lunedì 16 aprile 2018

La musica di Vittorio Taviani. In memoriam ( da 'Piano Time'. 1983)


Caro direttore,
mi chiede quali siano i miei rapporti col pianoforte. Non le starò a parlare del rapporto quotidiano che io - come chiunque abbia traffici diretti o indiretti con la musica - intrattengo con lo strumento: inteso soprattutto come strumento di lavoro o di confronto con il lavoro altrui. Le racconterò un fatto personale, in qualche modo legato al pianoforte. Se faccio il lavoro che faccio, e che amo, presi la decisione di fronte alla tastiera bianca e nera. Figlio di avvocati, mi ero iscritto a legge e in estate dovevo dare certi esami fondamentali. Ma era ancora aprile e le finestre della nostra casa toscana , quella mattina deserta, erano tutte aperte. Io, con la mano di un ‘quinto anno’, ripetevo da alcune ore una fuga di Bach: non per studio, ma perché non riuscivo a staccarmene. Capii improvvisamente che non avrei potuto staccarmene mai. E decisi: la laurea in una materia che non mi apparteneva, sarebbe stata una immoralità. Il mio lavoro era la musica. Pianoforte, appunto. Ma soprattutto composizione. Sapevo bene quale trauma avrei procurato a una famiglia come la mia, di bella civiltà borghese. Ma era tempo di scelte, e la mia aveva la semplicità e l’urgenza della necessità. Sapevo anche che in casa, quella mattina, non c’era nessuno, ma andai ugualmente di stanza in stanza, cercando qualcuno per comunicare, subito, la notizia. La particolarità della stagione primaverile contribuiva al mio stato di eccitazione. Naturalmente nella casa non trovai nessuno. Tornai a sedermi di fronte alla tastiera, come se fosse la prima volta. Ripresi la fuga di Bach, con una umiltà sino allora sconosciuta. Ero certo di avere fatto la scelta definitiva. E invece quella scelta era solo un primo passo. A mia insaputa, mentre suonavo, continuava ad agire in me, quell’accrescimento di energie, che, con un processo di accelerazione a catena, scoglie i nodi fondamentali della nostra esistenza. Condotto dalla logica ferrea e insieme misteriosa della pagina di Bach, seppi improvvisamente questo: che se avevo finalmente la forza di rompere la tradizione e tutte le aspettative familiari, se ero abbastanza sfrontato da sentirmi maturo di scegliere, come mio lavoro, la comunicazione attraverso l’arte, allora dovevo andare sino in fondo. Dovevo avere il coraggio di riconoscere che il mio linguaggio stava oltre la musica. Era il cinema. Da tempo, insieme a mio fratello Paolo, vivevo immerso nello stupore della scoperta del cinema. Ora lo stupore cedeva il passo al possesso. La scoperta diventava operativa. Per altre strade Paolo arrivava alla stessa conclusione: su cui poggia tuttora la nostra attività in comune. Non smisi comunque di suonare il pianoforte, quella mattina. Mi faceva piacere lavorare ancora con lui, come si lavora con un complice.
                                                                                                        Vittorio Taviani

( Il presente articolo uscì sul mensile ‘Piano Time’ nella rubrica ‘Caro pianoforte’, nel 1983 - nn.4/5 Luglio / Agosto - e mai più ripreso).

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