lunedì 1 settembre 2014

DALL'ORGANIZZAZIONE MUSICALE DEGLI ALTRI PAESI ABBIAMO QUALCOSA DA IMPARARE

Dal breve profilo di Michele Gamba, il trentunenne direttore d'orchestra e pianista,  assistente di Pappano al Covent Garden, apparso domenica 31 agosto su 'La lettura' (alleg. al Corriere della sera), pur non condividendo il titolo ' Sì, la musica migliora la società' che andrebbe  volto a semplice auspicio e speranza, nonostante la cruda realtà, veniamo a sapere del 'Jette Parker Young Artists Programme', che ha la sua sede di attività formativa ed impiego presso il Covent Garden.
Di che cosa si tratta? Di un programma di formazione 'sul campo' di giovani artisti, soprattutto cantanti, che in un biennio apprendono anche i segreti e perfino i trucchi del canto - naturalmente sono già tutti diplomati in detta disciplina - e contemporaneamente debuttano prima in ruoli minori e poi, via via in altri più impegnativi. Costituiscono la 'compagnia stabile' e  'giovanile' del teatro, nel quale allevare gli artisti promettenti e farli materialmente debuttare. Non  si fa solo al Covent Garden; con diversa articolazione, compagnie assai simili, stabili, ve ne sono da sempre nei grandi teatri europei e mondiali, e da esse sono uscite già tante star.
 In molti grandi teatri, a seguito di audizioni severissime, vengono assunti giovani cantanti che
pian piano vengono fatti debuttare in tutti i ruoli, nei quali si rende necessaria la loro presenza per garantire la normale attività di questo o quel teatro 'di repertorio', ove il sipario si alza 365 giorni l'anno. I giovani cantanti, senza attendere, angosciati!, che qualche agente li chiami per la prima scrittura, escono da quel teatro/bottega, che già posseggono tutti i segreti del mestiere. E' un apprendistato importante perché, nonostante i buoni maestri e le buone scuole, nessun diplomato in canto è in grado di debuttare in palcoscenico appena terminati gli studi. E ciò vale in Italia come in molti altri paesi.
 Qualcosa di simile si fa anche nel corso del Festival di Salisburgo da parecchi anni, consentendo ai più bravi di debuttare nell'edizione successiva del festival. E si fa, in  qualche modo anche in Italia, ad esempio, con la scuola  di canto del Festival della valle d'Itria, come si faceva all'Accademia di Osimo collegata al festival pugliese ai tempo della direzione artistica di Sergio Segalini. Adesso a Martina Franca dirige Triola, che era stato già direttore della scuola di canto al Comunale di Bologna, al tempo di Tutino. Si fa  già a Milano, alla Scala, con la sua Accademia, dalla quale sono stati pescati alcuni giovani artisti, e a Santa Cecilia con l'OperaStudio affidata a Renata Scotto. Dunque qualcosa c'è già, ma non è ciò che noi intendiamo sul modello di Londra  o di Vienna , per quanto ne sappiamo.
 Non c'è bisogno che lo facciano tutti i teatri, ma  due o tre fra tutti che poi servono  anche tutti i teatri.
 Audizioni severe, corsi di grande qualità affidati a maestri veri, permanenza fissa di un biennio  nel teatro che scrittura e forma allo stesso tempo, con retribuzione. Ciò consente di avere  artisti giovani ma bravi, inizialmente per tanti ruoli minori  previsti dal repertorio, per i quali, ad esempio, si chiamano artisti in carriera; si abbatterebbero di molto i costi (perché il teatro  otterrebbe la disponibilità, di lunga durata, di cantanti, con una spesa ragionevole) e permetterebbe nel giro di qualche anno, quando tale sistema è a regime, di aumentare anche la produzione che è uno dei problemi maggiori di tutti i teatri italiani, compresi quelli più virtuosi.
 La Fenice fa già qualcosa di simile, con una programmazione articolata su diversi cicli, e con titoli ripresi nel corso di due o tre stagioni per i quali fa contratti ad artisti che, per tale impiego pluriennale, sono pronti ad abbassare le loro pretese in fatto di compensi.
 Perché tale meccanismo, tanto ragionevole e redditizio, non si mette in pratica anche in Italia?  Perché i direttori artistici sono legati a triplo filo agli agenti, dai quali - perché non denunciarlo? - forse prendono mazzette? perché non si vuole 'perdere tempo' nella formazione di giovani musicisti, giacché è molto più facile farseli indicare dagli agenti, benemeriti? perché non si pensa che come è fondamentale creare nuovo pubblico, altrettanto fondamentale è  allevare nuovi musicisti? perché fa comodo produrre poco: si lavora meno? perché una volta insediati su alcune poltrone, proprio mantenendo l'immobilità del sistema, vi si rimane attaccati per molti anni?
 Se non tutte, qualcuna di queste ragioni è alla base del fatto che in Italia tutti si lamentano ma poi nessuno si muove e quelli che, rarissimamente, lo fanno, se la prendono comodamente. Cominciamo con lo stabilire che  per oltre due mandati consecutivi nessun sovrintendente può restare nel suo incarico, al contrario di ciò che accade oggi, quando alcuni  restano a capo di istituzioni importanti per decenni. Che interesse possono avere questi matusalemme, non solo di età, a cambiare le cose, come, invece, fa -  o dice di  voler fare - il nostro Renzi?
Ecco una bella materia di riflessione per Franceschini e Nastasi, ed anche per Pappano al quale apertamente diciamo; perché non fa a Santa Cecilia, magari  nel settore degli strumenti, ciò che sta facendo, con buoni risultati nel campo del canto, a Londra?
 Forse che è impossibile trovare a Roma, come ha trovato a Londra, un qualche sponsor, che desideri veramente spendere bene i suoi soldi?  Teme che non se ne troverebbero fra quanti, ogni giorno, si riempiono la bocca con l'interesse per la causa del 'futuro ai giovani'?
Infine, non si pensa che, mettendo su quelle compagnie stabili, si eviterebbe di far passare la vita ai soliti noti negli aeroporti e sugli aerei?

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