domenica 14 dicembre 2014

L'EXPO della cultura contro l'EXPO del malaffare


  Suoni per l'EXPO del 2015. Era il 2009. Mancavano sei anni all'appuntamento milanese dell'EXPO 2015. Si discuteva soprattutto di cubature, terreni, vie d'acqua, metropolitane di superficie, padiglioni, infrastrutture e di imprese edilizie da impiegare, oltre naturalmente che di fondi necessari. E di questi ultimi, si sapeva che tanti ce ne volevano, ma non ancora chi avrebbe dovuto metterli.
Al contrario, come tener viva e mostrare la grande tradizione italiana di vocazione alla bellezza, sembrava non importare assolutamente a nessuno. Figurarsi della musica, ultimo dei pensieri degli organizzatori, ancora indaffarati nelle nomine di commissari, sub commissari, dirigenti, responsabili.
Fu allora che MUSIC@, il bimestrale musicale edito dal Conservatorio dell'Aquila, ebbe l'idea di interpellare alcune personalità del mondo musicale italiano, e chiedere loro di formulare dei progetti da offrire GRATUITAMENTE ai sonnacchiosi e distratti organizzatori dell'EXPO milanese.
Una decina di noti musicisti italiani di varie generazioni, inviarono il loro progetto che MUSIC@ pubblicò. Alla rivista, successivamente giunsero le congratulazioni ed i ringraziamenti dell'allora sindaco di Milano, Letizia Moratti, con la promessa che quei progetti, davvero preziosi, avrebbe girato agli organizzatori dell'EXPO.
A sei anni di distanza, ed alla viglia dell'EXPO, non sappiamo se la Moratti mantenne la promessa e se gli organizzatori si siano presi la briga di esaminarli e di dare eventualmente corso alla realizzazione di qualcuno di essi.
Nel frattempo uno dei compositori che rispose all'appello, Filippo del Corno, con il cui progetto apriamo questo dossier, è diventato Assessore alla cultura del Comune di Milano.


                              Una giornata ideale… nel 2023 di Filippo Del Corno
Se pensiamo al significato originario delle Esposizioni Universali possiamo leggerle come grandi rappresentazioni epiche della modernità. In altre parole le Esposizioni erano l’unico modo per raccontare il presente in un’epoca dove non esistevano i mezzi di comunicazione che si sarebbero poi sviluppati nel corso del Novecento. Progressivamente questi eventi hanno perso la dimensione narrativa e rappresentativa per diventare altro, ma credo che per Expo 2015 Milano potrebbe recuperare questa ispirazione originaria e tendere
ad un obbiettivo ambizioso ma innovativo: mettere in scena una rappresentazione epica degli anni che verranno, e raccontare così non più il presente ma il futuro. Come? Semplicemente dando una forma concreta a ciò che si narra. Se dovessi riassumere tutto in uno slogan sarebbe: a Milano il futuro è presente. Un progetto artistico musicale per Expo 2015 potrebbe rispondere a questa sollecitazione attraverso la costruzione di un padiglione musicale, un’autentica “stanza sonora”, dove sette diversi compositori contemporanei vengano chiamati a narrare, in forma di teatro musicale, o installazione, o video-opera, o qualsiasi altra forma sappiano o vogliano ideare, una “giornata ideale” che immaginano il mondo potrebbe essere in
grado di vivere di lì a otto anni (quindi nel 2023). La grande libertà concessa ad ogni singolo compositore per realizzare la propria “giornata ideale nel ‘23”, a partire dall’individuazione di una specifica forma rappresentativa o performativa, deve al contempo essere vincolata ad un rigoroso rispetto del budget che verrà assegnato ad ognuno secondo un principio di assoluta equità ed uguaglianza. Da questo punto di vista ciascun progetto dovrà rispondere a quel concetto di “sostenibilità” che, a mio avviso, dovrà diventare il vero valore discriminante per ogni azione futura, sia questa di natura politica, artistica, industriale o culturale. L’alternanza tra i sette compositori che abiteranno la “stanza sonora” dovrà garantire a ciascuno eguali opportunità per i tempi di allestimento e di visibilità al pubblico di visitatori. E’ nello spirito del progetto che ogni compositore possa godere della massima libertà nel coinvolgere, per l’ideazione e la realizzazione della propria “giornata ideale nel ‘23”, altre figure creative, da qualsiasi sfera del sapere essi provengano (letteratura, scienza, architettura, ecc.) purché ovviamente non si verifichino casi di sovrapposizione o intersezione. Ogni singola “giornata ideale nel ‘23” dovrebbe essere progettata in modo che possa essere possibile replicarla otto anni dopo, in occasione della futura Esposizione Universale.


