sabato 9 dicembre 2017

Adesso che Rai 1 trasmette la prima della Scala a sant'Ambrogio, il teatro milanese deve riflettere sul titolo inaugurale.

Non tutti i titoli del melodramma sono adatti ad una inaugurazione, pur nel più grande teatro del mondo,  se trasmessa in diretta televisiva. Di questo occorre che i dirigenti del teatro milanese si convincano e magari rivedano le scelte già annunciate, che non devono essere necessariamente cancellate, semmai semplicemente posposte.

Forse converrebbe che fin d'ora la Scala stabilisca un calendario di inaugurazioni di stagione puntando sui grandi titoli del repertorio  del melodramma, quello più conosciuto, più popolare - tanti ve ne sono che mancano dal cartellone scaligero da tempo.
 Forse è venuta l'ora che si ricominci a riproporli con la nuova direzione musicale affidata, per i prossimi anni, a Riccardo Chailly.
 Le scoperte, le rarità hanno l'intera stagione per figurare nel cartellone, senza che ciò faccia perdere una sola posizione nella classifica mondiale alla Scala.

I teatri di provincia hanno necessità di affidarsi ad un titolo raro per l'inaugurazione di stagione, per catturare l'attenzione dei media che normalmente è rivolta altrove. La Scala no.

L'anno scorso la Butterfly pucciniana fece oltre 2.600.000 telespettatori, quest'anno Chénier è sceso a 2.000.000 - e la ragione sta esclusivamente nella  minore popolarità del titolo di  Umberto Giordano. Per far risalire gli ascolti  non ci vuole Attila di Verdi, titolo quasi sconosciuto, benchè recentemente Muti lo abbia diretto all'Opera di Roma, ma uno di quei titoli le cui arie la gente, ma sempre più raramente, ancora orecchia.

La Rai, che  per la disabitudine del nostro paese al melodramma ha colpe gravi, assieme alla scuola ed all'analfabetismo musicale generale, ha cantato vittoria per il risultato dello Chénier,  facendo finta di non ricordare che da un anno all'altro ha perso 600.000 telespettatori circa. Ma non bisogna farci caso, sarebbe molto più felice se il pubblico raddoppiasse. E perciò La Scala faccia di tutto per raggiungere un risultato anche doppio. Perchè no?

Serve solo che i suoi dirigenti si convincano che per una diretta della prima rete televisiva nazionale non tutti i titoli vanno bene, e che sfruttare i titoli più noti non vuol dire negare la propria funzione, semmai dimostrare quanto ancora viva sia nel più grande e noto teatro operistico la tradizione interpretativa italiana, che si misura sul grande repertorio, al quale Attila, benchè  di Verdi - lo ripetiamo per l'ennesima volta - non appartiene.

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