martedì 9 dicembre 2014

Barenboim e l'italianità musicale. Un pensiero interessato e tardivo a Muti?



Terminato il 'Fidelio' inaugurale della stagione milanese, Barenboim ha fatto alcune dichiarazioni. Innanzitutto, rivolgendosi a chi lo ha accusato, lui e Lissner, di trascurare il repertorio operistico italiano (e ci riferiamo a Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini, e mettiamoci anche Puccini, perchè no?) ha risposto che 'l'italianità' non è una questione di passaporto. Insomma, che si può fare opera italiana, o 'all'italiana' , anche eseguendo Wagner, Mozart, Strauss, Beethoven, Bizet, innestandovi la grande tradizione storica e musicale del nostro paese, imprescindibile. E che,  perciò, se non si esegue alla Scala nessuno o quasi degli autori grandissimi sopra citati, non si può essere tacciati di 'antiitalianità'.
 E' una teoria che non sta in piedi , come può risultare a chiunque, come non sta in piedi  pure un'altra, che da questa direttamente discende, e cioè che la venuta di Barenboim e Lissner alla Scala, dopo l'epoca Muti, è servita a portare un po' di Europa in Italia, secondo l'interpretazione di qualche giornale, che ha scritto che con la coppia 'estera' alla Scala sono arrivati anche i grandi nomi della regia 'internazionale'. Vabbè, ma è stata vera gloria? Barenboim e i giornalisti, fiancheggiatori del direttore argentino e di Lissner, sostengono che era necessario; noi no, perchè pensiamo che nell'opera lo spettacolo conta - e come potrebbe essere diversamente? - ma conta innanzitutto la musica, ed ancor di più ci sembra conti quando si vedono regie ed ambientazioni che lasciano sinceramente sbalorditi, per la loro estraneità all'opera rappresentata. E quella del 'Fidelio', per restare in tema, non lo era del tutto, perchè mantenere l'ambientazione in un carcere, in ossequio a Beethoven, avrebbe sottolineato l'inferno che in quei luoghi si vive, e in Italia più che negli altri paesi d'Europa.
Barenboim per sottolineare che l'appartenenza ad una nazione non è legata al passaporto, ha detto che se lui avesse dovuto dirigere solo musica del suo paese, per farla conoscere nel mondo, avrebbe diretto e fatto eseguire solo il tango, che è la bandiera musicale argentina. Un colpo basso di Barenboim, che però non fa al nostro caso.
E poi ha invitato tutti in Italia - ma forse si rivolgeva al ministro Franceschini, l'unico con una carica istituzionale presente alla prima milanese - ad impegnarsi perché l'Italia, “come dice Riccardo Muti, non diventi da paese della musica, il paese della storia delle musica”. Intendendo che la musica va tenuta in grande considerazione, altrimenti diventiamo il paese nel quale secoli fa è nata l'Opera, dove sono vissuti grandi musicisti, il paese che ha costruito meravigliosi strumenti musicali ecc... questo dice Muti, e sottoscrive Barenboim, il quale in tutti questi anni non ha mai pronunciato neanche il nome del suo predecessore alla guida della Scala; e ricordarsene solo ora è un po' ruffiano.
Ed ha aggiunto, rivolto a chi lo accusa di non aver mai diretto un'opera del grande repertorio italiano a Milano, che lui questo repertorio lo fa a Berlino. Bella scusa.
In realtà qualcuno ha detto e scritto, negli anni passati, che la ragione del suo mancato impegno nel repertorio italiano a Milano si giustificava con la mancanza di sicurezza del direttore argentino in tale repertorio;  sicurezza che a Berlino - aggiungiamo noi - sentiva di avere ed a Milano no. Perchè Berlino non è Milano, ed il suo teatro berlinese non è la Scala, dove non gli avrebbero fatto nessuno sconto in fatto di interpretazione e di tradizione esecutiva del grande melodramma italiano. In una parola, in fatto di 'stile'. Lasciando in pace Toscanini quando diceva che 'la tradizione è l'ultima cattiva interpretazione'. Altri tempi, altre circostanze.









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