giovedì 8 aprile 2021

I Compositori e la Fede. Hans Kung, in memoriam ( da Music@, n.30 nov.2012)

                      Per l' inaugurazione del Festival di Lucerna 

                        I compositori e La Loro Fede 

                                    di Hans Küng 

Il grande teologo, invitato ad aprire l annuale edizione del festival svizzero con un discorso su un tema di grande interesse, quello del rapporto fra i compositori, la loro musica e la fede, ha ricordato che, 50 anni fa, in quello stesso luogo, aveva parlato del Concilio Vaticano II.

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E' per me un esperienza notevole e memorabile, signore e signori, essere di nuovo nello stesso posto, nell' antica Casa dell' Arte, nella quale sono stato nientemeno che 50 anni fa, per promuovere il risveglio della fede in occasione dell' apertura del Concilio Vaticano II. All' epoca fui orgoglioso di parlare da quel podio sul quale avevo visto e ammirato, come studente liceale a Lucerna, Furtwaengler, Karajan, Kubelik e altri grandi direttori d orchestra. E adesso, 50 anni dopo, eccomi di nuovo qui a parlare di Fede - e questo in un contesto completamente diverso.

 Allora potevo contare su ascoltatori prevalentemente orientati alla religione e credenti, oggi devo fare i conti con una società ampiamente secolarizzata e da questo punto di vista con persone lontane dalla chiesa e in questo senso non credenti, forse niente affatto senza religione, bensì possibilmente di altre fedi. Non sono taluni credenti in realtà superstiziosi? Credono in Dio, ma anche agli oroscopi, alle stelle del destino, ai numeri fatali, ai giorni infausti. Anche i non credenti sono talvolta superstiziosi: non si fanno fare gli auguri il giorno prima del loro compleanno, perché porterebbe male. 

Anche tra i compositori ci sono le più diverse composizioni : è un'estesa miscellanea differenziata : credenti, non credenti, superstiziosi. Gli esempi sono numerosissimi. 

Così sappiamo dalla biografia del più razionale dei compositori, Arnold Schoenberg, che questo costruttore della musica dodecafonica aveva terrore del numero 13. Nato il 13 settembre 1874, regolò tutta la sua vita in modo da evitare il numero 13. Mai si sedeva in tredicesima fila, spostava o disdiceva gli appuntamenti fissati per il 13, nell' opera Mosè e Aronne (Moses und Aron) preferì eliminare una A di Aaron affinché il titolo non contasse 13 caratteri. Il 13 luglio 1951 fu per l'ormai cardiopatico autore della musica dodecafonica, un giorno di grande inquietudine; solo dopo la mezzanotte andò a coricarsi nella sua camera da letto. Lì lo trovò, poco dopo, senza vita, sua moglie. L' orologio del suo soggiorno andava avanti di alcuni minuti. Era quindi morto proprio il 13.

 Schoenberg non sapeva che Gustav Mahler aveva fatto di tutto per non dare il numero 10 alla sua ultima sinfonia. Dopo la grandiosa Nona di Beethoven, già Schubert, Dvorak e Bruckner avevano scritto solo otto sinfonie. Dopo che Mahler aveva composto il suo sinfonico Lied von der Erde, cancellò alla fine il numero 9 e numerò la sua sinfonia seguente Nona. In realtà è la decima - disse. Un anno dopo, il 2 maggio 1911 muore e il Lied von der Erde viene diretto postumo il 20 novembre 1911 a Monaco da Bruno Walter insieme all' Adagio introduttivo di una Decima sinfonia, mai realizzata sebbene ambita, a causa della difficile crisi coniugale. 

Capiamo adesso meglio Arnold Schoenberg che nel 1912, nel suo discorso commemorativo su Mahler disse: Sembra che la Nona segni un confine. Chi volesse superarlo, deve andarsene. Sembra come se nella Decima possa essere detto a noi qualcosa, che non dobbiamo ancora sapere, qualcosa per cui non siamo ancora maturi. Quelli che hanno scritto una Nona, erano troppo vicini all'aldilà. Ma adesso basta, Signore e Signori, con gli aneddoti sui miscredenti e sui decessi dei compositori. 

