriarcale e non sopporta gli immigrati. L’anno scorso ad un comizio lo esplicitò così: «Rivendico con orgoglio di essere fascista, cacciare a pedate nel sedere i clandestini». Dal pubblico in estasi partì il coro «duce, duce». Musica per le orecchie di un vecchio amico di DS: Roberto Jonghi Lavarini, il “barone nero” della destra sociale milanese. Sostenitore di Mussolini e Hitler, teorico del razzismo, già candidato con FdII nel 2018 e in campo l’anno scorso per la campagna elettorale del partito. Sempre dalla parte della “Dany”.