lunedì 3 luglio 2017

Pavarotti addio!

Grazie Big Luciano! Se il teatro della vita gli avesse concesso, come tante altre volte, una replica, una sola per cancellare il ricordo di qualche acuto poco pulito, o qualche superficialità musicale spesso imputatagli nel corso della sua gloriosa carriera, o per tirarsi dalla sua un loggione ostile, Big Luciano avrebbe ancora una volta dimostrato di essere quello di sempre, il figlio del fornaio abituato a combattere, spavaldo, noncurante del rischio, vincitore ad ogni costo. Ed invece, come aveva avuto sentore da tempo – perché la malattia l’aveva ridotto male, ma la testa quella l’aveva sempre lucida - questa volta non c’era tempo per la rivincita. Ed egli, scherzando, l’aveva detto pubblicamente, usando l’amato gergo delle carte da gioco: “ siamo pari e patta”. Se dovesse andarmi male posso pur sempre dirmi soddisfatto: dalla vita ho avuto tutto, per una volta devo rendere, e pareggiare il conto. Non era da Pavarotti, ma la resa si faceva necessaria, il male era davvero tremendo, il peggiore fra i tumori, quello che agli uomini normali non lascia tempo e scampo e che lui aveva continuato a combattere per oltre un anno, senza arrendersi mai. Che le cose, negli ultimi tempi, si fossero messe male per lui, lo lasciava chiaramente capire il ricovero in ospedale a Modena ai primi di agosto. I bollettini medici, nel loro linguaggio anodino, facevano capire molto di più di quanto non dicessero effettivamente; quel ricovero si era protratto oltre il tempo necessario, senza che nulla trapelasse. Lui aveva voluto restare a Modena - s’era detto per restare più vicino all’ospedale dove aveva ricevuto le ultime cure. In realtà deve aver dato ordine di voler morire a casa. Poi l’ultimo segnale di allarme, una specie di campana a morto, i cui rintocchi non lasciavano dubbi: il Ministro Rutelli, aveva istituito in extremis un ‘Premio Eccellenza’ (“per l’eccellenza nella cultura, destinato a dare un riconoscimento alle massime personalità che si affermano nella cultura italiana”) e lo aveva attribuito al grande tenore (che “sta combattendo una grande battaglia contro la malattia con la determinazione con cui si è affermato nel mondo con una carriera formidabile”). Non bisognava essere poi tanto acuti per capire che la sua corsa, Lucianone stava per terminarla, ed il ministro non voleva arrivare fuori tempo al generale necrologio laudativo. In questo momento non viene a nessuno in mente di ricordare i passi falsi, del grande tenore, che pure ci sono stati: la pendenza con le tasse risolta con un concordato che, se anche in corner, gli fece onore; l’esperimento di regia, non dei più brillanti; quel mix di bello e brutto che era il suo ‘Pavarotti and Friends’ di Modena, dettato dalla sua generosità, senza andare tanto per il sottile dal punto di vista musicale; il ritiro dalle scene da tempo annunciato e sempre procrastinato; quelle sue ultime opere cantate sempre con uno sgabello necessario per reggere la sua mole, resa ancora più ingombrante da irrisolti problemi di deambulazione; ed anche quel concerto dei ‘Tre tenori’ che era diventato per lui, Domingo e Carreras una miniera inesauribile di denaro ed onori. Su queste scivolate facciamo cadere un leggero sipario, ora che un sipario ben più pesante è calato per l’ultima volta sulla sua vita. Big Luciano addio! “Penso che una vita per la musica sia una vita spesa bene, ed è a questo che mi sono dedicato” ( Pietro Acquafredda, Music@ 2007)

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