              Dei delitti e delle pene di Giorgio Battistelli / Franco Marcoaldi
Il progetto prende idealmente spunto dal libro di Cesare Beccaria, uno dei capolavori dell’Illuminismo europeo, l’opera italiana più diffusa e discussa del Settecento. Attraverso la musica, la parola poetica, il suono rielaborato elettronicamente e l’immagine, si utilizza quel testo per riflettere sull’idea di delitto e pena nella società odierna, attraverso la forma di ‘un oratorio civile per orchestra, coro, coro di detenuti, live electronics e dispositivo video’. L’esecuzione potrebbe avere luogo nella stessa piazza Beccaria di Milano e dovrebbe prevedere l’intreccio in tempo reale tra il suono dell’orchestra e del coro professionale con il coro dei carcerati che cantano dall’interno di San Vittore. Quanto al dispositivo video, le telecamere, piazzate tanto in carcere quanto nel luogo dell’esecuzione, saranno come finestre che consentiranno ai detenuti di vedere ciò che accade nella piazza e al pubblico presente di vedere e sentire quel che accade all’interno del carcere, rumori compresi. La spazializzazione del suono, la parte orchestrale e i due cori verranno elaborati elettronicamente da Alvise Vidolin. L’intento dichiarato del progetto è quello di creare, senza pedagogismi di sorta, un ponte ideale tra il passato più alto della civiltà milanese e il nostro presente, tra il ‘fuori’ della società libera e il ‘dentro’ di chi patisce la pena.


                        Raccontare l’Italia di Giorgio Barberio Corsetti
Vorrei fare uno spettacolo sull’Italia. Raccontare le storie di vari personaggi di diverse regioni italiane che si incrociano a Milano, dove vivono per ragioni di lavoro. Cosa resta delle origini quando ci si trasferisce in una grande città? Come sono le famiglie di provincia, ora, e cosa resta della cultura contadina? lavorando con parole, dialoghi, immagini, musiche, con attori di luoghi diversi, con influssi dialettali che si mischiano all’italiano, vorrei fare un affresco sulla confusione e l’identità del nostro paese. Poche parole per un progetto.



                           Ultimi 50 anni di musica di Lorenzo Ferrero
Ciò che resta e ciò che è da dimenticare Do per scontato che, come già annunciato dalla Scala per 'Licht' di Stockhausen, le istituzioni milanesi concorreranno nel migliore dei modi. Tuttavia l’Expo 2015 sarà, e sicuramente dovrà essere, una vetrina dell’Italia. Nel nostro caso dell’Italia musicale. Una domanda che ci si potrebbe porre è se l’Italia musicale ha bisogno di una vetrina. Penso di sì, perché a parte qualche fortunata eccezione, negli ultimi tempi siamo diventati più importatori che esportatori. Ci sono dei campi in cui lo siamo di più e altri in cui la siamo di meno, tuttavia un panorama globale è perfino difficile averlo all’interno dell’Italia stessa. L’occasione potrebbe essere utile anche per fare il punto su ciò che resta e ciò che si può dimenticare degli ultimi cinquant’anni. Farei una proposta ai principali festival e istituzioni lirico- concertistiche: trovare una risposta a questa domanda, che riguarda il teatro musicale, la concertistica, la danza, ma anche il jazz e una parte della musica popolare. Il risultato potrebbe costituire il palinsesto per un festival intenso e concentrato, eventualmente nel periodo di maggiore prevista affluenza di visitatori. Per il resto dell’anno, oltre che un programma potrebbe essere un itinerario, che tocchi i principali centri di attività, una sorta di Skipass musicale anche multiplo, con percorsi tematici che assecondino ma soprattutto stimolino gli interessi dei visitatori.


