mercoledì 8 novembre 2023

Professoressa supera il concorso per il ruolo ma il Ministero la dichiara 'non idonea'. Consiglio di Stato: INGIUSTIZIA GRAVE E MANIFESTA ( da La Repubblica)

 


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Per 14 anni, dall’anno scolastico 2007/2008 al 2021/2022, “ha devoluto le sue capacità e la sua professionalità al servizio della pubblica istruzione” in qualità di docente precaria di italiano, storia e geografia nelle scuole secondarie di primo grado di Milano, ma quando poi ha partecipato a un concorso per diventare finalmente di ruolo, classificandosi quattordicesima su oltre tremila partecipanti, si è vista escludere perché ritenuta sprovvista dei titoli di studio adeguati: R.P., 45enne professoressa milanese, è stata vittima di un’ingiustizia “grave e manifesta” da parte del Ministero dell’istruzione e del merito e avrà quindi la sua cattedra.

L’ha stabilito il Consiglio di Stato con una sentenza dello scorso 3 ottobre (pubblicata il 3 novembre), avallando quanto deciso dal Tar del Lazio, che aveva già dato ragione alla docente con un pronunciamento risalente al giugno dell’anno scorso. “A giudizio del Collegio viene, in primo luogo, in rilievo la dedotta irragionevolezza e incongruità, e quindi la somma ingiustizia, del comportamento del Ministero dell’istruzione e del merito rispetto alla sua missione istituzionale scolpita dalla legge, alla luce della contraddittorietà dell’intervento in autotutela, attivato a circa quattordici anni dall’avvio del proprio comportamento ritenuto contra legem, rispetto alle finalità, espressamente dichiarate dalla disciplina del concorso straordinario in esame, di contrasto al precariato mediante la stabilizzazione del personale dimostratosi in possesso delle necessarie competenze ed esperienze”, scrivono i giudici.

Il problema era nato dal fatto che la donna – pur avendo conseguito una laurea in Lettere summa cum laude, un dottorato di ricerca all’Università di Torino e il diploma in pianoforte al Conservatorio di Milano – non avesse mai sostenuto nel proprio percorso di studi un esame di latino, che non era necessario all’epoca dell’inizio della sua carriera nel mondo della scuola, ma lo è diventato a seguito di una serie di provvedimenti del 2016.

In merito a questo, i giudici della settima sezione del Consiglio di Stato presieduta da Marco Lipari hanno però messo in evidenza “la complessità e non univocità della moltitudine di disposizioni di legge spesso d’urgenza, di decreti, di circolari e di provvedimenti relativi all’accesso all’insegnamento in Italia e, in particolare relativi, con riferimento alla specifica fattispecie, all’individuazione dei diplomi di laurea idonei all’insegnamento”. La professoressa R.P., contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, non ha mai fornito alcuna dichiarazione “mendace o anche soltanto non rispondente alla verità” in merito ai propri titoli di studio, presentandoli anzi ripetutamente, a ogni rinnovo del suo contratto da precaria.

Per dirla con le parole dei giudici del Consiglio di Stato, ha “confidato del tutto incolpevolmente nella idoneità, ai fini della futura stabilizzazione, della propria laurea, regolarmente indicata, con allegato piano di studi comprensivo degli esami sostenuti, in ogni caso in cui l’amministrazione lo ha richiesto prima di conferire incarichi di insegnamento a tempo determinato”.

Inoltre, si legge ancora nel testo della sentenza, “la presenza di una tale congerie di disposizioni determina pertanto la ragionevole inesigibilità, secondo correttezza e buona fede, di una corretta ricostruzione della norma applicabile da parte del cittadino”. A maggior ragione se si tiene conto del fatto che “l’amministrazione, così come nella fattispecie considerata, vi abbia ripetutamente e continuativamente dato applicazione in senso divergente da quello reclamato in giudizio quale unico criterio interpretativo possibile”.

Per ben 14 anni insomma la 45enne era stata ritenuta del tutto idonea al proprio ruolo – portando anche i suoi alunni a ricevere riconoscimenti prestigiosi, l’ultimo dei quali in ordine di tempo è il Premio Galdus 2023 per le scuole secondarie di primo grado, categoria poesia – e poi il Ministero ha deciso che non lo fosse più proprio nel momento in cui lei ha partecipato a un concorso indetto con il “dichiarato fine di arginare il fenomeno del precariato nel comparto scuola”. Motivo per cui la professoressa potrà continuare a mettere a disposizione degli studenti la sua “considerevole esperienza nell’ambito dell’insegnamento che pare assurdo, prima ancora che illegittimo, obliterare”.

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