Il Concerto di Capodanno della Fenice di Venezia, che tanto fece discutere all’epoca del varo per aver osato «sfidare» la lunga, imbattibile tradizione viennese (quest’anno con la direzione di Christian Thielemann, l’anno prossimo ci sarà Riccardo Muti), arriva zitto zitto alla 21a edizione. Diretto da Fabio Luisi, è pensato come cosa metà e metà. Nella prima parte una Sinfonia serena eppur «seria» come la «Seconda» di un autore serio come Brahms. Nella seconda parte, via libera alla solita carrellata antologica di pezzi operistici che, per il sol fatto di arrivare come cosa priva del contesto che li ha generati, diventano altro da quel che sono. Ma vabbé.

La Rai, che la manifestazione la coproduce fin dalla nascita, bisogna riconoscere che si impegna a non snaturare l’oggetto, con la scusa di una divulgazione popolare. Ci risparmia, per dire, il commento avvilente – ma apprezzato dai guru della comunicazione, che odiano il bello se impegna un neurone in più del previsto – delle Prime della Scala. Cosa trasmette, infine? I 40 e più minuti di Brahms certo che no. L’oretta di passi antologici certo che sì. Ecco il frutto della teoria di cui sopra: se un’opera richiede un minimo sforzo di comprensione, meglio lasciar perdere.

Peccato, perché l’uso di quel neurone in più permetterebbe all’ascoltatore di apprezzare molto di più anche il singolo pezzo antologico della seconda parte. Ciò detto, solo complimenti agli esecutori, in primis Fabio Luisi, sempre vigile nel garantire lo stile esecutivo più consono alla musica che dirige. Buone le prove di Coro e Orchestra del teatro veneziano. Eleonora Buratto – morbida e pastosa la voce – è interprete sempre più matura e consapevole. E Fabio Sartori è tenore efficiente, che bada al sodo senza buttarsi via in inutili moine da «tenore».

Si sono apprezzati in particolare l’Intermezzo di «Manon Lescaut» (primo assaggio della sbornia pucciniana attesa quest’anno per il 1° centenario della morte del compositore) e i passi da «Madama Butterfly»: bene il coro a bocca chiusa e più ancora «Un bel dì vedremo», dove Luisi e Buratto evitano i toni svenevoli di tante esecuzioni antologiche. Pulita anche, e priva di enfasi patriottica, l’esecuzione del «Va’, pensiero» verdiano.

Bene anche che i 70 anni della Rai siano stati festeggiati con un medley di sigle televisive breve, leggero e del tutto privo della retorica che si poteva temere. Sobrio, perciò pregevole, il commento televisivo. Non banali le coreografie del corpo di ballo dell’Accademia della Scala. Sala piena e tanti applausi mentre il teatro si riempie di fuochi, festoni e coriandoli.