                    La passeggiata delle Cattive di Azio Corghi/ Emma Dante
Teatro musicale in un atto, da un racconto di Emma Dante. Sceneggiatura/libretto/musica di Azio Corghi 'CAPTIVE' . Dal latino: imprigionato, reso schiavo. Nel caso delle vedove palermitane: imprigionate nella memoria del marito morto. Il termine ha il medesimo significato nella lingua in- glese (varia solo la pronuncia) ovvero CAPTIVE (‘kaeptiv) significa: prigioniero, schiavo, in gabbia, in cattività, nel recinto. Ma TO CAPTIVE può pure significare (fig.): affascinato, attratto, sedotto da…." Le mura delle cattive è un'antica via sopra le mura di Palermo, dove le vedove (dal latino cap- tive, cioè imprigionate nella memoria dei mariti morti) passeggiavano la domenica, lontane dallo sguardo indiscreto del cassero che era l'attuale corso Vittorio Emanuele (la via principale di Palermo). Sugli spalti di queste mura potrebbe essere ambientata la nostra storia di passione e vergogna di una donna che, per salvare il marito dalla vendetta di una famosa famiglia mafiosa, lo nasconde, facendolo credere morto. Il marito ha ucciso il boss della suddetta famiglia, che voleva infangarle l'onore. Dopo il duello lei fa credere a tutti che anche il marito è morto. Lo fa scappare e dopo aver allestito un finto funerale, si veste di nero ed entra definitivamente nella clausura del suo lutto. I due coniugi, però, spinti dalla passione e da un amore sconsiderato, s’incontrano di nascosto, durante la passeggiata delle vedove, cercando di non farsi scoprire dalle altre donne velate di nero. Verranno scoperti e comincerà la tragedia."

Cantantibus organis mediolanensis di Francesco Filidei
La mia doppia formazione di compositore ed organista indirizza la mia proposta verso il mondo dell'organo. L'Expo 2015 potrebbe rappresentare in effetti un'ottima occasione per evidenziare lo straordinario patrimonio artistico costituito dai numerosi organi delle Chiese di Milano: accanto ed attraverso di essi passa una tradizione certo sottovalutata, che dai Gabrieli e Frescobaldi ha continuato, sebbene in sordina, fino a Marco Enrico Bossi, autore che non ha niente da invidiare ai compositori/organisti europei della sua epoca. Berio, Donatoni, Bussotti, Sciarrino, Fedele ed an- cora Mauro Lanza, fra i più giovani, hanno contribuito ad arricchire il repertorio; ma, ancora, manca una attenzione più generale in Italia per uno strumento imprescindibile nella storia della musica. Presentando un percorso musicale attraverso le Chiese milanesi scelte secondo la loro ubicazione, le loro caratteristiche e la qualità degli strumenti, si potrebbe avvicinare un pubblico numeroso e non necessariamente abituato alla musica di ricerca. Ad ogni concerto sarebbe quindi da associare una commissione proposta ad un compositore contemporaneo e legata oltre che al tema proposto per l'Expo, alla specifica disposizione fonica dello strumento, dai Tamburini, a quattro e cinque tastiere, della Chiesa di Sant’ Angelo o della Cattedrale ai Mascioni della Basilica di Santa Maria della Passione, ad una tastiera, con temperamento ‘inequabile’. Ogni nazione coinvolta potrebbe presentare un organista ed una prima assoluta di un compositore possibilmente della stessa origine. In ogni programma dovrebbe inoltre essere presente un pezzo di compositore italiano di un qualsiasi periodo storico che bene si associ con le caratteristiche dello strumento a disposizione. Essendo l'organo a canne l'antenato naturale dei sintetizzatori moderni, potrebbe essere interessante presentare concerti con pezzi per organo e sintetizzatori alternando anche pezzi elettroacustici predisposti per lo spazio in questione. Il lato visivo, fino ad oggi trascurato nei concerti d'organo per evidenti ragioni, deve essere valorizzato, presentando una curiosa ed interessante esperienza per il pubblico non abituato la visione di un interprete impegnato fisicamente in modo totale, mani e piedi, su registi, pedali, tastiere, staffe. Una o meglio più telecamere, con attenta regia, dovrebbero riprendere da diversi punti di vista gli esecutori e gli organi o altri dettagli della Chiesa interessanti, proiettandone le immagini su uno o diversi schermi giganti. Ad alcuni concerti si potrebbe associare inoltre la creazione di video realizzati su pezzi in programma da videoartisti di differente nazionalità.

