martedì 24 settembre 2024

Il Jazz, ebraico come il Tango. Nuovo saggio di Francesco Lotoro

                                    IL JAZZ, EBRAICO COME IL TANGO 


                                             di Francesco Lotoro 


Nel Terzo Reich, sia jazz che swing erano etichettati con il termine dispregiativo di Negermusik e la musica che si richiamava a tali generi era bandita; la proibizione si estendeva per traslazione alla musica indigena della popolazione di colore del continente africano.

Nel 1930 il compositore statunitense Henry Cowell scrisse sul magazine Melos che il jazz incarnava nel proprio linguaggio sia elementi afroamericani che ebraici: "i fondamenti del jazz sono la sincope e gli accenti ritmici propri dei neri. La loro modernizzazione è opera degli ebrei di New York [...] il jazz è musica dei neri vista attraverso gli occhi degli ebrei".

Il manifesto della mostra Entartete Musik allestita durante le Reichsmusiktage di Düsseldorf rappresentava un afroamericano in smoking suonare il sax con la Stella di David sul bavero (foto 1); l’immagine sintetizzava l’inquietante politica del Reich e lo sbandieramento propagandistico di fantasiosi complotti afro-ebraici che il Reich riteneva insistessero sulla cultura tedesca.

Grande invenzione, il jazz; sulla carta il Reich lo mise al bando ma lo si poteva ascoltare in Cafè e ristoranti da Berlino a Monaco, edulcorato o ammantato di Schlager e musica d’intrattenimento ma pur sempre jazz; tanto per cambiare, i più grandi jazzisti in Germania erano ebrei.

Nel 1935 gli stessi jazzisti furono messi all’indice negli elenchi del libro Musikalisches Juden-ABC di Hans Brückner; tuttavia, dopo la lamentela del direttore d’orchestra tedesco Ralph Benatzky – classificato ebreo ma non lo era – Joseph Goebbels ordinò all’autore una seconda edizione riveduta.

Nel 1941, nel famigerato Lexikon der Juden in der Musik a cura di Herbert Gerigk e Theophil Stengel contenente i nomi dei musicisti classificati ebrei [jüdisch] o mezzi ebrei [halbjüdisch] in base alle Leggi di Norimberga, i nomi dei jazzisti ebrei misteriosamente scomparvero.

Intorno alla metà del secolo scorso in Germania, a Reich distrutto e nazismo momentaneamente assopito, chiese cattoliche e protestanti ma anche autorità scolastiche e politici mettevano ancora in guardia fedeli e cittadini contro la “oscena musica negra”; ciò in un momento cruciale della Storia della Musica nel quale il rock 'n' roll anglosassone, portatore di messaggi oggi ben che sdoganati ma allora di forte impatto sociale, guadagnava popolarità tra le giovani generazioni.

Eduardo Di Capua scrisse la celebre canzone napoletana ‘O sole mio non sul Lungomare partenopeo ma su un belvedere di Odessa, Georges Bizet suonò integralmente al pianoforte la sua opera Carmen senza alcuna esitazione prima ancora di aver scritto una sola nota in partitura; l’inno prussiano Heil dir im Siegerkranz è lo stesso dell’inno nazionale del Regno Unito, l’inno del Kaiser ma anche degli Asburgo e del Terzo Reich è solo per metà tedesco dato che la prima metà è una melodia slava, La Marsigliese attribuita a Rouget de Lisle e già mutuata da Antonio Lotti discende dal repertorio corale del Secondo Tempio di Gerusalemme.

Persino il tango non è argentino né polacco ma discende dai canti del Beit-haMikdash e conserva ancora la forte impronta ritmica nello Adon Olam e Lechà Dodì; d’altra parte, se qualcuno vuole assaporare l’immensa dolcezza dell’originale salmodia davidica non deve recarsi in sinagoga ma in conventi benedettini arroccati sulle Alpi o nei monasteri del Monte Athos nei quali ascoltare i più antichi canti gregoriani e greco-ortodossi che arrivano direttamente dal Secondo Tempio.

Che significa tutto ciò?

Significa che nella musica nulla è al suo posto e le logiche partono quasi sempre da un assurdo; chi durante la 2a Guerra Mondiale scrisse a Praga i suoi ultimi fogli di musica li nascose a Leningrado (San Pietroburgo), chi scrisse musica a Westerbork la lasciò a Bergen-Belsen ultima destinazione, chi creò canti sul treno da Salonicco a Birkenau trasmise oralmente le melodie nel Lager a qualcuno che poi emigrò a São Paulo, chi creò musica durante la costruzione della Death Railway birmano-thailandese portò con sé i diari e sino a poco tempo fa Fergus Anckorn (foto 2) li cantava a Brighton.

Stiamo rimettendo ogni tassello musicale al proprio posto, completando pentagrammi, ricucendo Lager a luoghi d’origine e ritorno, incastrando frammenti con infinita pazienza.

La musica inizia mentre la Storia sta battendo i suoi tempi e dettando le sue cadenze; allora come oggi, una delle mission di questa letteratura musicale è disturbare la storia, salvare il cervello e il cuore dell’uomo e, come elisir di lunga vita, produrre il miglior futuro possibile.

In un mondo alla rovescia, la Musica riuscì a formattare il computer impazzito della Storia.

Non salvò il computer ma sconfisse il virus.

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