La senatrice a vita Elena Cattaneo è intervenuta a Palazzo Madama durante la discussione sul ddl costituzionale che introduce la riforma del premierato.
Ecco il testo integrale del suo discorso.
Sono in Parlamento da undici anni, ne seguo le attività e ho imparato da voi, colleghi senatori di ogni appartenenza, dai vostri interventi e dalle vostre iniziative, che nella dinamica “Parlamento–Governo” c’è un organo costituzionale che è da tempo un grande malato, un organo che non riesce ad esercitare con pienezza il dominio che gli è proprio. Questo grande malato delle istituzioni repubblicane è il Parlamento. Da voi ho appreso che la funzione legislativa che - per Costituzione - gli spetta in via esclusiva, salvo casi eccezionali, è diventata ormai, al contrario, quasi totalmente appannaggio del Governo, che ne dispone a piacimento e, se necessario, in modo tombale, con l’uso sistematico della decretazione d’urgenza, combinata ai maxi-emendamenti e al voto di fiducia. Strumenti che capisco dovrebbero essere eccezionali e che invece sono divenuti "la regola" dei nostri lavori.
L’ “elefante nella stanza” che oggi si finge di non vedere non è solo ciò che è contenuto nel testo in discussione ma, a mio avviso, soprattutto quello che in quel testo non c’è: vale a dire la necessità di restituire forza, dignità e autonomia a un Parlamento indebolito. È proprio un Parlamento forte e “in salute” a risultare indispensabile per la tenuta dell’equilibrio del sistema democratico e di diritto, è proprio il bilanciamento tra gli organi costituzionali e i loro poteri ad assicurare libertà, uguaglianza, diritti e benessere ai cittadini. Colleghi, credo che possiate condividere la sensazione che spesso ho di vivere in un "Parlamento al contrario" (rispetto alla Costituzione scritta).
Un Parlamento spesso degradato a mero ratificatore di scelte maturate altrove. In questo contesto, immaginare che un domani il governo - o, più precisamente, il Presidente del Consiglio eletto - possa determinare autonomamente lo scioglimento delle Camere significherebbe decretare la fine di un organo costituzionale già “malato”. Per scongiurare questa fine, io credo che la discussione sul rafforzamento del Presidente del Consiglio non possa non avere come presupposto giuridico-costituzionale il rafforzamento del Parlamento. Alcune previsioni di questa riforma, da quello che ho potuto capire anche da diversi interventi, non sono negative di per sé, anzi in astratto si potrebbero ritenere anche opportune (penso alla possibilità di nomina e revoca dei ministri da parte del Presidente del Consiglio) ma diventano nel loro complesso inaccettabili se – come in questo caso – non vengono accompagnate da norme e istituti di rango costituzionale, legislativo e regolamentare volti a potenziare il Parlamento, facendo così da pesi e contrappesi del potere dell’esecutivo.
Non regge al vaglio della logica, ancora prima che a quello della democrazia avanzata, pensare che il Parlamento, eletto contestualmente al Presidente del Consiglio (e quindi sostanzialmente “per trascinamento”) non abbia alcuna sostanziale forma autonoma di controllo sull’attività del governo, mentre il governo può determinarne sia l’attività legislativa sia, in ogni momento - a discrezione del Presidente del Consiglio - lo scioglimento. Per questi motivi, concordo con coloro che sostengono che l’attuale proposta di modifica della Costituzione aprirebbe ad una deriva plebiscitaria che nell’investitura del Capo, di un uomo solo (o di una donna sola) al comando, tradisce la sovranità popolare dei cittadini in nome dei quali si vorrebbe realizzare questa riforma.
E credo quindi che con questa riforma il Parlamento, già succube oggi del Governo, diventerebbe ostaggio di una persona sola: il premier. Questa riforma, quindi, non solo non risolve, ma rafforza, a mio avviso, una patologia del sistema. Confido che su questa proposta possa svilupparsi un dialogo in grado di portarci a individuare un sentiero comune per tenere insieme il rafforzamento della stabilità dell’esecutivo con il rafforzamento della funzione parlamentare.
Dovremmo essere tutti concordi che quest'Aula e quella di Montecitorio siano i luoghi naturali dove elaborare - nel confronto, anche duro, purché leale - le migliori politiche pubbliche per tutto il Paese. Le opzioni sul tavolo ci sono, in tanta parte anche tra gli emendamenti presentati, penso al tema della sfiducia costruttiva sul modello tedesco. Nulla impedisce che si riesca a individuare un testo di riforma condiviso; un testo che, forte della maggioranza dei due terzi del voto dei parlamentari, segni l’inizio di una rinnovata capacità d’iniziativa del Parlamento che faccia di questo luogo il motore di una nuova stagione di riforme delle nostre istituzioni Repubblicane.
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