Il tema che mi è stato posto non è, fortunatamente, la superstizione, ma la fede e questa ha a che fare soprattutto con la vita. Tuttavia non vorrei descrivervi la fede semplicemente nella diversità delle forme di vita, di come si mostri in determinati compositori. Al contrario vorrei domandarmi assieme a voi: cosa ci si può aspettare da un determinato compositore, nel suo tempo, in tema di fede? In ogni caso, non ci si può aspettare che essi credano sempre a tutto ciò che la Chiesa prescrive di credere, per citare una risposta da Catechismo dei tempi di Mahler. Avrebbero dovuto credere a troppe così inattendibili in fatto di Dogma e di Morale. 

Ma ci si può aspettare da un compositore o anche da un fisico, un politico o chiunque altro, che egli si riconosca nella fede di un epoca passata? Il Medioevo è considerato l età della Fede, che si ritiene una volta per tutte fissata. Ma si può, semplicemente, credere come si credeva nel Medioevo? 

L età medievale fu, come è noto, superata dalla Riforma protestante e quindi da un radicale cambiamento della comprensione della fede. 

Ma anche il periodo della Riforma è un epoca passata. Seguì allora alla Riforma il Modernismo con le sue rivoluzioni nella scienza e nella filosofia, nella cultura e nella teologia, nello stato e nella società, nella tecnologia e nella industria. 

Da questo emergono domande di chiarimento anche relative alla forma espressiva musicale della fede, il canto ecclesiale, la musica sacra. Metro di misura per antonomasia del canto ecclesiale è il canto gregoriano, di fatto la rielaborazione franco-medievale del canto antico romano. 

Deve essere il canto gregoriano un criterio di vera musica da chiesa, valido per tutti i tempi? O ci si deve riferire alla musica da chiesa polifonica vocale di Giovanni Pierluigi da Palestrina del XVI secolo come vero, puro stile ecclesiale e vietare la musica orchestrale del classicismo viennese, come accadde sotto l' antimodernista Papa Pio X (patrono della tradizionalistica Fraternità di San Pio X )? O, per la musica delle congregazioni evangeliche, si deve essere in generale vincolati a Johann Sebastian Bach? 

Certamente: la buona musica rimane per fortuna non vincolata alla sua epoca di produzione. Anche nel XXI secolo le Passioni, le Cantate e gli Oratori di Bach possono commuoverci profondamente e spingerci perfino a prendere in mano la Bibbia. Tuttavia, ad un ascolto più attento, a stento possiamo prendere sul serio ed alla lettera per la nostra fede taluni testi delle Cantate, o degli Oratori. 

Durante il periodo natalizio ascoltiamo volentieri il Messia di Haendel anche se un cristiano ben informato sa che il più antico vangelo secondo Marco e anche l'ultimo secondo Giovanni, non contengono storie relative alla nascita di Gesù e che i racconti della nascita di Gesù di Matteo e Luca hanno molto di leggendario. Anche cristiani convinti non hanno bisogno comunque di crederci. 

Non devono considerare la leggenda come storia. Tuttavia: niente contro le leggende! Esse ci rivelano spesso una più profonda saggezza di vita come se fossero fatti veri. E proprio Wolfgang Amadeus Mozart, che si prese la briga di rielaborare nello stile orchestrale del suo tempo il Messia di Haendel, sta a dimostrare che si può conservare, anche come cattolico massone, illuminato e anticlericale, il senso per il mistero della religione. Sfrontato come era, Mozart, fece notare, in un colloquio del 1789, al successore di Johann Sebastian Bach, nell'incarico di Kantor ( Compositore, Organista e Direttore del Coro) della Thomaskirche di Lipsia, un protestante dichiarato, che i protestanti spesso perdono il senso della profondità mistica della fede. Voi non sentite affatto, cosa significhi: Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem e simili il mistico luogo sacro della nostra religione. In ogni modo, aggiunse Mozart : Ma sì, va da sé che questo del sacro si perda nella vita del mondo; ma, almeno è così per me, se si percepiscono le parole ascoltate migliaia di volte e si mettono in musica, tutto ritorna e ci si trova dinanzi all'Uno e l'Uno muove l'anima. 

