lunedì 4 dicembre 2023

Teatro alla Scala. Così 'nasce' un'opera come il 'Don Carlo' inaugurale ( da Il Sole 24 Ore, di Giovanna Mancini)

 


Dietro le quinte della Scala: ecco come nasce il Don Carlo

Per realizzare gli abiti dello stuolo di frati che solca il palco (53 coristi, oltre a 60 comparse e alcuni figuranti) ci sono voluti mille metri di fustagno. Per le scene – essenziali e pulite, ma pur sempre espressione del barocco spagnolo – ci sono volute 18mila foglie d’oro, 100 chili di stucco, altrettanti di gesso, di poliuretano e di gomme per calchi. E ancora, 450 metri di velluto nero, oltre 400 costumi, 140 cerniere, 50 chili di chiodi e 16mila viti di varie misura.

Preparatevi per un Don Carlo «molto teatrale», come ci racconta Emanuela Finardi, uno dei tre capi-scenografi del Teatro alla Scala, nella fattispecie, la persona che ha seguito la realizzazione delle scene del Don Carlo da principio alla fine. «Sarà un 7 dicembre di sostanza», assicura, senza poter rivelare troppo dello spettacolo che inaugura quest’anno la stagione 2023-2024 del Piermarini, l’opera di Giuseppe Verdi diretta dal maestro Riccardp Chailly, con la regia di Lluís Pasqual, le scene di Daniel Bianco e i costumi di Franca Squarciapino.

Un’opera complessa non solo sul piano musicale, ma anche nella realizzazione tecnica delle scene e dei costumi, che hanno richiesto quasi quattro mesi di lavoro serrato alle maestranze del teatro scaligero e una settimana per essere trasportate (sei camion per notte, con 9 metri di cassone ciascuno) dai laboratori dell’Ansaldo (in via Bergognone, nella zona Sud di Milano) al Piermarini. Per non parlare delle ore e delle prove necessarie per montare e adattare tutto quanto al palcoscenico e assicurarsi che tutto funzionasse.

«Non è stato facile – ammette Finardi –. Non lo è mai, perché la macchina teatrale, con i suoi elementi e i suoi tempi serrati, richiede sempre soluzioni di alta ingegneria, ma in questo caso è stato particolarmente difficile, perché ci sono alcuni elementi scenici complessi e di grandi dimensioni, che hanno richiesto davvero la collaborazione di tutte le maestranze». Ma anche usi e applicazioni “creativi” dei materiali da parte della squadra di tecnici e scenografi (otto in tutto) guidati da Emanuela Finardi, nonché tanta ricerca e flessibilità da parte del gruppo di costumisti, sotto la direzione di Antonio Iavazzo.

No, non è qualcosa che potrebbe accadere ovunque. Mettere in scena spettacoli tanto complessi richiede competenze ed esperienza oggi molto difficili da trovare e ancora più difficili da trovare all’interno di un teatro. «È un aspetto che ci viene riconosciuto da tutti i registi e scenografi con cui lavoriamo – spiega Finardi – che spesso rimangono sorpresi dal lavoro che riusciamo a fare e da come riusciamo a dare corpo alle loro idee iniziali».

Lo stesso vale per i costumi, tutti realizzati internamente: «Ho lavorato in diversi teatri, anche molto prestigiosi, prima di entrare alla Scala dieci anni fa e posso dire che il patrimonio di competenze e capacità che c’è qui è davvero unico», racconta Iavazzo.

È una vera e propria filiera produttiva, piccola ma di grandissima eccellenza ed efficienza, quella che si svolge dietro le quinte del Piermarini, che non è soltanto un’istituzione riconosciuta a livello internazionale per la qualità della sua orchestra, del suo coro o del suo corpo di ballo, ma anche per queste competenze artigianali e tecniche che coltiva ancora al proprio interno, grazie al lavoro e all’esperienza di 150 addetti tra falegnami, fabbri, carpentieri, scenografi, tecnici di scenografia, scultori, sarti e costumisti, in grado di dare forma, letteralmente, alle idee e alle visioni di registi e maestri della scenografia e dei costumi, portandoli sul palco della Scala.

Nel reparto costumi lavorano circa 60 persone tra costumisti del laboratorio e sarti “della vestizione”, quei maghi che tagliano e cuciono, accorciano e allungano orli, stringono e allargano corsetti in pochi minuti, tra una scena e l’altra, per agevolare l’esibizione di cantanti e danzatori. Nei laboratori lavorano 20 persone molto specializzate, divise in quattro squadre; una per il taglio maschile, una per il taglio femminile, una per il balletto e una che si occupa delle emergenze. Poi c’è il reparto di modisteria, che fa cappelli e un reparto di elaborazione del costume, la parte un po’ più creativa, che si occupa degli invecchiamenti dei tessuti, dei gioielli e delle acconciature. Infine la lavanderia interna e il magazzino dove vengono conservati tutti i costumi degli spettacoli, che in seguito possono essere riutilizzati dal teatro stesso, oppure presati al Museo della Scala in occasione di mostre o, ancora, dati a noleggio ad altri teatri.

«Lavoriamo sempre a più produzioni contemporaneamente, perciò è difficile dire quanto ci voglia per realizzare i costumi di un’opera – spiega Iavazzo –. Per quanto riguarda Don Carlo, abbiamo ricevuto i primi bozzetti della Squarciapino a maggio. Poi è iniziato tutto lo studio di ricerca, trattandosi di un’opera ambientata nel 1570, su manuali di taglio dell’epoca, seguita da una fase di adattamento e poi di ricerca dei materiali». A quest’ultima fase Iavazzo tiene molto perché, spiega, «cerchiamo di non contribuire allo scempio del fast fashion e di cercare quindi stoffe e tessuti riciclati, spesso acquistandoli da Onlus o grossisti di vintage che garantiscono rispetto dell’ambiente e del lavoro».

Nel reparto scene lavorano invece circa 90 persone tra staff artistico (scenografi, pittori e scultori, divisi in tre squadre), tecnici e magazzinieri. «Ognuno ha un ruolo fondamentale – spiega Finardi – e il dialogo tra tutti è costante». È come entrare in una grande bottega artigiana, dove il mestiere si tramanda da generazioni. «Ovviamente ci sono state molte evoluzioni dal punto di vista tecnologico e di studio degli spettacoli negli ultimi decenni, ma la tradizione è stata tramandata ed è ancora conservata – dice la capo-scenografa –. Ad esempio, la pittura dei fondali, che da molti è considerata una pratica obsoleta, noi la facciamo ancora come la facevano i maestri antichi e siamo tra i pochi ancora in grado di farlo».

La grandezza dei laboratori scaligeri è proprio in questo essere aggiornata sulle tecnologie e usi più avanzati e, al tempo stesso, non aver dimenticato la tradizione. Il reparto di scenografia si occupa della preparazione di tutti i disegni, dai bozzetti ai fondali, ma anche della lavorazione e simulazione materica, spesso inventando soluzioni “creative” e inedite dei materiali. Anche qui, dalla consegna dei primi bozzetti alla consegna dei materiali, ci vogliono tre o quattro mesi. «Uno degli aspetti più complessi, oltre ovviamente a realizzare in sé le scene e gli elementi che le compongono, è adattare l’idea dei registi e degli scenografi al nostro palcoscenico, cercando i giusti compromessi tra esigenze artistiche ed esigenze tecniche», conclude Finardi.

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