lunedì 14 marzo 2022

Paolo Arcà, direttore artistico del Quartetto, ed ora anche Accademico di Santa Cecilia. Una carriera esemplare. Gli anni romani, milanesi, aquilani, parmensi, fiorentini . Un ritratto

 

PAOLO ARCA’ INSEGNANTE E DIRETTORE ARTISTICO IL DOPPIOLAVORISTA CON CAPPUCCI E GREMBIULINI?


Paolo ArcàIl curriculum vitae va di moda nel M5S. Ecco quello dell’insegnante e direttore artistico Paolo Arcà, targato PD, selezionato e sotto contratto per 5 anni da Pizzarotti a 100.000 euro anno + benefit

Pietro Acquafredda

Di Paolo Arcà, l’infaticabile, il doppiolavorista, che insegna e lavora ad altro, lavora e insegna… l’inaffondabile, sempre a galla nella sua ormai lunga carriera di direttore artistico, che ha avuto da tempo il sopravvento su quella di compositore con la quale era entrato nel mondo della musica (ricordo che ai suoi esordi di compositore, una sua composizione fu premiata in una competizione internazionale, evidentemente senza interesse per lui, o forse per poca fortuna) non è la prima volta che scrivo di lui.

L’ho già fatto tanti anni fa sul mensile ‘Suono’, sperando che sortisse un qualche effetto, per un caso assai particolare, capitato proprio al Conservatorio de L’Aquila dove il nostro giovane compositore insegnava. Invece nulla!

Arcà, vent’anni e passa, inizia la sua carriera di direttore artistico, parallela a quella di insegnante che, penso, iniziò proprio nel Conservatorio dell’Aquila, dove s’era formata una “loggia” di compositori di cui il settimanale ‘Cuore’, all’epoca rivelò i componenti. Arcà era tra loro e il direttore dell’epoca era il ‘maestro’ dichiarato. Ma si sa che appartenere alla massoneria non è un reato, si tratta in fondo di una società di “mutuo soccorso”, senza fini eversivi… alla quale molti della classe dirigente del Paese fanno riferimento o ne fanno parte.

La sua carriera di direttore artistico prese, invece, il via dall’Accademia Filarmonica Romana, da dove anche altri direttori artistici hanno iniziato a volare più alto, come ad esempio Matteo D’Amico, che poi andò al Comunale di Bologna, dopo di che tornò – o preferì tornare?- al suo nido romano. Anche Matteo D’Amico insegnava all’Aquila e continuò ad insegnarvi anche da direttore artistico del Comunale di Bologna. Come riuscisse a farlo – relativamente al tempo ed alle energie, non alle sue capacità, ovviamente – non so proprio.

Arcà ancora negli anni romani, scrisse qualche articolo per la rivista di musica più importante degli anni Ottanta, ‘Piano Time’, che avevo inventato e dirigevo. Precisamente dal 1983 al 1990. E, quando lasciai l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana ‘Treccani’ alla quale collaboravo per il settore musicale – aggiornando vecchi lemmi o scrivendone di nuovi – prese lui il mio posto (credo che l’abbia introdotto sua moglie che lavorava nell’Istituto per il Dizionario biografico degli Italiani, se non ricordo male). Lasciai quella collaborazione prestigiosa a malincuore, perché non riuscivo a conciliare il lavoro di direttore di Piano Time, che mi impegnava moltissimo, con nient’altro. Come immaginiamo debba impegnare il lavoro di direttore artistico; e per questo non capisco come facciano quelli che hanno contemporaneamente due o tre incarichi: presumibilmente, lasciano ad altri fare il vero lavoro e, pur essendo destrorsi, fanno tutti i lavori con la mano sinistra, tanto nessuno se ne accorge in un mondo generalmente grigio.

Nel frattempo nacque ‘Musica e Dossier’, diretto da Roman Vlad, aiutato proprio da Paolo Arcà. Vlad, chiamato, successivamente, alla Scala, si portò appresso Arcà “perché dati i già numerosi impegni non potevo ottemperare da solo anche a quello scaligero”, così dichiarò all’indomani della sua nomina, Roman Vlad. Cioè a dire, Vlad a rinunciare all’incarico perché già troppo occupato non ci pensa nemmeno; no, fa assumere anche un suo aiutante, perché lui ha già troppo da fare (viene da chiedersi se Vlad negli anni milanesi facesse il direttore artistico o il direttore artistico fosse Muti. Arcà non c’entrava, anche se lavorava alla Scala, lui rappresentava la manovalanza; come forse lo era a sua volta Vlad, seppure ad un livello altissimo).

Arcà va dunque a Milano al seguito di Vlad, ma continua ad insegnare in Conservatorio all’Aquila; poi otterrà di esser trasferito a Milano (dove tutt’ora insegna al Conservatorio, ed ha insegnato anche durante il periodo fiorentino), per avere a portata di mano le due botteghe. E’ curioso constatare come ad alcuni, i trasferimenti giungano sempre al momento giusto, mentre alla maggior parte di altri richiedenti quasi mai, anzi mai!

