lunedì 12 giugno 2017

Daniele Gatti: semel in anno licet insanire? No, nemmeno una volta l'anno, è lecito dire cose tanto folli!

Daniele Gatti ha preso possesso ad Amsterdam anche dell'Opera delle Capitale, nella quale la sua orchestra ( Concertgebouw), una volta l'anno è in buca, e l'ha fatto con un titolo impegnativo, Salome di Richard Strauss - del cui successo ha riferito ieri Valerio Cappelli sul Corriere.  Per l'occasione ha anche raccolto alcune confessioni del direttore.
Fra le quali le più interessanti ma anche le più contestabili sono quelle conclusive,  e sono relative alle produzioni d'opera in Italia, ed alla produttività in,generale dei nostri teatri.

Ha detto a Cappelli: "Non sono oscurantista, però non sono  più disposto a svendere allestimenti a registi che per il loro ego vanno contro la drammaturgia musicale". E più avanti, arriva al punto: " Dobbiamo difendere l'italianità, il nostro modo di fare opera, perché dobbiamo sempre importare dall'estero?"; e va giù duro con affermazioni assolutamente indifendibili: "Aumentare le recite significa abbassare la qualità. Il pubblico italiano ha bisogno dell'evento, di qualcosa di magico, di passare quella serata in modo particolare, è giusto così". Come, Gatti? In Italia non si deve aumentare la produttività dei nostri teatri perché, aumentandola, ne andrebbe di mezzo la qualità del prodotto, togliendo alla rappresentazione quella magia che il pubblico italiano si attende da una serata all'Opera?

Davvero non capiamo. Abbiamo sempre detto che in Italia i teatri sono sotto la soglia minima di produttività e Gatti non vuole  che siano aperti, se non 365 sere l'anno come si fa in gran parte del continente europeo, almeno a giorni alterni? Media che neanche la Scala riesce a tenere?

Gatti probabilmente  se la prende con il cosiddetto teatro ' di repertorio' in voga negli altri paesi, dove un titolo, entrato nel repertorio di un teatro, viene più volte ripreso e in diverse stagioni, senza essere preceduto da un corredo di prove, come era stato al suo debutto in palcoscenico. E dove si va spesso in scena senza che i protagonisti vocali si siano incontrati prima di salire in palcoscenico. Certo simili inconvenienti sono il prezzo più alto da pagare per il teatro 'di repertorio', ma non sono del tutto estranei al teatro di regia, quello 'italiano' per intendersi, come alcuni direttori vanno rivelando a proposito del sempre più limitato lavoro di concertazione precedente il debutto.

Di per sè l'aumento della produzione porta benefici non trascurabili, sia nel campo dei costi dell'allestimento (più facilmente ammortizzabile) sia delle spese dei cachet dei cantanti. E poi l'aumento della produzione fa sì che il teatro d'opera non costi tanto alla collettività che è il finanziatore più generoso del melodramma.

Ma a  Gatti vorremmo chiedere di fare 'mea culpa' per se stesso e per i suoi colleghi i quali, oggi, almeno quelli più richiesti,  e lui  fra questi, passano più tempo in aeroporti e sugli aerei che nei teatri a provare; ricordandogli che ormai, specie nelle istituzioni concertistiche, quando si fanno tre prove per un programma è grasso che cola.  Non è forse vero che a Santa Cecilia hanno cambiato i giorni di concerto da sabato-lunedì e martedì, a giovedì- venerdì e sabato, perchè  i direttori soprattutto, non potevano star fermi un giorno, per  la ragione - da essi addotta - che il tempo è denaro? E non è questo scandaloso, assai più  scandaloso di un teatro che produce secondo i livelli della maggioranza dei teatri europei, senza che questo debba comportare necessariamente un abbassamento della qualità?

Nessun commento:

Posta un commento