giovedì 17 ottobre 2024

Francoforte, Buchmesse. Discorso del ministro Giuli

 Onorevole Ministro di Stato, gentile Ministro Presidente dell’Assia, gentile Sindaco di Francoforte, gentile Presidente dell’Associazione degli editori tedeschi, gentile direttore della Buchmesse, Signore e Signori,

Mi allontano dal mio manoscritto e vorrei sottolineare che la cultura è la nostra Religione Sociale Universale e che non bisogna fermarla sul suo cammino, quindi speriamo che lo spirito illuminista domini qui quando si pensa a come investire il denaro pubblico.

Sono molto lieto di essere qui con voi per inaugurare questa edizione della Fiera del Libro di Francoforte, nella quale l’Italia, dopo 36 anni, torna a indossare le vesti di Nazione Ospite d’Onore.

È un autentico privilegio per gli autori, per gli editori e per le istituzioni italiane attraversare il palcoscenico della più importante Fiera dell’editoria al mondo, per raccontare l’Italia di oggi, la sua produzione letteraria, la sua cultura.

Di questo siamo grati al governo della Repubblica Federale di Germania, rappresentato dalla Ministra di Stato per la Cultura e i Media, On. Claudia Roth, e alla Frankfurter Buchmesse diretta dal Dott. Juergen Boos.

Johann Wolfgang Goethe, fra i più grandi scrittori di ogni epoca, sarebbe certamente felice di vedere che la sua città natale ha tenuto così a cuore il suo ideale di Weltliteratur, costruendo un luogo in cui la sua amata Italia e gli operatori di tutto il mondo contribuiscono all’arricchimento spirituale degli individui e dei popoli attraverso lo scambio dei diritti editoriali.

Questa funzione sociale e immateriale è tanto più importante nella nostra epoca, in cui il tribunale della realtà ha messo sotto processo le presunte certezze della globalizzazione e ci ha restituito un mondo segnato da conflitti, fanatismi e discriminazioni che molti avevano ingenuamente, forse troppo frettolosamente, relegato nel retrobottega del secolo scorso.

Un’epoca in cui la proliferazione dei media e delle fonti di informazione ci ha reso spesso più liberi e attivi, ma non sempre ci ha reso più saggi.

Un’epoca in cui la cultura resta la più potente risorsa per la Paideia dei nostri giovani e sopra tutto il miglior antidoto contro ogni forma di violenza ed estremismo, come abbiamo ricordato a settembre nella riunione dei Ministri della Cultura G7 di Napoli.

Se sul piano semantico Cultura è CiviltàKultur; sul piano delle relazioni di fatto cultura è comprensione dell’altro e dialogo fra identità plurali e dinamiche, attraverso l’esercizio dell’intelligenza critica ma senza l’ombra di pregiudizi. Su questo territorio dai confini mobili, gli Italiani si trovano a proprio agio.

Noi siamo eredi di un pensiero universalistico, che dall’Antica Roma a oggi, passando per l’Umanesimo rinascimentale, ha sempre mirato alla centralità della persona, consentendo al nostro sguardo di oltrepassare i confini nazionali senza rinunciare alla centralità dell’idea di Stato nazionale; e tutto ciò superando “la boria delle nazioni” e “la boria de’ dotti”, secondo la lezione di Giambattista Vico, convinti come siamo che non esistano forme immutabili, cristallizzate, definitive, di assetti politici e civili. Il che rinvia al concetto di responsabilità, a quell’intreccio inesausto di vigilanza e tensione morale condivisa che fa di ogni comunità, compresa la nostra comunità letteraria, la legge interna di ciascun individuo.

A questa eredità ci rifacciamo con il titolo “Le radici nel futuro” che caratterizza la partecipazione italiana alla Buchmesse.

Partiamo dalle nostre radici, dalla nostra storia, dalla nostra identità culturale, per presentare la produzione letteraria contemporanea che da quelle radici trae linfa vitale. Ma di quali radici parliamo, qui e ora?

Posso dire che siamo qui per riaffermare la centralità “di quel che si può chiamare pensiero solare” (Albert Camus): il punto d’incontro tra la rigidità delle ideologie che si discioglie nella luce meridiana dello spirito mediterraneo, la luce tanto cara alla migliore tradizione estetica tedesca. Quella luce in cui la nostra “Filosofia del limite” rende compatibili e feconde le parole “Giustizia e Libertà”.

Il lavoro di squadra coordinato dal Commissario Straordinario del Governo, Mauro Mazza, che ringrazio, ci consente di offrire al pubblico della Fiera un’immagine composita della cultura italiana, una sintesi tra la ricca tradizione intellettuale del passato e le proposte letterarie che quell’eredità attualizzano nel nostro presente.

Il Padiglione Italia sarà un luogo di incontro e confronto, nel quale daremo voce all’eterogeneità di visioni e punti di vista, che caratterizza il nostro pluralismo culturale. Tratto ereditato dalle peculiari vicende storiche di una Nazione che, pur vantando un retaggio millenario, è giunta all’Unità istituzionale – proprio come la Germania – in tempi molto più recenti rispetto ad altre esperienze nazionali del Vecchio Continente.  

Alla Buchmesse 2024, l’editoria italiana mostra una personalità forte, aperta e plurale, che riflette la solidità della nostra industria del settore. Una realtà dinamica e in crescita, che negli ultimi 20 anni ha quadruplicato il numero di diritti venduti all’estero e che è sempre più orientata verso l’internazionalizzazione, per far conoscere meglio la ricchezza di contenuti culturali italiani sui mercati internazionali.

Confido che l’intenso programma di incontri allestito all’interno del Padiglione Italia stimolerà un ancor più attento e benevolo interesse verso la nostra produzione letteraria contemporanea.