Cari amici della musica, sicuramente vi è noto che, dopo la morte di Bach e di Haendel nella seconda metà del XVIII secolo, si è completato un cambiamento epocale dei paradigmi : il modernismo mondiale. Tanto i geni del periodo classico (con Mozart anche Haydn e Beethoven), come i Romantici (Weber, Schubert, Schumann) hanno tratto ragione ed ispirazione non solamente dalla fede cristiana. Loro hanno composto seguendo specificatamente sentimenti ed esperienze umane, comprendendo sempre più anche la natura. Cosicché non è più la fede cristiana ad avere un ruolo primario, ma l'individuo con le sue gioie e i suoi dolori, per il quale il compositore cerca, trova e trasmette nella musica la sua espressione artistica. Indiscutibilmente si osserva anche un processo d individualizzazione e di umanizzazione della musica e con essa anche un processo di laicizzazione, di secolarizzazione. 

Questo processo viene promosso dalla rivoluzione borghese, il cui massimo rappresentante è Beethoven. Nella seconda metà del XIX secolo raggiunge con Brahms e Wagner il suo massimo splendore. Ciò che scrivono questi compositori è, malgrado occasionali prestiti dalla religione, una musica in genere non più su committenza e funzionale, bensì una musica autonoma, cioè un arte completamente emancipata dalla tradizionale fede nella Chiesa, in Gesù, e in Dio. Il singolo compositore può aver anche curato un suo personale credo, ma per la sua opera d'arte il credo non gioca più nessun ruolo decisivo. 

Un grande compositore come Anton Bruckner, con la sua fede cattolica tradizionale, strettamente personale è l'eccezione che conferma la regola. Un'eccezione è anche Felix Mendelssohn-Bartholdy, convertito dall'ebraismo, con la sua fede evangelica decisamente orientata a Bach. 

Ma, signore e signori, rivolgiamo ancora una volta l'attenzione a Gustav Mahler, al quale era destinato il ruolo principale in questo concerto inaugurale e nel mio discorso di apertura. 

Alcuni dei suoi amici consideravano Mahler un uomo profondamente religioso, (specialmente negli ultimi tempi lo ha affermato lo studioso mahleriano, Costantin Floros), e forse Mahler, infatti, a modo suo, non fu meno credente di Anton Bruckner, dal quale aveva preso lezioni private. Come geni musicali stanno sullo stesso livello. Ma Bruckner era un credente ingenuo. Con la fede tradizionale della chiesa aveva pochissimi problemi. Mahler invece, convertito al cristianesimo dallìebraismo, era un credente estremamente riflessivo, che mantenne una distanza interiore sia dall'eb cristianesimo. Le Messe di Bruckner, come la Messa in Si minore di Bach, la Missa solemnis di Beethoven e il Requiem di Mozart, che ascolteremo in seguito, appartengono alle più geniali creazioni in fatto di musica sacra.

 E Mahler? Quando gli si chiedeva, perché non avesse scritto una Messa (come cita Jens Malte Fischer nella sua biografia di Mahler), si dice che Mahler abbia risposto: Crede Lei che ne sia in grado? Beh, perché no? Allora no! - E' più importante il Credo! E comincia a recitare il Credo in latino. No, non ne sono capace, per poi in seguito dopo una prova della sua Ottava sinfonia affermare allegramente al suo interlocutore di allora, Alfred Roller: 'vede, questa è la mia Messa!' Infatti, Mahler ha cercato di tradurre e di interpretare in questa Sinfonia la sua fede personale. Tuttavia Mahler non fu sicuramente credente nella Chiesa. E solo con riserva era credente in Cristo, visto che paragonava Cristo a Platone. Ma, sicuramente, credeva in Dio. 

