lunedì 11 gennaio 2021

Pensioni. I giornalisti non possono pagare per il dramma dell'INPGI. (Intervista a Sandra Zampa, di Paola Cascella)

 La questione delle pensioni dei giornalisti deve essere trattata con senso di giustizia, non si può far pagare il dramma dell’Inpgi ai lavoratori, che negli anni hanno fatto fronte più volte ai gravi problemi del settore con sacrifici anche personali. Per questo ho firmato l’appello inviato al presidente Mattarella. La mia attenzione non poteva mancare”.

Dice così Sandra Zampa, sottosegretaria alla Salute e giornalista, ruolo, quest’ultimo, che rivendica con orgoglio ricordando che fu tra i fondatori dell’Agenzia Dire, dove ha lavorato fino al 2005, anno di inizio della campagna elettorale per Romano Prodi, di cui è diventata l’addetta stampa e poi capoufficio stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Sacrifici dei giornalisti? C’è chi dice che siamo una categoria di privilegiati.

“Casi di privilegi ce ne sono stati, ma riguardano generazioni passate. E comunque non credo che questo abbia inciso sulla situazione dell’Inpgi. Credo invece che l’Istituto sia stato usato dagli editori che con scarsa capacità di visione hanno sfruttato le risorse disponibili senza investire, con occhi puntati alla pubblicità e non alla qualità del loro prodotto. Non ci sono stati investimenti, non c’è stata una vera diversificazione che tenesse conto di quanto stava succedendo sul mercato. Con i prepensionamenti (che pure per qualche giornalista hanno rappresentato un vantaggio), con il lavoro di tanta gente, sempre di più, senza regolare contratto, si è abbassata anche la qualità dell’offerta e l’interesse dei lettori. L’Istituto avrebbe dovuto comprendere per tempo quanto stava accadendo e trovare il modo di intervenire e opporsi”.

E la politica cosa ha fatto? Oggi il governo chiede a Inpgi un piano di risparmi, e contemporaneamente dà il via libera a centinaia di prepensionamenti.

“In molti casi c’è stata la complicità dei governi negli errori che hanno prodotto questa situazione. Ora bisogna che non siano i lavoratori a pagare il prezzo di tutto. Si è salvata Alitalia, si devono salvare anche i giornalisti e la loro cassa previdenziale”.

Come?

“Vedo che per allargare la platea contributiva si ragiona sui comunicatori, tema non sbagliato in sé. Ho paura però che queste figure non abbiano più interesse a lasciare l’Inps per passare all’Inpgi. Bisognava farlo quando erano loro a chiederlo, negli anni immediatamente successivi alla Legge 150 del 2000. Volevano entrare in Inpgi e io credo che avrebbe funzionato. Ma ci fu lo sbarramento dell’Istituto, dell’Ordine e del sindacato. Una vera battaglia, tra l’altro per via del fatto che i contratti sarebbero diventati più onerosi. Personalmente anch’io ne risentii. Nel 2008, quando entrai come capo della comunicazione, Palazzo Chigi fece molta fatica a riconoscermi il contratto giornalistico. E solo in forza di quella legge. Senza non sarebbe stato possibile. Lo stesso successe a molti colleghi che facevano il mio lavoro nei ministeri. Che alla fine però dovettero decidersi a versare a Inpgi i contributi che li riguardavano”.

Oggi su quali fronti si dovrebbe agire?

“Ognuno dovrebbe fare la sua parte. Intanto per combattere il precariato che penalizza la vita di ciascuno, e poi un intero settore, un’intera categoria, l’Istituto di previdenza e la qualità dell’informazione. L’Inpgi dovrebbe moltiplicare le verifiche e le ispezioni. E all’Istituto il governo dovrebbe porre domande, chiedendo che vengano fatti tutti i risparmi possibili. Al tavolo dovrebbe sedere il ministero del Lavoro e il sindacato”.

Il governo ha già presentato un lista di tagli da fare, che però non sarebbero sufficienti a salvare la nostra cassa previdenziale.

“L’Istituto va messo in sicurezza in via definitiva. Non si può pensare di riaffrontare il problema ogni sei mesi. Bisogna agire anche sugli editori vigilando sui prepensionamenti, sul precariato e sui nuovi contratti, in modo che non sia attraverso lo sfruttamento dei giornalisti che vengono tenute in vita aziende che con l’editoria non hanno nulla a che fare. L’editore puro praticamente non esiste,lo sappiamo, ma bisognerebbe che questa attività se non l’unica fosse per lui quella prevalente”.

Ma se nessun tentativo servisse a mettere in sicurezza l’Inpgi, come vedresti la garanzia pubblica delle prestazioni?

“Necessaria e indispensabile”.

* Consigliera generale per Inpgi Futuro

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