                             Pianeta immateriale di Michelangelo Lupone
La presenza dell'acqua caratterizza il progetto della nuova area espositiva della Expo, che si allunga dal padiglione Italia all'ingresso ovest. La scelta di creare un percorso costeggiato da canali e stagni, che congiunge i padiglioni con slarghi limitrofi al percorso d'acqua, segnala sia l'attenzione per questo componente generativo e imprescindibile della vita, sia il bisogno di accompagnare con continuità il visitatore con un elemento dinamico, sempre diverso nelle forme del fluire e accogliente e rilassante nella stasi proposta dagli slarghi. Pianeta immateriale è un'opera musicale pensata per vivere proprio in quei corsi d'acqua. É un'opera interattiva, adattiva ed evolutiva: avverte la prossimità, i movimenti, la voce del pubblico e può instaurare con lui giochi timbrici e traiettorie impreviste; trasforma i suoni e gli andamenti, in funzione delle condizioni sonore, luminose e ambientali circostanti, seguendo il corso del giorno; si evolve offrendo ogni giorno una diversa interpretazione della musica che le dà vita. La musica percorre i corsi d'acqua in modo non invasivo, può accompagnare il visitatore per tratti anche lunghi, fermarsi e allontanarsi rapidamente. Le sue trasformazioni sono lente e progressive quando non interagisce con il pubblico, vivaci quando i movimenti umani, le voci, le luci sono prossimi al corso d'acqua. L'intero percorso è diviso in ventidue diversi tratti spaziali o sezioni musicali; ogni sezione è caratterizzata da una identità acustica che si ispira alla cultura musicale e ai suoni di ciascuno dei paesi partecipanti. Ogni sezione rinnova la propria iden- tità sette volte al giorno, affinché anche gli elementi espressivi di ogni tratto del percorso siano rinnovati. Due volte al giorno, per trenta secondi, tutte le se-
zioni diventano “comunicanti”, le identità convergono in un solo pregnante elemento musicale che corre lungo le sponde, compare in ogni tratto e scompare allontanandosi verso una delle uscite. L'interazione con il pubblico non è costante lungo il percorso, le risposte dell'opera dipendono dal tratto in cui ci si trova, ossia dal carattere musicale attivo in quel momento. Si alternano, di conse- guenza, tratti in cui si può parlare con la musica e ricevere “risposte” come il movimento improvviso e concitato dei suoni, il loro avvicinamento al pubblico, o tratti in cui l'interazione è più lenta, riflessiva, dominata da trasformazioni timbriche. N.B.: Il suono si propaga nell'acqua a velocità anche cinque volte superiori rispetto all'aria; ciò permette di realizzare movimenti del suono molto complessi, e permette di percepire sulla superficie trasformazioni di timbri straordinari, sconosciuti alla esperienza comune. Nelle aree dove sono presenti gli slarghi, la musica è percepibile solo nelle immediate vicinanze dell'acqua. Questo rende discreta e accogliente la partecipazione dell'opera alle attività di riposo e di incontro del pubblico. Pianeta immateriale conserva tutte le informazioni relative alle proprie trasformazioni di timbro, di altezza, di ritmo, di spazializzazione, mantiene una traccia storica del processo adattivo (es. quando prolungate perturbazioni climatiche ne fermano i processi), conserva gli elementi salienti e/o ricorsivi attivati dall'interazione con il pubblico. I dati sono analizzati da un sistema di auto-regolazione dell'opera musicale che, durante la notte (momento di inattività), in base a regole di condotta formale, compositiva, attiva i processi di selezione, di trasformazione e di generazione dei suoni. Anche i modi di comportamento interattivo vengono sottoposti ad analisi e regolati quando risultano ridondanti, decorrelati dal carattere espressivo o temporalmente non associabili al materiale sonoro (es. suoni con evoluzione lenta in attività interattive rapide). Ogni anno l'opera effettua una sorta di sintesi del proprio trascorso sonoro, organizza i materiali sonori in una grande forma e dona un concerto di circa trenta minuti, utilizzando tutte le le sorgenti di suono a sua disposizione. La musica viene eseguita senza in- terruzioni durante il concerto, è presente simultaneamente in tutti i tratti del percorso e tutti i processi di ricezione sensoriale e di risposta sono disattivati. Si possono seguire le evoluzioni dell'opera anche attraverso Internet. Pianeta immateriale è presente nella rete con una speciale pagina interattiva che permette di ascoltare lo stato attuale di ogni sezione. Si possono scaricare le trasformazioni del giorno precedente e possono essere introdotte variazioni musicali in ogni sezione, come se l'utente interagisse in prossimità del corso d'acqua. Tutte le azioni interattive introdotte attraverso internet sono analizzate durante la notte e, se congruenti, sono rese attive il giorno seguente.