Non si ritrovava però, come molti altri suoi contemporanei, allora come oggi, con la troppo frequentemente presentata raffigurazione umana, antropomorfa di Dio della tradizione giudaico cristiana. Mahler rimase un cercatore di Dio, ma nello stesso tempo fu un agitatore spirituale. Si tratta qui di una fede nel senso più ampio del termine, riscontrabile in principio in tutte le confessioni, religioni e visioni del mondo. Ciò che dà un particolare significato alla Fede nella musica, dipende dall' atteggiamento dei compositori, dei musicisti e degli ascoltatori. Ciò che sostiene i moderni compositori, anche quando essi non si riconoscono espressamente in Dio, è una sorta di fiducia nella vita. Una fede che, in ogni caso, è contraria ad una visione puramente materialistica del mondo, ad un nichilismo radicale, per il quale tutto, l'Io e il mondo, è alla fin fine fragile, caotico, assurdo e in questo senso, senza senso. Quindi, un atteggiamento fondamentalmente positivo nei confronti di una vita così spesso contraddittoria, di un mondo così fortemente ambivalente, di una società così divisa, un sostanziale Sì alla incerta realtà. Io chiamo questo un confidare di base nella realtà, che, nonostante tutte le spiacevolezze, determina e sostiene l'esperienza, il comportamento e perfino anche il comporre. 

Da ciò deriva la mia convinzione: la maggior parte degli uomini vorrebbero credere in qualcosa ed effettivamente lo fanno. Tutto inizia con la fiducia nella vita, che un bimbo riceve dalla sua mamma semplicemente attraverso il comportamento e l affetto di madre; fiducia che lo accompagnerà nel corso della vita. Una confidenza nella vita, nella quale un bambino sempre più cresce, ma che egli deve proteggere e affermare attraverso le delusioni e le scosse della vita. No, né la semplice fiducia gioiosa è di aiuto nella vita di un bambino, di un giovane o di un adulto, né un opportunismo acritico. Quello che può sostenere lungo il corso della vita è un Sì derivante dalle continue sfide e dalle prove, ossia un adesione alla realtà, come essa è o dovrebbe essere. E a seconda dei casi la musica può essere d'aiuto. Dipende! 

Certamente ascoltiamo la musica secondo le stesse leggi fisiche delle oscillazioni acustiche. Nello stesso tempo ognuno ascolta la musica in modo differente sia secondo la fisiologica ricettività dei suoni, sia secondo la capacità d immaginazione e d immedesimazione. Conosco un celebre collega di teologia, a cui perfino Mozart non gli dice nulla ( questo continuo strimpellio ); a lui non dicono nulla perfino le Alpi svizzere ( sempre e solo rocce, detriti e pietre ). E sì che viene dalla Germania del nord, dalla zona costiera, e ama il mare. Io, al contrario, amo il mare e le montagne, e, naturalmente, Mozart. Solo che alcuni uomini sono amusicali. Altri forse sono anche non credenti, non religiosi o religiosi amusicali, come poteva affermare Max Weber in un gioco di parole. Evidentemente dipende dall'atteggiamento spirituale dell'uomo, dalle sue esperienze individuali, dalla sua situazione sociale, dal modo di ascoltare musica. 

La musica, comunque, non vive nelle note, non vive nell' archetto di un violino; questi sono solo segni e strumenti. La musica vive nell' uomo. E dipende - nella composizione, nella riproduzione e nella ricezione - da uomini concreti, quale uso si fa della musica. La musica può essere sì espressione di emozioni umane senza freni, può incitare all'animosità, all' esplosione di odio, alla violenza, può perfino aizzare alla guerra. Ma la musica può anche essere, e questo lo è sempre ad un preciso livello, espressione della più varia creazione artistica e di sentimenti umani. La musica ha allora anche un carattere profondamente pacifista e riconciliante. Vedete: come profondamente l'uomo vuole farsi coinvolgere dalla musica, dipende dalle persone: può risultare fastidioso il continuo stordimento nei supermercati o nei condomini. Ma la musica può anche come forza ispiratrice rafforzare lo stanco, incoraggiare il deluso, fare sperare il disperato. L'esperienza della musica può andare molto in profondità, tanto da coinvolgere l' intera esistenza di un uomo.

 Il Nobel per la letteratura, l'irlandese William Butler Yeats ha formulato una frase: Credo nella visione del vero nella profondità dello spirito, se gli occhi sono chiusi (saggio Magia). Per comprendere questa frase, non si deve essere entusiasti come lo era Yeats per Platone, o credere nella magia. 