Siamo incoraggiati dal fatto che nel mondo riscontriamo un diffuso interesse per la nostra cultura e anche per la nostra lingua nazionale, di cui la letteratura resta ovviamente uno dei veicoli principali.

L’Italiano si colloca infatti stabilmente nel novero delle lingue più studiate al mondo, a dispetto della sua limitata diffusione territoriale; il tutto in una prospettiva sempre più glocal che vede oltre 250 milioni di individui, in gran parte privi di legami personali o familiari col nostro Paese, abbracciare quei valori e stili di vita di cui la nostra cultura è portatrice.

Il pubblico tedesco è sicuramente tra quelli che meglio conoscono gli autori italiani, in uno spettro di preferenze che alterna il canone consolidato dei classici ai nomi di autori viventi molto apprezzati. 

D’altronde, Italia e Germania sono legate da una sintonia in campo editoriale tanto antica da ricondurci all’Umanesimo e agli albori dell’invenzione del libro moderno. E poi più tardi, grazie a Goethe e ai colti viaggiatori mitteleuropei del Grand Tour, il nostro retaggio culturale si è giovato di straordinari “cittadini intellettuali acquisiti” che ne hanno amplificato la diffusione. Personificazione immaginifica e sognante del nostro rapporto di “sorellanza” – va da sé – sono le Due Donne, “Italia e Germania”, amichevolmente ritratte da Friedrich Overbeck nel 1828: allegoria beneaugurante d’un comune sforzo proteso alla riunificazione, nonché opera realizzata in omaggio al sodalizio personale che legava Overbeck a Franz Pforr, collega francofortese (e sempre qui torniamo), morto nel 1812 ad Albano Laziale, poco più che ventenne.

Questo riflette anche nell’arte: una comune missione di popoli che hanno raggiunto l’unità in una fase avanzata. Faccio un altro piccolo fuori programma perché non basta richiamare opere d’arte o citazioni che probabilmente tutti conoscono. Permettetemi di citare anche Carlo Levi, un intellettuale antifascista che fu perseguitato. In un libro che mi è stato regalato da un intellettuale di sinistra con cui ho avuto discussioni in passato, Tommaso Montanari.

Nel suo libro racconta cosa unisce la Germania e l’Italia e tutte le nazioni che volevano difendere la propria cultura. Carlo Levi scrive che siamo tutti uniti dal patrimonio culturale, dalla storia e dalle arti, abbiamo un’autobiografia della nostra nazione e Levi dice che l’Italia è tanto grande quanto complicata, e questo vale per tutte le nazioni e probabilmente è anche questo che ci unisce.

Del secolo scorso mi piace ricordare “La Montagna Incantata” di Thomas Mann, uno dei più insigni capolavori europei del primo Novecento, in cui il rapporto che lega il giovane protagonista Hans Castorp al suo mentore, il liberale italiano Lodovico Settembrini, rappresenta la controparte narrativa del fertile legame tra i nostri popoli. Una tradizione continuata in tempi a noi più vicini e alimentata da un tessuto di associazioni culturali italo-tedesche e dalla presenza di una vivace e ben integrata comunità di connazionali residenti in Germania.

Una reciproca fascinazione tra Italia e Germania che il Governo italiano punta a consolidare con un rinnovato sforzo per sostenere, da un lato, la delicata fase di trasposizione linguistica delle opere italiane e tedesche, dall’altro, i rapporti tra le imprese di settore. Siamo certi che intensificare questa relazione equivalga a investire non solo su qualità e quantità del nostro dialogo culturale, ma anche sul futuro stesso del libro, baluardo dell’umano contro l’ignoranza e il fanatismo.

Vi rivolgo un invito caloroso a visitare il Padiglione Italia magistralmente realizzato dall’architetto Stefano Boeri, che rappresenta una tipica piazza italiana, proprio per esprimere quel senso di comunità che rispecchia lo spirito del popolo italiano.

Sarà lì che i nostri autori si confronteranno con gli ospiti, esponenti della cultura provenienti da ogni latitudine del mondo, animando le giornate della Buchmesse. 

A tale riguardo, peraltro, non ritengo vano sottolineare la mia missione istituzionale di ministro della Cultura tenuto e intenzionato a rappresentare la sacrosanta libertà d’espressione d’ogni forma di dissenso, compreso quello che possa ritorcersi nei confronti del governo cui mi onoro d’appartenere.

Auspico sopra tutto che prevalgano Armonia e Concordia; e, a proposito di armonia come linguaggio dell’anima che non conosce barriere, saremo felici se assisterete numerosi agli spettacoli musicali offerti dall’Italia in questi giorni a Francoforte, per accompagnare la nostra presenza speciale a questa edizione della Fiera del Libro. 

Infine mi riservo un ultimo richiamo alle difficoltà dell’ora presente, alla lancinante domanda di dialogo e di pace, giusta pace, che l’attualità quotidiana scaraventa sotto i nostri occhi. Non so se sia possibile trovare nella scrittura una risposta adeguata alla dismisura dei nostri tempi, ma la lettura dei nostri errori e dei nostri orrori trascorsi ci impone in ogni caso di assumere un contegno di fiducia verso il futuro, ancorandoci al senso del tragico e alla percezione d’ogni grande bagliore di civiltà insita in quel dispositivo umano che Botho Strauss (“La catena delle umiliazioni”, 1989) ha felicemente definito “l’organo per il passato prossimo e remoto”. 

Concludo appunto con le parole di Strauss: “Tutte le grandi elevazioni del cuore avvengono nel passato rivisitato. E se ci si toglie il senso del passato, ci si trasferisce in una commedia sempre agra senza tempo e senza spazio”.

      
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