                   Passio in memoriam Pier Paolo Pasolini di Paolo Cavallone
Il progetto prevede la realizzazione di un oratorio laico con testi recitati e cantati che coinvolga scrittori/librettisti/poeti e musicisti classici e pop (compositori di classica contemporanea e di mu- sica pop/interpreti pop e classici). In occasione dell’Expo 2015 si intende celebrare e valorizzare la grande creatività dell’arte italiana con la partecipazione di musicisti viventi (Senior e Junior). Pensare ad una “vetrina” musicale per L’Expo 2015 mi spinge, da musicista, a “tradurre” in movimento sonoro il confronto con la società contemporanea (nella fattispecie quella occiden- tale), tentando di restituire la molteplicità dei con- tenuti generati da tale società. Nel 2015 ricorrono, inoltre, i quaranta anni dalla morte (2 novembre 1975) di Pier Paolo Pasolini, una delle figure centrali della cultura italiana del XX secolo. Pasolini, idealmente rappresenterebbe una sorta di “collante” su cui inserire il lavoro dei vari artisti coinvolti nel progetto. Il “genere” Oratorio: un veicolo di comunicazione di un testo drammatico liberamente tratto dal Vangelo di San Matteo, su cui si innestano versi e testi tratti dall’opera di Pasolini e da quelle di altri poeti, scrittori ed autori di testi, provenienti da diversi generi letterari e musicali. Il risultato è la realizzazione di un oratorio laico. La collaborazione fra artisti di diversi “generi” musicali costituirebbe un tentativo di generare una
sorta di caleidoscopio sonoro inteso come specchio delle ramificazioni delle sovrastrutture generate dalla nostra società; come anche capace di esprimere la capacità della musica, o meglio, del suono di bucare la rete invisibile, generata da tali sovrastrutture, e che impedisce al “poeta” di raggiungere l’anelata “verità”, nascosta dietro le “cose”. In sostanza le dinamiche ed i movimenti sonori ci avvicinano e forse sono l’unico mezzo capace di tornare alla realtà. Pasolini è termine di confronto e spunto per una riflessione; il suo essere sempre attuale, mi spinge, da musicista, a proporre un tentativo di “tradurlo” in movimento sonoro, in una sorta di percorso introspettivo che, nel confronto, tenti di restituire la purezza dei contenuti e soprattutto di generare un “entrare” ed “uscire” dalle tematiche, dalla soggettività alla oggettività del pensiero, dalla visione in- trospettiva alla porta astratta capace di veicolare ogni gesto. Peraltro, Pasolini aveva espresso la volontà di tradurre musicalmente la sua espressività. Non si vuole riproporre il noto, quanto emotivo, topos che vede Pasolini come una sorta di martire, un santo laico. Il soggetto sacro è assunto a simbolo di un mondo puro, agrario, il cui referente primario è la natura con la sua verità (che lo stesso Pasolini rimpiangeva: “parli con un giovane nato in questi anni… la terminologia agricola è per lui incomprensibile, bisogna tradurgliela… il Vangelo e Cristo sono espressione di un mondo contadino arcaico che è sopravvissuto per duemila anni... c’è stato un rovesciamento di tutto questo… credo nel progresso, non credo nello sviluppo, e nella fattispecie in questo sviluppo… sono direttamente interessato ai cambiamenti storici… a questo punto uno si chiede anche se sarà possibile continuare a scrivere delle poesie, io … non scrivo più versi… l’impossibilità… a fare un vero discorso sulla realtà… perché questo rapporto con la realtà è soffocato… un poeta non riesce mai ad individuare, a vincere… questo può urlare un profeta che non ha la forza di
uccidere una mosca la cui forza è nella sua degradante diversità, solo detto questo e urlata la mia sorte si potrà liberare e cominciare il mio discorso sopra la realtà”) che oramai non esiste più, som- mersa dalla società contemporanea. La morte di Cristo si identifica così con quella di una civiltà che ormai non ci appartiene se non come “violenza delle memorie”: “il momento più sublime della chiesa cattolica è il momento dell’ascensione, il momento in cui Cristo ci lascia soli a cercarlo…”. In questa ottica, tale citazione si configura come una possibile tensione alla Verità (Cristo/mondo agrario/reale/terreno); la scelta della Passione tratta da Matteo è dettata dalla volontà di sottolineare il carattere “umano” (“… per me il Vangelo è una grandissima opera intellettuale, una grandissima opera di pensiero, che non