domenica 3 marzo 2019

La Scala e i soldi del Governo di Riad. Per la successione a Pereira si fanno già i primi nomi, per bruciarli, ovvio!

 Prosegue il dibattito sull'entrata nell'azionariato della Scala di Riad, che porterebbe in dote, per un posto nel CdA milanese, di una dote non di 10 - come avevamo letto e riferito ieri - bensì di 15 milioni di Euro, in cinque anni, 3 ogni anno.

Ma si restringe a questioni di carattere giuridico e di rapporti fra Stati: prima che il Governo saudita entri nel CdA della Scala, nonostante i soldi - che è bene ricordarlo non hanno odore -  occorre l'autorizzazione della Presidenza della repubblica e del Governo. Che probabilmente la negherebbero per dimostrare che  non possono chiudere un occhio sulla negazione dei diritti umani in quello Stato. Problema che potrebbe essere risolto, facendo passare quei soldi attraverso una società - magari petrolifera, come ti sbagli - del paese non importa se di proprietà della famiglia reale, dunque di quello stesso governo con il quale ufficialmente non si vuole avere rapporti, per la vergogna che ne deriverebbe alla Scala, s'intende, mentre il Governo di Riad ne farebbe una ragione di vanto.

Pereira, per la voglia matta di restare in Scala se non per un altro mandato, alla scadenza nel 2020 del presente, almeno per un  biennio ancora, non può rinunciare ad ascriversi il merito di aver trovato tanti soldi, anche se vengono da un paese chiacchierato diciamo, per non dire molto peggio. Che, a dire di qualche commentatore, con questa come con altre azioni mira a far dimenticare l'uccisione barbara del giornalista saudita Kashogi, oppositore del governo saudita, ordinata dal governo di Riad, e messa in atto da un suo emissario all'estero.

 Senonchè la questione cruciale che  noi abbiamo segnalato ieri, e messa in evidenza da Repubblica ( chissà perchè il Corriere, ad esempio, non vi accenna neppure) quella cioè della creazione di una 'Accademia della Scala' a Riad, affidata alle cure degli scaligeri in tutto e per tutto - un pezzo della Scala a Riad!- è passata in second'ordine, anzi è passato sotto silenzio, quasi non fosse il prezzo maggiore che la Scala rischia di pagare per ottenere quei soldi e far restare Pereria ( che potrebbe essersi accordato, in tal senso con i sauditi, dando loro la sua parola d'onore!) ancora per un pò alla Scala.

Pereira rischia di far nascere un nuovo scandalo, il secondo dopo quello degli allestimenti salisburghesi  comprati per Milano - dei quali lui era allo stesso tempo venditore e compratore -  e che misero in forse la sua nomina alla Scala.

 Intanto, comunque, alla Scala sono iniziate per tempo le grandi manovre per la sua successione. Alcuni fra i consiglieri più titolati, a cominciare da Micheli e Bazoli, stanno vagliando i possibili candidati alla successione, per sceglierne uno da affiancare a Pereira, ancor prima che scada il suo mandato.

E, udite udite, si fanno due nomi: quello del sovrintendente dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes (e non FUENTES, come scrive - e non è la prima volta - l'ignorantissima Repubblica milanese), che ha sempre avuto buona stampa, qualche volta senza ragione; non ha ottenuto risultati brillanti nell'abbattimento del debito; interessato soprattutto alle regie trasgressive, senza le quali l'opera muore - è questa la sintesi del Fuortes - pensiero. Il secondo è quello di  Fortunato Ortombina, da un biennio sovrintendente della Fenice, succeduto a Chiarot che  sicuramente si autoflagella ogni sera avendo deciso - per sete di potere, non altro - di lasciare Venezia per Firenze, dove ha i guai che si merita.

 In verità sono due nomi che si erano fatti anche per la successione a Lissner, e quello di Chiarot  era circolato sia per la Scala che per l'Opera di Roma, prima di Fuortes, non FUENTES (capre!). Allora Chiarot, aveva fatto sapere, preventivamente, che se fosse andato alla Scala - dove naturalmente sperava di finire la sua carriera in gloria - si sarebbe portato appresso il  suo direttore artistico dell'epoca, Ortombina.
  
A dispetto del fatto che Chiarot e Ortombina che potevano vantare, in coppia, ottimi risultati di gestione, hanno sempre interpretato alla perfezione i  giochi di ruolo: si guardavano in cagnesco ma ognuno  si faceva i c...suoi. Salvini e Di Maio, alla luce di questi fatti, sono una brutta fotocopia di un gioco antico come il mondo.

 Ora questi due nomi sono stati fatti  da chi sta già sondando il terreno per il successore di Pereira, oppure sono da considerarsi 'bruciati' per il fatto stesso che li si è fatti uscire? Certo è che se fossero fra i papabili, allora ricomincerebbe a girare la NOIOSA giostra delle poltrone. Forse Chiarot lascia Firenze - e chi ci va al suo posto?- e va alla Scala con Ortombina; mentre a Venezia arriva un nome non ancora venuto fuori; o forse Ortombina va a Milano (dove ha già lavorato ai tempi di Muti; ma forse no, perchè il suo pedigree è troppo misero) mentre Fuortes ( non FUENTES: capra, capra capra!)  resta a Roma.  Gira la giostra, gira!

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