E sicuramente, Signore e Signori, avete già provato l' esperienza di chiudere gli occhi durante una forte tensione spirituale: in momenti di dolore insopportabile o anche in momenti di indomabile piacere e gioia. Ma potete fare una simile esperienza anche nell' ascolto della musica chiudendo gli occhi, se vi fate coinvolgere da determinati passaggi durante una rappresentazione ottimale degli interpreti. E questo magico momento può accadere anche in una sala da concerto, poiché il pubblico respira appena nell' incantesimo della musica. Così nell' individuo può rafforzarsi la fiducia, che ci sia ancora qualcos'altro oltre questo mondo dominato dalla materia, dal denaro e dal potere, dal calcolabile e dal fattibile, un mondo migliore che si manifesta ancor più che nelle parole nei suoni. In questo modo può accadere perfino questo: la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si possono vedere. Questa è la definizione della fede nella Lettera agli Ebrei (11.1.) del Nuovo Testamento: la forte fiducia in ciò che si spera si ripone su un essere convinti delle cose che non si vedono o che non si possono vedere. 

Ma adesso la domanda di chiusura, che va oltre una generica fiducia nella vita più generale: può un uomo intelligente credere ancora in Dio in un' epoca secolarizzata? La domanda è in relazione alla domanda: come si crede oggi in Dio

Su queste due domande ho meditato per decenni, e riflettuto, e la mia risposta ho cercato di riassumerla in modo comprensibile nel mio libro In che cosa credo

Sono per una fede in duplice senso consapevole/razionale che è razionale al di là della ragione, oltre le sue potenze e i suoi limiti. Questa è una fede che ha rispetto per l'inspiegabile, che rimane consapevole che la realtà di Dio non può essere colta intellettualmente dagli uomini. Per chiarire ancora un po' : tale Fede sa distinguere tra autentici miracoli di guarigione e leggendari miracoli della natura. È una fede che intende la nascita verginale in senso simbolico e non biologico. Una fede che intende le descrizioni apocalittiche della fine del mondo nel Nuovo Testamento e nel Dies irae del Requiem non come una sceneggiatura dell'ultimo atto della tragedia dell'umanità, bensì come immagini e racconti di ciò che è imperscrutabile dalla pura ragione, di ciò che è temuto e sperato, come attestato di fede della grande domanda di dove va l'universo e la vita dell'uomo. È una fede che sa distinguere tra la resurrezione di un cadavere e il passaggio dalla morte in un vero aldilà di spazio  e tempo, in una sfera per la quale, secondo Immanuel Kant, non è competente la ragion pura ma la fede. 

Capite bene signore e signori, quindi nessuna fede irrazionale, nessun credo quia absurdum. Ma anche nessuna fede che voglia costringere, con argomentazioni, all'ubbidienza. 

Piuttosto una fede che vuole invitare con buone ragioni. Quindi una fede in Dio profonda, ancorata alla fiducia della vita, che non procuri una assoluta sicurezza, ma regali una tranquilla consapevolezza. Se posso tornare all'inizio del tutto personale di questo discorso: sulla fede ho riflettuto e scritto tutta la vita, e facendo questo ho anche combattuto contro il processo di allontanamento di molti uomini dalla fede cristiana. 

Ho 84 anni vissuti in certa misura anche in modo onorevole, così che oso citare adesso dalla Bibbia la Lettera a Timoteo (2 Tim 4,6-8): "Il tempo del mio commiato incombe: ho combattuto la giusta lotta, il percorso è compiuto, ho conservato la fede". 

Ho conservato la Fede? Per me non è affatto così ovvio, aver conservato la Fede attraverso decenni di una vita non certamente noiosa, ma spesso faticosa e conflittuale. E, in verità, senza la musica, che ascolto giornalmente, non ce l' avrei fatta. 