consola, che riempie, che integra… ma della consolazione che farcene… è una parola come speranza…”) come più volte Pasolini evidenziò durante la realizzazione del suo film sul Vangelo, testimonianza della sua visione “religiosa”, ma non mistica del mondo. Le metafore dei due poli: Cristo (la realtà umana e sociale strettamente connessa al referente natura), Pasolini (l’interprete del nostro tempo, una sorta di trait d’union fra la cultura storica e la cultura contemporanea, la nuova preistoria) racchiudono l’ossimoro esistenziale contemporaneo e consentono di proiettare ogni significante - che esploderà in una serie indistinta di significati nell’attualità più estrema, in una sorta di percorso interiore che si innesti in simbiosi con il discorso sociale. In sostanza si tenta di affrontare lo stesso oggetto da diverse prospettive – esattamente come avviene nella società di oggi, legata a meccanismi ciclici che impediscono il “naturale” decorso degli eventi – proprio per cercare di restituirne la purezza. Il tutto in una “ricerca”, in una realizzazione, ed una collaborazione fra artisti tutte italiane.Riferimento precipuo potrebbe essere la 'Passione secondo Matteo' di J. S. Bach, che Pasolini utilizzò come colonna sonora del suo Vangelo… possibile utilizzo del latino per i testi sacri e ovviamente dell’italiano per i testi di Pasolini. La lingua latina in quel caso simboleggerebbe un mondo scomparso e rafforzerebbe l’ossimoro insito nel lavoro, con tutte le implicazioni che ne conseguono…

                     Elogio del folle. Carmelo Bene di Riccardo Panfili
In questi tempi di crisi – una crisi e crisi “reale” che viene troppo spesso additata come scusa per tagli selvaggi alla cultura – in cui di nuovo sof- fiano venti che inneggiano all’ordine, alla disciplina, a norme severe, ad un Stato più forte, muscoloso, autoritario, mi sembra un buon antidoto rendere omaggio ad un grande “folle”, “anarchico”, “indisciplinato” artista italiano (e insuperabile Maestro di libertà): Carmelo Bene. Sarebbe interessante – in occasione dell’EXPO del 2015 – costruire uno spettacolo teatral-musicale che parta da una delle opere più dirompenti e libertarie di Bene: ossia da Nostra Signora dei Turchi (1968), facendo riferimento sia alla versione romanzesca sia a quella filmica dell’opera. Il fulcro del lavoro dovrebbe ruotare intorno alla figura del protagonista dell’opera beniana: il folle che tenta disperatamente di diventare “più cretino”, di uscire fuori dalla maglie e dalle norme dell’io sociale e dei valori imposti; tentando l’estasi di chi si è liberato dalle leggi introiettate dall’esterno. Sarebbe divertente costruire un’opera comica, bur- lesca, surreale, maleducata, tutta infarcita dalle bizzarre metamorfosi del personaggio beniano. L’opera può essere articolata attraverso alcune scene madri, che sviluppano precisi spunti drammaturgici tratti da Nostra Signora dei Turchi. La voce registrata di Bene, tratta dalla colonna sonora del film o da altre opere dell’attore, risuonerà come una sorta di commento esterno, di voce interiore dell’opera. Il personaggio principale sarà incarnato da una voce recitante; gli altri (Santa Margherita, L’Editore, La Serva) saranno affidati a cantanti tradizionali.
1) Innanzitutto, una scena iniziale svilupperà le evoluzioni folli del personaggio beniano che tenta il volo dell’estasi e della perdita del proprio io, gettandosi ripetutamente da un balcone e ricopren- dosi quindi di bende e fasce. In questa scena ini- ziale la voce recitante rimarrà muta: la voce dell’orchestra e quella “interiore” di Bene tesseranno l’intero ordito sonoro. 2)Un’ulteriore scena-madre svilupperà il rapporto del “folle” con Santa Margherita, discesa dal Paradiso per assistere il suo amato. Sarà ripresa la scena surreale di Nostra Signora dei Turchi, in cui la Santa – con una posticcia aureola di ferraglia – abusa sessualmente del “folle” ripetendo, come un automa, la formula cristiana “io ti perdono”, mentre una vecchia Fiat Cinquecento, con i fari accesi, entra magicamente in camera parcheggiandosi ai piedi del letto. Il folle si addormenterà sul cofano dell’auto come se essa fosse un cuscino. In questa nuova scena irromperà la figura della Serva, sviluppando la sequenza del film in cui il “folle” cerca di amoreggiare con la povera donna immersa in una cucina grondante di sugo e invasa di piatti