venerdì 10 marzo 2023

Giambrone accetta di lavorare con un direttore artistico solo se nominato da lui. E qualche volta neanche con quello. A maggior ragione con uno come Alessio Vlad che si è trovato a Roma

L'ultima volta che alla diarchia sovrintendente-direttore artistico è stata affidata la gestione di una fondazione lirica si perde nella notte dei tempi, perchè era basata sulla logica politica della spartizione,  più che della gestione amministrativa e artistica di una fondazione.   Se il sovrintendente era di sinistra,  comunista di frequente, il direttore artistico - che aveva anche il compito di rompergli le classiche 'uova nel paniere' - era di centro  o di destra, diciamo DC o forse socialista.

 Poi la riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche - uno dei tanti disastri nella legislazione  dello spettacolo prodotti da Uolter l'americano - e la sparizione dei partiti, ha semplificato la diarchia, instaurando la monarchia, nella quale il Sovrintendente è sovrano, comanda lui e solo se lo vuole, nel ruolo di lacché, nomina il direttore artistico. Il quale però, se alza un pò la testa, viene immediatamente messo alla porta.  

Ignora la  fondamentale funzione del direttore artistico in un teatro il sovrintendente che tiene alla sua posizione di potere,  e preferisce avere in teatro un direttore musicale al suo posto, fidando nel fatto che sistemati i suoi impegni in cartellone, il direttore  musicale non disturberà il timoniere. Magari con una  appendice alle sue dirette dipendenze: una segreteria artistica che fa il lavoro di manovalanza e che tiene i rapporti con le agenzie, divenuto un impegno oneroso da parte delle istituzioni musicali, perchè sempre più invadente si è fatto quello delle agenzie.

Nella recente storia italiana ci sono due fenomeni  che si ripresentano con sempre maggiore frequenza. Il primo è quello di sovrintendenti che hanno avuto esperienze in teatri esteri, dove solitamente il sovrintendente capisce anche di musica e quindi  tiene per sé ambedue le cariche; semmai si fa solo aiutare - come abbiamo appena detto - da un direttore musicale e da una segreteria artistica talvolta nutrita, il cui costo non è compensato dalla assenza della figura del direttore artistico; la cui presenza in una istituzione musicale non potrebbe, anzi non dovrebbe essere facoltativa, discrezionale. 

Il secondo è quello della promozione del direttore artistico a sovrintendente, nel caso in cui il sovrintendente sia stato destinato ad altro teatro. Accade oggi, accadeva in passato, con la promozione sul campo perfino di personaggi che magari facevano parte della segreteria artistica e, dimessisi per varie ragioni i vertici,  questi personaggetti (come direbbe il governatore De Luca) assumevano, ad interim, la responsabilità di un teatro, titolo del quale, immeritatamente si fregiavano e si fregiano tuttora, nei curriculum 'gonfiati' ad arte,  in base ai quali fanno quel po' di carriera che hanno fatto.

 In queste anomalie di sistema, ve ne è anche un'altra che grida vendetta, ed è quella dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la cui omonima Fondazione, cui fa capo principalmente l'Orchestra sinfonica, è retta per statuto da un musicista, scelto fra gli 'accademici' e da essi eletto,   quindi in un ristretto conciliabolo all'interno del quale le lotte intestine sono frequentissime.

 Fra gli accademici c'è stato anche uno come Bruno Cagli che musicista non era, piuttosto letterato, e che per oltre vent'anni ha gestito l'Orchestra di Santa Cecilia, con uno stipendio ben oltre 300.000 Euro, mantenendolo al livello che si era autoassegnato, assai benevolmente, Luciano Berio.

 Solo che il sovrintendente-direttore artistico di Santa Cecilia,  musicista, non dovrebbe aver bisogno anche di una consistente 'segreteria artistica', costosa (i conti in tasca glieli abbiamo fatti altre volte), oltre il direttore musicale. E, invece, a Santa Cecilia  è realtà.

 Il caso di Francesco Giambrone, poi, fa storia a sè. La sua carriera è sempre stata indissolubilmente legata a Palermo,  alle  alterne fortune  di Orlando sindaco e, fuori Palermo, alla appartenenza politica sua e di suo fratello Fabio, ex parlamentare un tempo di Di Pietro e poi esponente di tutti i partiti ricorrenti nella storia politica di Orlando e, di conseguenza, anche sua.