Cari amici della musica, non posso augurarvi di meglio che la musica, la sua forza emozionale, la sua incomparabile forza espressiva, la sua bellezza, che coinvolge sensi e spirito, possa aiutarvi a percorrere instancabilmente la vostra strada. Forse la musica può regalarvi perfino la conoscenza di una realtà del tutto diversa, nella sfera dello spirito, nella dimensione infinita, nell'eternità senza tempo. La musica di Mozart è senz' ombra di dubbio particolarmente adatta a questo anche se la Messa da Requiem a qualcuno non sembra proprio adatta come opera di apertura di un Festival musicale estivo. Opus summum viri summi : La più grande opera di un grande uomo ha scritto il Kantor della Thomaskirche di Lipsia, Johann Adam Hiller, nella sua trascrizione del Requiem, redatta già nel 1792, un anno dopo l' inaspettata morte di Mozart. Non so se Nikolaus Harnoncourt ha ragione quando definisce il Requiem come unica opera di Mozart con riferimenti biografici. Ma è sicuro che questa composizione musicale di Mozart corrisponde alla sua fede e la esprime. 

Mozart era diventato negli ultimi anni più serio e aveva manifestato la sua posizione nei confronti della morte a suo padre già in occasione della morte del suo coetaneo carissimo amico Conte Hatzfeld. Scriveva il 4 aprile 1787 da Vienna a suo padre, molto malato, a Salisburgo solo tre anni prima dell' inizio della composizione del Requiem - : "Poiché la morte - diciamo le cose come stanno - è il vero fine ultimo della nostra vita, già da alcuni anni ho preso dimestichezza con questo vero, miglior amico dell' uomo, tanto che la sua immagine non mi fa nessun effetto, anzi la trovo molto rilassante e consolatoria! E ringrazio Dio, che mi ha concesso la fortuna, di procurarmi l'occasione - comprendetemi - di riconoscerla come la chiave della nostra vera felicità". E aggiunge: "Non mi metto a letto senza pensare, che, forse, giovane come sono, non ci sarà un altro giorno e nessun uomo di tutti quelli che io conosco potrà dire che io sia stato nelle mie relazioni imbronciato o triste. E per questa felicità ringrazio ogni giorno il mio Creatore e auguro questo di tutto cuore a ognuno dei miei simili".

 Per tutto questo il Requiem di Mozart è tutt'altro che una musica funebre sconsolata. Nel primo movimento viene annunciato il messaggio decisivo: dapprima un paio di battute dell' orchestra e poi il Coro con il verso: Requiem aeternam dona eis, Domine (L' eterno riposo dona loro, Signore) il tutto composto in un oscuro malinconico re minore. Poi improvvisamente la svolta in uno splendente fa maggiore. Con un potente Tutti all'unisono, prima fortissimo, poi pianissimo, la promessa della vita, di una vita eterna: lux perpetua luceat eis : la luce eterna, che è Dio stesso, li illumini! Anche nei movimenti seguenti di questo Requiem in re minore si impone una tonalità nel modo maggiore. Questo vale soprattutto nel cupo inno medievale Dies irae (giorno della collera) - con i suoi testi apocalittici, che il papa controriformatore Pio v, primo grande inquisitore, introdusse obbligatoriamente nelle messe funebri. Soprattutto in rapporto all'invocazione: Pie Jesu (dolce Gesù), che può essere un giudice misericordioso, percepiamo toni chiari, consolatori. 

Questo testimonia la composizione di Mozart: una profonda fede in Dio e nella vita eterna. Fede in Dio, come fiducia in Dio. Il 5 dicembre 1971 Mozart, già abituato all'idea della morte, già da tempo malato, ma pur sempre creativo, muore inaspettatamente. La partitura mozartiana si conclude con il verso: lacrimosa dies illa (veramente un giorno di lacrime!). Da allora gli studiosi discutono su ciò che nell' ultima parte del Requiem deriva dagli schizzi di Mozart o dai completamenti da parte del suo allievo Franz Xaver Suessmayer. Altri ne fecero versioni migliorate. Ma questa sera ascolterete la migliore di tutte, grazie alla scelta del maestro Claudio Abbado. 

I compositori e la loro Fede : la fede dei compositori può aiutare a capire meglio le loro opere. E la profonda fede di Mozart, tradotta in musica, può forse essere di ispirazione. Se siete credenti o non credenti o oscillate fra le due posizioni e siete alla ricerca, a tutti auguro che il concerto che ascolterete nello spirito di Mozart possa diventare un esperienza profondamente sentita.

 (Si ringrazia il dott. Francesco Acquaviva per la traduzione dall originale tedesco)

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