lerci; l’amplesso si rivela impossibile: in una delle sue metamorfosi, il folle si è mascherato da cavaliere medievale bardato da una pesante armatura di ferro, ed entra in scena in sella ad un cavallo bianco! La santa, delusa, contempla l’amplesso mancato dalla cripta di un altare: è ritornata in paradiso e di lei non rimane che una statua.3) Rompendo lo sviluppo temporale del film (e del romanzo) la scena successiva ritornerà indietro, attingendo alla sequenza in cui il protagonista si maschera contemporaneamente da vecchio frate e da frate novizio, interpretando nello stesso tempo i due ruoli (nel film, Bene non fa altro che mettere e togliere una barba posticcia). Il vecchio frate – cucinando, ingurgitando di continuo cibi e vino, ruttando (con l’ausilio dell’elettronica si potrebbe elaborare una sorta di 'Concerto grosso' fatto di rutti e fonazioni digestive, come si trattasse di una raffi- nata eco della voce recitante:una sorta di vademecum musicale del bon ton) e imprecando – si prodiga in consigli improbabili riguardanti il rapporto tra il “folle”, la Santa e la Serva. 4) Un Intermezzo fermerà l’azione dell’opera: sulle parole dello splendido monologo “ci son cretini che hanno visto la madonna e cretini che non hanno visto la madonna” recitato da Bene nel film, l’orchestra tesserà una sorta di controcanto ele- giaco e sognante. 5) L’ultima scena svilupperà i rapporti tra il “folle” e L’Editore, e quindi tutto il discorso “anarchico” di Bene contro le varie forme di Potere. Lo stravagante alter-ego di Bene (soprattutto nella versione romanzesca dell’opera) scrive in conti- nuazione lettere e missive, indirizzate a produttori, politici, a uomini di potere: mi ha fatto sempre pensare – per una sorprendente somiglianza – agli ultimi mesi torinesi di Nietzsche – i giorni febbrili che precedono l’esplosione definitiva della follia, nel Gennaio del 1889 – in cui il filosofo (anti-)tedesco si prodiga in una compulsiva attività epistolare. Sono lettere esaltate, folli, dirompenti, terribili; delle vere dichiarazioni di guerra “contro tutto ciò che finora è stato creduto, pensato, venerato”. Quindi, all’inizio della scena, mentre il “folle” legge all’editore la sua lettera indirizzata ad un fantomatico Ministero (lettera presente nel romanzo), nell’enfasi della recitazione – come prima si era mascherato da frate o da cavaliere – si compie l’ultima definitiva metamorfosi: il folle si traveste da Nietzsche, l’altro grande “libertario” e “dinamitardo della cultura”, il Nietzsche “folle” delle ultime lettere di Torino, che dichiara guerra, con deliranti missive, ai più importanti Stati e so- vrani europei. In uno stato di febbrile esaltazione, il “folle” (no- vello Nietzsche) legge – in una danza ebbra – stralci delle ultime lettere della follia nietzscheane: frattanto l’editore, la Serva e la Santa (rientrate in scena), come in una festa liberatoria, indosseranno maschere che ritraggono i tiranni della storia del Novecento (Mussolini, Hitler, Stalin etc.). La recitazione forsennata del folle si fermerà sulla frase agghiacciante presente nell’ultima lettera nietzscheana indirizzata a Burckhardt (6 gennaio, 1889): “Io sono tutti i nomi della storia”. Tutti si bloccheranno improvvisamente, come in un meccanismo inceppato; dall’alto scenderà una croce fosforescente, come quella usata da Bene nel finale del film Salomé. Prendendo spunto dall’auto-crocifissione che chiude quest’ultimo ruti- lante film, anche il nostro protagonista tenterà di crocifiggersi da solo: ma, per forza di cose, una mano rimarrà libera e, come ultimo sberleffo salu- terà idiotamente e sghignazzando il pubblico. Ovviamente, in queste poche righe, abbiamo sem- plicemente tratteggiato, in modo impressionistico, un’idea complessiva dell’opera, senza entrare in particolari drammaturgici, musicali e formali. Sarebbe utile affiancare – alla rappresentazione dell’opera – tutta una serie di convegni, conferenze, incontri incentrati sulle grandi figure dei “folli”, dei non-integrati, degli “irriducibili”, dei marginali, dei proscritti della cultura occidentale: su Giordano Bruno, su Max Stirner, su Friedrich Nietzsche, su Antonin Artaud, su Carmelo Bene etc.Una sorta di allegra sagra dell’“uomo in ri- volta” – per dirla con Camus – dell’uomo estatico: liberato – una buona volta – da Norme, Leggi, altari della Patria, valutazioni di Mercato.

