mercoledì 6 gennaio 2021

Comitato ' Salviamo la previdenza dei giornalisti'. Aderisce anche Vittorio Emiliani ( Punto e a Capo, di Stefania Conti)

 Vittorio Emiliani, storico direttore del Messaggero dal 1980 all’87, ha fatto molte battaglie politiche e civili sia con il suo giornale, sia da sindacalista della categoria.

E’ scrittore, saggista, ha realizzato inchieste per Rai 2 di cui nel 1998 è stato consigliere di amministrazione fino al 2002. Deputato per i Progressisti, è stato membro del cda dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha presieduto la Fondazione Rossini, è presidente del Comitato per la Bellezza, nonché nel 2000 medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte.

Ha aderito senza nessuna esitazione alla iniziativa del comitato “Salviamo la previdenza dei giornalisti”.

Direttore, perché hai firmato l’appello a Mattarella?

“Perché è giusto. Da vecchio sindacalista guardo sconfortato il modo in cui si è ridotta la professione. Si è involuta e anche l’Inpgi non ha potuto non risentirne. Come fa un ente di previdenza ad andare avanti quando c’è un abusivismo come quello di oggi? Quando i collaboratori prendono 3 euro a pezzo, che contributi possono dare all’Inpgi? Io ricordo che quando la Montedison comprò il Messaggero il lavoro in nero c’era, soprattutto nelle regioni, ma una delle prime cose che fece, fu quella di regolarizzare queste posizioni. Allora i direttori si facevano un vanto di non avere abusivi, il sindacato faceva lotte epiche, l’Ordine dei giornalisti picchiava duro”.

Adesso c’è stata anche una crisi dell’editoria, è arrivato internet che ha cambiato molte cose. Gli editori pensano al profitto. Negli anni tuoi erano più “democratici”?

“Gli editori erano industriali come oggi. Editori puri ce ne sono sempre stati pochi in Italia, ma avevano un contraltare che era un sindacato vero. Fior di professionisti sia come giornalisti che come difensori della categoria. I cdr avevano redazioni compatte alle spalle ma non smettevano mai di fare i giornalisti. E che giornalisti… Dalla dialettica nasce la qualità. Ora di qualità ne vedo sempre meno. Inchieste vere, tranne rari casi, non ce sono più. E gli editori mostrano una cecità incredibile. Non si curano dell’identità storica di un giornale, fanno solo tatticismi di mercato senza pensare alle specificità dei territori e dei lettori . E i lettori se ne vanno”.

Ma i giornalisti?

“Se si vuole un giornalismo autonomo bisogna anche garantire al giornalista la sicurezza, la sola che può dare la vera autonomia. Sicurezza anche del “dopo”, ovvero la pensione. Negli anni in cui il sindacato era forte, parallelamente l’Inpgi aveva una gestione sana, florida. Pensa che aveva addirittura un fondo di 4 miliardi di lire per i giornali autogestiti in difficoltà. L’Inps ci voleva dentro per prendersi i nostri soldi. Adesso siamo all’esatto opposto”.

Che cosa è cambiato?

“Praticamente tutto. La stagione d’oro finisce nei primi anni 90. Entriamo in una fase in cui anche per il giornalismo arriva una maggiore disponibilità a piegarsi alla volontà del “padrone”. La debolezza del sindacato tuttavia non è che lo specchio di una editoria meno colta, meno attenta al prodotto. C’è stato un progressivo spappolamento cui io ho assistito dall’esterno. Ma non per questo non ho visto. Penso ai contratti fatti negli ultimi anni sempre più condiscendenti. Inoltre negli anni migliori gli amministratori dell’Inpgi percepivano remunerazioni decisamente modeste, mentre oggi guadagnano quanto un dirigente di una grande società privata e come sindacalisti lavoravamo gratis o con rimborsi molto contenuti”.

Che cosa faresti per salvare la previdenza dei giornalisti?

“Per risalire dalla attuale palude contrattuale – che colpisce l’Inpgi e la qualità dell’informazione – comincerei da una inchiesta seria e approfondita su quelle gestioni sindacali e sul presente. Come è stato possibile che ci siamo ridotti così?”.

* Comitato “Salviamo la previdenza dei giornalisti”

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