venerdì 9 marzo 2018

L'Italia è il paese della musica. Ora l'hanno scoperto ANCHE i due più noti quotidiani nazionali

 A giudicare dalle iniziative editoriali promosse dai due più noti quotidiani nazionali (Corriere della Sera e La Repubblica) che in queste settimane mandano in edicola il primo numero  verrebbe da pensare che viviamo nel  'paese della musica' .

Il Corriere ha avviato la pubblicazione dei 12 volumi della Storia della Musica, uscita per la prima volta  presso le edizioni EDT nel 1979, a cura della Società Italiana di Musicologia e scritta a più mani (un diverso autore per volume). Esce ogni mercoledì ed ogni volume costa 9.90 Euro.

 La Repubblica, invece, punta su una collana discografica, 15 uscite, al prezzo sempre di 9.90 Euro ciascuna,  con lo slogan non nuovo (preso dal titolo di un libro 'minuscolo' per contenuto del giovane direttore Andrea Battistoni: 'Non è musica per vecchi')La Classica 'è musica per giovani'.

Il Corriere si rivolge ad un pubblico, non solo adulto - perché potrebbe anche indirizzarsi agli  studenti di musica,ammesso che leggano il Corriere, che non hanno ancora nella loro personale libreria quella 'Storia della Musica' - ma anche di buona preparazione di studi, desideroso di approfondire la storia della musica. Dove sta questo pubblico verrebbe da chiedersi, se siamo un paese, in Europa, che vanta la più profonda  ignoranza in fatto di conoscenza e pratica musicale scolastica?

 La Repubblica mira, invece, a vendere ancora CD - quando già non si vendono più, ad un  prezzo per giunta certamente non  calmierato - puntando sul fatto che si tratta di interpreti giovani o giovanissimi, fra i quali ci sono perfino due italiane: Francesca Dego, violino e Beatrice Rana, pianoforte, mentre invece il titolo del libretto di Battistoni  preso a prestito poneva la questione soprattutto del pubblico, sempre più 'incanutito' della classica.

Che ci siano interpreti giovani è lapalissiano. Come faremmo  ad averne di adulti  se prima non sono stati giovani? Altra cosa è sostenere che oggi si debbano preferire questi fuoriclasse, con calzoncini corti o minigonne vertiginose,  ai grandi  interpreti che tali diventano - ieri come oggi -  all'età della maturità. Insistiamo sull'elemento look solo perchè vi insiste anche La Repubblica, che però vende CD e non DVD dove sarebbe possibile ammirare anche le mise  dei giovani interpreti,  sulle quali non ci sarebbe da insistere più di tanto. Perchè quando ascoltiamo musica, dal vivo, in CD o in DVD o alla radio e in tv, ci frega poco come sono vestiti gli interpreti, e ci frega poco anche della loro età, anche perché sappiamo bene che dietro certi successi mondiali, talvolta spropositati e pericolosamente effimeri, c'è una macchina  da guerra in azione che non lascia nulla al caso e che vuole sfruttare al massimo un prodotto che per un certo periodo va forte.

Noi, ad esempio,  preferiamo le schumanniane 'Scene infantili' eseguite da  Horowitz a quelle di Lang Lang per mille ragioni, fra le quali certamente non v'è quella dell'avversione o della prevenzione nei riguardi della verde età.

Una volta, nella nostra vita professionale, quando avemmo l'occasione di guidare artisticamente un festival - il Festival della Nazioni di Città di Castello nel 2004 - incentrammo l'intera programmazione di quella edizione sulla 'giovane Italia' della musica, portando nella cittadina umbra tutti i migliori talenti della musica italiana. Anche per dimostrare oltre che il loro valore il continuo rinnovamento generazionale che anche la musica conosce e che solo le nostre istituzioni stentano a riconoscere, specie quando si tratta di giovani musicisti italiani, ai quali  vengono preferiti sempre quelli di altre nazioni. Dunque quella programmazione rappresentava una doppia protesta e denuncia: ecco quanti bravi musicisti esistono in Italia e che si aspetta per farli suonare a casa loro?

Per queste ragioni, di fronte a questa nuova duplice iniziativa editoriale della quale dovremmo essere felici, semplicemente per il fatto che riguarda la musica, restiamo un pò perplessi perchè  se i giornali pensano di risollevare le vendite in edicola, questa volta potrebbero aver fatto male i conti.

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