 Giambrone con i direttori artistici ne ha combinate più di 'Carlo in Francia'. Li ha  nominati, ma sempre di suo gradimento, perchè la diarchia bipartitica di un tempo è ormai fuori moda e fuori contesto,  ma poi, ad un certo punto, chissà perchè, anche quelli da lui nominati non gli sono stati più bene e li ha licenziati. Una eccezione con Marco Betta che è durato, nel suo secondo recente incarico, più di un anno con lui a Palermo, ma solo perchè essendo in trattative con Roma,  e non potendo esser rieletto Orlando e di conseguenza anche lui, voleva lasciare il Teatro Massimo nelle mani di un suo fedelissimo.

 Ma prima si era disfatto di Oscar Pizzo, che lui aveva chiamato a Palermo da Roma, sfidando il cognome ( 'Pizzo'; da Oscar). Solo che nel caso di Pizzo il suo licenziamento è stata la naturale conseguenza del continuo confronto  anche fisico fra i due.  A causa della sua altezza, Pizzo era scambiato per il Sovrintendente e Giambrone  per un suo collaboratore, come veniva da dedurre ogni volta   che si guardava una foto di gruppo del Massimo. Ad un certo punto Giambrone, si è accorto dell'equivoco nel quale lui stesso si era messo,  non ci ha visto più e lo ha rimandato a Roma.

 Giambrone ha guardato e riguardato quelle foto, e visto che Pizzo gli poteva 'mangiare in testa',  la ragione per cui molti  lo  scambiavano per  il sovrintendente e Giambrone per un suo collaboratore.  Non potendosi in nessun altro modo altrimenti portare alla sua altezza (fisica), lo ha rispedito da dove era venuto cioè a Roma.  Ma allora non sapeva ancora  che anche lui sarebbe venuto a Roma e che si sarebbe stato costretto a collaborare con Pizzo, manager culturale della 'Nuvola' all'EUR, che aveva avviato rapporti con l'Opera ai tempi di Fuortes.

 Adesso giunge la  notizia, che i bene informati immaginavano da tempo,  e cioè le dimissioni di Alessio Vlad da direttore artistico dell'Opera di Roma, dove lavorava dal 2009, chiamatovi da De Martino, all'epoca di Muti.

Motivo delle dimissioni: diversità di vedute con Giambrone; versione ufficiale: fine contratto. Noi, come sanno tutti quelli che frequentano questo blog, non abbiamo mai nutrita grande stima nei confronti di Vlad, la carriera del quale, specie all'Opera di Roma, è frutto della riconoscenza che Muti aveva per suo padre Roman - lo sanno tutti. 

La sua presenza contemporanea anche altrove (nel suo caso Ravello, Spoleto, Ancona) è figlia diretta del suo incarico romano. Esempi di direttori artistici di teatri importanti  impiegati altrove, in istituzioni di minor prestigio, in nome dell' incarico principale ve ne sono sempre stati. 

Per canzonarlo benevolmente, abbiamo tante volte scritto che Alessio era in Italia il più conteso dei direttori artistici, spalleggiato da due suoi amici per la pelle, uno defunto: Palo Isotta, ed uno,  vivo e vegeto, giornalista di professione che della stima smisurata nei confronti di Vlad non ha mai fatto mistero, e il cui nome neanche quello è  un mistero per nessuno.

 Il  nuovo problema, per tornare a Giambrone, è  da non sottovalutare, perchè Egli è contemporaneamente sovrintendente-direttore artistico all'Opera e  presidente dell'AGIS,  dove ha preso il posto che per molti anni è stato di Carlo Fontana.  Per non avere qualcuno 'fra i piedi', oltre sé stesso, d'ora in avanti, dovrà sobbarcarsi un lavoro  doppio forse triplo, a meno che non decida di nominare un direttore artistico di suo gradimento, per quel pò di tempo che riuscirà a reggerlo. 

Ma forse il dott. Giambrone fa affidamento sulla sua antica (l'ha mai esercitata?) professione di   cardiologo, per controllare le sue coronarie, oltre la corona che gli stia salda in testa.

 

 

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