sabato 25 giugno 2016

BREXIT? SONO INGLESI

Il loro nazionale pragmatismo di cui si sono sempre fatti vanto e che il mondo intero ha loro riconosciuto, questa volta li ha fottuti. Perché tale loro pragmatismo, evidentemente miope, ha impedito loro di capire cosa domandava quel referendum, del quale a poche ore dalla conclusione in favore della uscita dalla UE,  si sono pienamente resi conto e pentiti. Non potevano pensarci prima? E quel campione di Cameron non poteva fare a meno di concedere il referendum a scopo di consenso, lui che non poteva ignorare le conseguenze della Brexit, e non poteva fidarsi ciecamente del voto a favore della permanenza dei cittadini britannici?
 Ora è troppo tardi, la frittata è fatta, e agli inglesi scoccia dover ammettere, agli occhi del mondo, che hanno fatto la figura dei cretini, che non capiscono cosa vanno a votare e  che del casino armato si rendono conto dopo averlo creato.
 Adesso tutti a dire che materie complesse come quella dell'uscita da una unione di Stati non possono essere sottoposte a referendum che, per loro stessa natura, semplificano per chiarezza i quesiti. Nel referendum si può chiedere ai cittadini cosa vogliono riguardo a materie, anche delicate, ma più semplici e dirette, come divorzio, aborto ecc...
Ma cosa potevano mai capire gli inglesi , specie quelli  che abitano nelle campagne e tutti quelli avanti negli anni, quali e quanti problemi da risolvere comportava l'uscita dalla UE, se adesso che occorre pensarci concretamente neppure i politici di Bruxelles hanno del tutto chiari in testa quante e quali cose occorra modificare?
 All'indomani del referendum una sottoscrizione popolare, firmata in poche ore da tre milioni di cittadini britannici chiede al governo dimissionario di rifare il referendum.  e, se ciò non bastasse, Scozia e Irlanda del Nord, vogliono un referendum per staccarsi dalla Gran Bretagna e tornare nella UE. Insomma un cataclisma per un  popolo di pragmatici. Eh no, adesso ve lo tenete!
 E in Gran Bretagna si invita a riflettere sulla decisione che è stata assunta con una maggioranza di due soli punti sui contrari all'uscita, e , in futuro, si vorrebbe che nessuna decisione di tal fatta sottoposta a referendum posa essere accolta se a votare ci va meno del 75% della popolazione.
Il referendum deve avere prevalente natura consultiva, ma poi sono i parlamenti - che le questioni dovrebbero conoscere meglio ed approfonditamente - a decidere, sulla base delle consultazioni popolari.
 Adesso a Bruxelles - sembra una vendetta - vogliono accelerare sull'avvio delle complesse procedure dell'uscita della Gran Bretagna, procedure che richiederanno nella migliore delle ipotesi due anni circa. La Merkel frena anche per interessi del suo Paese in Gran Bretagna.
 Ma si spera anche che tale decisionismo, mai prima mostrato, serva anche  quando devono ripensarsi le politiche di austerità dell'UE che, per molti versi, sono alla base del referendum britannico, causa della stagnazione dell'economia dei paesi della Unione e spinta per altri paesi ad uscire dalla UE, con miopia pari se non maggiore di quella dei pragmatici inglesi.
 L'Europa sfasciata fa male a se stessa, ma l'Europa della burocrazia e dei vincoli è ancora più dannosa.
Tutti auspicano un passo indietro dei vertici dell'Unione, a cominciare da Juncker  del quale si invocano le dimissioni, ed una riflessione attenta sulle politiche di rigore che, se proseguite, daranno il destro ad altre spinte populiste, come se ne vedono già  far capolino anche in Italia.  Dove,  referendum di tal genere non se ne possono tenere, vivaddio!, perchè a cambiare i trattati internazionali provvedono i parlamenti, anche dopo aver sentito i cittadini.

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