                            Nord e sud del mondo di Marco Stroppa
Devo confessare che non ho mai provato un amore speciale per le esposizioni universali, in particolare quando sono organizzate da un paese "del nord", cioè da uno di quelli che da secoli comandano al nostro pianeta quello che vogliono, e impongono i loro modelli socio-economici, morali, politici e talvolta filosofico-re- ligiosi con una violenza inaudita e un'arroganza infinita.Facendo io stesso parte di questa cultura, non vorrei affermare che tutto quello che abbiamo costruito sia da gettare, ma questa "esposizione" un po' megalomaniaca della potenza del "vincitore" mi ha sempre disturbato, io che da culture cosiddette "minori" ho sempre tratto delle sorgenti di ispirazione formidabili per il mio lavoro, anche se poi, per rispetto delle sorgenti originali, le ho "digerite" a modo mio, e assimilate nella tradizione della quale, per forza di cose, faccio parte. Un altro aspetto che mi piace poco è il carattere "effimero" e ecologicamente disastroso di tali esposizioni: una volta terminate, si distrugge tutto, o quasi, anche delle cose che avrebbero potuto e dovuto continuare ad esistere. Nel campo della musica, ad esempio, l'utopico "Pavillon Philips" del 1958 a Bruxelles, realizzato da Le Corbusier con la musica di Edgard Varèse è ora soltanto un pezzo di storia. Per queste ragioni, fra tante altre, ho formulato un progetto diverso e, soprattutto, un progetto che possa restare. Per quest'ultimo aspetto, farei equipaggiare una sala da concerto (da scegliere in funzione di varie ragioni tecniche, musicali, geografiche, e, naturalmente, politiche) con un sistema di "Wave Field Synthesis" (WFS), che per- mette una resa sonora tridimensionale e un posizionamento di sorgenti acustiche reali o virtuali con una precisione sino ad ora ineguagliata. Poche sale, per lo più sperimentali, sono oggi dotate di un dispositivo completo, che comporta centinaia di altoparlanti disposti intorno a tutta la sala e controllati da un insieme di computers: ad esempio, la Hörsaal della Technische Universität di Berlino, o quella dell'istituto Fraunhofer a Bonn. Tale sistema, naturalmente, rimarrà installato anche dopo la fine dell'esposizione o potrà servire per l'amplificazione di strumenti tradizionali, per l'esecuzione di pezzi con elettronica, per installazioni sonore, e infine, come mezzo sperimentale e di ricerca a disposizione di artisti e scienziati. Imposterei inoltre il contenuto del progetto sul tema del dialogo fra la nostra cultura dominante "del nord" e le culture dei paesi del sud, non nella forma di una paternalista "pacchetta" sulla spalla, ma di un vero scambio di esperienze, valori, proteste, idee, o altro. Chiederei a uno scrittore africano (non vorrei fare ancora dei nomi precisi, tanto la scelta è ricca), di scrivere un testo ispirato dal "Discours sur le Colonialisme" di Aimé Césaire, ma pensato per una rappresentazione teatrale e adattato alle problema- tiche odierne. Penserei all'Africa, perché mi sembra che sia il continente attualmente più sacrificato e sottomesso a delle enormi pressioni da parte dei predatori finanziari ed economici globalizzati, che stanno metodicamente distruggendo le basi stesse dell'esistenza di culture straordinarie. Si pensi, per citare soltanto due esempi fra mille altri, alle sovvenzioni all'esportazione di materie agricole, che l'Europa dà ai propri agricoltori e che provocano la sparizione delle colture alimentari locali, i cui prodotti non sono più competitivi rispetto a quelli importati dall'Europa e che hanno viaggiato per migliaia di kilometri, o all'assalto violentissimo di Monsanto per imporre gli OGM dovunque, con mezzi al limite della criminalità. Chiederei inoltre a uno scrittore "italiano" che ne abbia la voglia e il talento, di scrivere un testo "in contrappunto" all'altro, nello spirito di un dialogo, più o meno semplice, ma sempre pensato per una rappresentazione teatrale. Chiederei, infine, a un artista visivo, di pensare a un progetto artistico, che includa delle esperienze multimediali, su questi testi, se possibile con una proiezione in tre dimensioni, o su schermi diversi, con degli elementi in tempo reale che possano reagire a quello che succede sulla scena. Infine, penserei a un "meta-contrappunto" musicale su questi testi e queste immagini, cioè un lavoro elettronici diversi, pensati per e diffusi dal sistema WFS, e sei cantanti con un trattamento in tempo reale. Concretamente: due attori o attrici (una/o africana/o e una/o italiana/ o), amplificati, sei cantanti, amplificati e trattati, qualche strumento amplificato, un direttore d'orchestra (forse), immagini multimediali ed elettronica. Desidererei che ogni "realtà", i testi, quella visiva e quella musicale, abbia una certa autonomia e bellezza "proprie", ma che l'avvenimento ne permetta l'incontro, il dialogo e, perché no, l'apparizione di un tutto superiore al valore intrinseco di ogni aspetto. Ma mi sembra importante che ciascuno possa anche avere una vita autonoma, come un testo di teatro, ad esempio, o un pezzo di musica, o un'installazione multimediale. Naturalmente, non esiste "un" autore del progetto, ma una cooperazione fra i vari artisti di pari valore.






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