domenica 12 ottobre 2014

Di Cesare Mazzonis, quando tentò di far cacciare un giovane critico musicale da Paese Sera, dove lavorava,senza riuscirci Appellandosi ai 'compagni'.

Ieri, solo ieri, avevamo promesso, ed ora teniamo fede alla promessa, che avremmo raccontato una brutta storia , una storia di sopruso e che il democraticissimo Cesare Mazzonis osò nei nostri confronti, quando lui era direttore artistico dell'Orchestra sinfonica della RAI di Roma, e noi muovevamo i primi passi nel mondo giornalistico per il quotidiano Paese Sera, alla fine degli anni Settanta.
Il giovane cronista, quale noi eravamo, entusiasta del suo nuovo lavoro, destinato all'edizione pomeridiana del celebre quotidiano, più esattamente alla ben nota pagina 'Stasera a Roma', governata da Riccardo Minuti, al quale dobbiamo l'inizio del nostro lavoro di critico, ricca di informazioni e consigli sulle attività di spettacolo della serata romana, faceva quotidianamente proposte al responsabile della pagina - in quegli stessi anni muovevano i primi passi a Paese Sera altri nostri colleghi, che però si occupavano d'altro e dunque giornalistica,ente più utili e preziosi, come Paolo Boccacci, Fausto Giani, Massimo Lugli.
Nel corso delle vacanze estive, verso la fine, domandammo al responsabile della redazione 'Spettacoli' se era interessato ad ospitare delle anticipazioni sulla imminente stagione dell'Orchestra sinfonica della RAI di Roma, guidata da Cesare Mazzonis (esiste anche un altro Mazzonis, Stefano, cugino del primo, anche lui ha fatto carriera in campo musicale, partito come dirigente Italcable, addetto alle pubbliche relazioni se ricordiamo bene, appassionato di musica, a seguito dei 'Concerti Italcable'  della domenica, organizzati per conto della sua società al Teatro Sistina, è oggi direttore artistico al Teatro di Liegi; e prima a Bologna, dietro suggerimento di Pierferdinando Casini  - lui che c'entra?  eppure c'entra  - ma di lui parleremo magari un'altra volta). 
Alla risposta affermativa, contattammo Mazzonis, il quale ci fissò un appuntamento nel suo ufficio di Viale Mazzini, dove lo incontrammo alla data stabilita. Ci fornì alcune anticipazioni, non il calendario completo della stagione, secondo i patti, e noi confezionammo l'articolo e lo consegnammo al giornale, dove apparve immediatamente dopo. Nessuno disse nulla all'uscita del pezzo, tanto meno Mazzonis, visto che le notizie ce le aveva fornito proprio lui, assecondando il costume giornalistico di cercare notizie, prima che diventino di pubblico dominio.

Senonché quando ci fu la conferenza stampa, Cesare Mazzonis, evidentemente pentito, si ricordò delle anticipazioni uscite su Paese Sera,  forse un mese o due prima, a seguito delle informazioni da lui stesso forniteci - altrimenti, da chi altro? - e chiese a Piero Dallamano, critico ufficiale del giornale, al quale collaborava anche Bruno Cagli, il nostro licenziamento - premettiamo che non fummo mai assunti, nonostante i due anni intensissimi di collaborazione - con la seguente motivazione: “se anche voi che siete giornali 'amici' (intendeva PCI) invalidate il senso della conferenza stampa - come noi avevamo fatto anticipando alcune notizie - allora... e perciò Acquafredda deve essere punito. 
Vigliacco di un Mazzonis che se la prende con un giovane cronista. Dallamano acconsentì e chiamò, seduta stante, il responsabile degli Spettacoli chiedendo che fossimo licenziato. La decisione ci venne comunicata immediatamente, e fu comunicata anche al responsabile della pagina 'Stasera a Roma' per la quale giornalmente lavoravamo, e cioè a Riccardo Minuti, il quale si oppose dicendo che potevamo continuare a scrivere per la sua pagina, pur con il divieto di scrivere sugli 'Spettacoli' che avevano ospitato quelle nostre anticipazioni, il cui materiale ci era stato fornito da Cesare Mazzonis - è bene ribadirlo. 
In seguito riprendemmo a scrivere anche per la pagina degli Spettacoli, fino al giorno del nostro licenziamento ad opera di Giuseppe Fiori, fresco direttore chiamato a mettere ordine nel giornale. Oggi si direbbe a 'ristrutturare' che tradotto in termini  più chiari vuol dire licenziare il più possibile. E, fra i primi a farne le spese, noi che ci occupavamo di un argomento, come la musica cosiddetta seria, che evidentemente a lui non interessava affatto. Boccacci, Gianì, Lugli, invece, restarono fino a quando non furono chiamati dalla nascente 'Repubblica' insieme ad altri, come Dondi e Dietrich.  

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