Ma mentre Arcà insegnava all’Aquila, ed era pure direttore artistico alla Scala, accadde all’Aquila un fatto che a molti insegnanti parve molto grave perché illecito, e perciò ne scrissi sulla rivista ‘Suono’, sperando che la cosa venisse alla luce.
Quale l’illecito del “geniale” direttore artistico?

Accadde che un giorno venisse esposto in bacheca una concessione del direttore del Conservatorio che tutti potevano leggereal professore Paolo Arcà viene concesso un periodo di aspettativa di qualche mese, per gravi motivi di famiglia”a seguito di precisa richiesta di Arcà”Chiunque avrebbe potuto verificare che negli stessi mesi Arcà ogni giorno era presente alla Scala, dove forse timbrava anche il cartellino. Ma nessuno verificò. Come fu possibile concedere tale aspettativa? Il direttore dell’epoca poteva non sapere che quel suo insegnante era nella direzione artistica della Scala? Impossibile. La cosa che ci colpì fu soprattutto la sfacciataggine di esporre in bacheca tale concessione, quando era a tutti noto che “i gravi motivi familiari” erano rappresentati dal suo lavoro “alla Scala”. La complicità con Arcà del direttore del Conservatorio era gravissima. Direi che l’illecito lo produsse proprio lui… “che fece da palo ad Arcà”

Sul caso, scrissi anche che senz’altro Arcà assieme a Vlad frequentavano a Milano la casa di Francesco Saverio Borrelli, cognato di Vlad. Ed aggiunsi: al procuratore non è mai venuto in mente di domandare ad Arcà come facesse a conciliare il suo lavoro milanese, senz’altro impegnativo, con l’insegnamento lontano, a L’Aquila? Evidentemente al procuratore non venne mai in mente di domandarlo, ritenendoli compatibili legalmente e oggettivamente, e ad Arcà l’onere di giustificarsi. Neanche nel periodo in cui Arcà, ottenuta l’aspettativa per i “gravi motivi familiari” passava settimane e settimane a Milano, senza mai allontanarvisi.

E in conservatorio? Lì si nominò evidentemente un supplente, per i periodi più lunghi di assenza, che gli teneva ‘in caldo’ il posto. Almeno gli esami, Arcà, veniva a farli. Con quanto giovamento per gli allievi è facile supporlo.

Poi, andato via dalla Scala Vlad, nominato presidente della Siae, Arcà restò a Milano e salì di grado; ottenendo anche l’insegnamento al Conservatorio meneghino. E, siccome non gli bastava la Scala ed il Conservatorio, vi abbinò anche qualche altro incarico artistico, perché avere il direttore artistico della Scala, seppure a mezzo servizio, rappresentava un onore per qualunque altra istituzione. L’abbinamento contemporaneo di due o più incarichi è stato una costante della vita professionale di Arcà, il quale, poi, si è sempre defilato da un posto alla vigilia della scoperta di qualche bubbone. Come è accaduto anche a Firenze. Fino a poco prima che venisse fuori il buco gigantesco dei conti, lui è rimasto al fianco della Colombo, poi prima di approdare a Parma, ha lasciato a gambe levate Firenze, perché “interessato ad altre esperienze”, così si dice nel gergo. Mentre il suo sodale Giambrone, coautore del buco fiorentino è tornato accolto con squilli di trombe a Palermo, da dove era iniziata la sua fortunata carriera di operatore musicale, a fianco del sindaco Orlando, agli inizi come ora (altro mistero italiano di uno che aveva iniziato a fare il critico – chiese anche a me di scrivere per Piano Time, ma gli risposi, allora, che da Palermo scriveva Sara Patera che non intendevo per nessuna ragione sostituire! Nella sua carriera più recente di Giambrone ha avuto una qualche importanza suo fratello parlamentare? L’ha in qualche maniera poi segnata negativamente il deficit economico del Comunale fiorentino? Per niente!

Una cosa esilarante di Arcà, la lessi anni fa sul ‘Corriere’, nel testo di un’intervista a Placido Domingo, che era in rotta con la Scala, e per questo abbastanza furioso. Placido Domingo riferiva di una telefonata pervenutagli dalla Scala, per ricucire(?). Mi ha telefonato – dichiarò il celebre tenore – un certo Arcà, che si è presentato come direttore artistico ( in realtà all’epoca sicuramente lo era!) “Mi sono domandato, ma chi è? Io alla Scala conosco solo Muti”.

Torniamo però ad Arcà, per domandarci se ha lasciato il segno nei teatri o nelle istituzioni nelle quali è passato? (anche a Parma era già stato presente, penso una consulenza alla Toscanini).

A me che sono distratto – molto distratto, vorrei ribadirlo – eccetto che nella lettura regolare ed attenta dei giornali, non è parso mai di leggere qualcosa per cui mi sia restato nella memoria il nome di Paolo Arcà, come direttore artistico. (15/12/2013)

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